di Gabriele Testi
Il 17 marzo 2003, più o meno dieci anni or sono, il Corriere della Sera dava notizia dell’esito del referendum con il quale i cittadini del Liechtenstein, ultimo “rumore di fondo” del Sacro Romano Impero, un’antica monarchia incastonata tra Svizzera e Austria, decisero di aumentare i poteri discrezionali del principe regnante, oggi come allora Hans Adam II von und zu Liechtenstein, e ridurre proporzionalmente quelli del Parlamento, una camera di appena venticinque rappresentanti.
Il Consiglio d’Europa, l’unica organizzazione internazionale che raccoglie tutti gli Stati del Vecchio Continente, rilanciò alle agenzie di stampa una nota di seria preoccupazione, esprimendo perplessità per una decisione che avrebbe potuto minare le basi consolidate della democrazia, benché frutto di una consultazione popolare. I 16.932 elettori del minuscolo Principato alpino (ma alle urne si erano recati in poco meno di 15 mila) avevano approvato a schiacciante maggioranza la riforma costituzionale proposta da Hans Adam II, allora 57enne e sul trono dal 1989. Il 64,3 per cento dei votanti aveva detto sì a una serie di modifiche della legge fondamentale dello Stato, che risaliva al 1921, contro il 16 per cento della controproposta degli antimonarchici e il 20 per cento dei favorevoli al mantenimento della vecchia Costituzione.
“Il capo di Stato del Liechtenstein avrà prerogative molto più ampie rispetto a quelle di un semplice sovrano costituzionale europeo. Per esempio, potrà costringere alle dimissioni il governo anche se questo gode della maggioranza in Parlamento. Oppure sarà in grado di far decadere i progetti di legge già approvati dai deputati semplicemente non ratificandoli entro sei mesi. L’organo legislativo non disporrà di alcun potere di controllo sugli atti del principe, che sarà anche l’unico a poter eventualmente cambiare le norme che regolano la successione al trono. Se a queste novità si aggiunge il fatto che il capo di Stato aveva già l’ultima parola sulla nomina dei magistrati, sembra difficile affermare che la costituzione del Liechtenstein rispetta il fondamentale principio della divisione dei poteri. Legislativo, esecutivo e giudiziario ora sembrano riuniti in due sole mani: quelle del principe”, scriveva il celebre foglio di via Solferino.
Ma quello che sfuggì ai commentatori del quotidiano diretto da Ferruccio De Bortoli era che l’ordinamento costituzionale del minuscolo Stato, conosciuto ai più come un esempio perfetto di paradiso fiscale e bancario nonché tuttora membro della EFTA insieme con Svizzera, Norvegia e Islanda, conteneva i germi di una rivoluzione ideologica ben più ampia, uno stravolgimento che immaginava per se stesso il primo caso di “Stato-azienda” o “Stato-impresa” d’Europa e forse del mondo. Scrive il politologo Luca Pirri nel 2012: “Secondo Hans Adam II, lo Stato del futuro deve ‘diventare un’azienda di servizi di utilità pubblica che affronta una competizione pacifica e smettere di essere un’impresa monopolistica, in condizione di porre i propri clienti dinanzi all’alternativa tra accontentarsi di cattivi servizi ai prezzi più alti o emigrare’. Lo Stato è quindi considerato alla stregua di un’impresa operante in regime concorrenziale, non più entità immutabile e sovraordinata rispetto ai singoli individui, ma semplice organizzazione di mezzi e di uomini, al servizio dei cittadini, non viceversa. A tal fine le funzioni necessarie dello Stato sono due: ‘il mantenimento del rule of law: si tratta, sostanzialmente, delle funzioni statuali che attengono al mantenimento dell’ordine, alla produzione normativa e alla risoluzione dei conflitti tra consociati; la politica estera’”. Il caso del Liechtenstein, così come una City di Londra ancorata a regole elettorali corporative risalenti al mediovevo, dimostra come la tradizione e la modernità possano rappresentare virtuosi cortocircuiti a tutto vantaggio dei cittadini.
L’articolo 1 della Costituzione riformata recita: “Il Principato del Liechtenstein deve essere al servizio delle persone che vivono all’interno dei suoi confini, affinché possano condurre una vita associata in pace e libertà”, il che è di per sé una costituzionalizzazione di quei principi liberali ai quali molte scuole di pensiero vorrebbero ispirarsi. A Vaduz vi è l’unico caso al mondo di sovranità, per così dire, “duale”, nel senso che è perfettamente condivisa tra il principe e il popolo, tuttavia quest’ultimo è legittimato in ogni momento a procedere all’abolizione della monarchia (articolo 113) o a presentare una sfiducia motivata al sovrano qualora lo richiedano 1.500 cittadini (articolo 13 ter).
Ma la vera novità, sia sul piano del diritto pubblico comparato, sia per le già lillipuziane dimensioni dello Stato liechtensteinese, è l’affermazione di un diritto positivo di secessione, che non ha precedenti al mondo (nonostante fosse teoricamente previsto dalla legge fondamentale dell’URSS per le Repubbliche che componevano la federazione). L’articolo 4 afferma: 1) “La modificazione dei confini del territorio dello Stato può avvenire soltanto in forza di una legge. Modificazioni dei confini tra Comuni, la creazione di nuovi Comuni e la fusione di Comuni esistenti richiedono inoltre una decisione a maggioranza dei cittadini ivi residenti aventi diritto di voto. 2) Ai singoli Comuni spetta il diritto di recedere dall’Unione statale. Sull’avvio del procedimento di recesso decide la maggioranza dei cittadini ivi residenti aventi diritto di voto. La regolamentazione del recesso avviene per mezzo di una legge o, se è il caso, con un trattato internazionale. Nel caso di una regolamentazione con trattato internazionale, dopo la conclusione dei negoziati riguardanti il trattato si deve indire nel Comune una seconda votazione”.
Il secondo punto, come rammenta Luigi Pirri, è il più interessante di tutti: ai Comuni del Liechtenstein (nel numero di 11, secondo l’articolo 1 della stessa Costituzione) “spetta il diritto di recedere dall’Unione Statale”. Si tratta di un altro elemento del tutto nuovo nella storia costituzionale moderna: la facoltà di autodeterminazione a livello comunale, ossia la possibilità di secedere dallo Stato di appartenenza attraverso un’iniziativa comunale e un successivo referendum locale. Una seconda votazione è prevista qualora le modalità di recesso dall’Unione siano state decise attraverso un trattato internazionale.
Usando le parole di Hans Adam II, nato a Zurigo il 14 febbraio 1945 come primogenito del principe Franz Josef II e della principessa Giorgina di Wilczek, si prefigura: “Un modello di Stato che assicuri la pace, lo Stato di diritto, la democrazia e il benessere della popolazione, deve sottrarre allo Stato il monopolio sul territorio. Per sottrarre allo Stato il monopolio del territorio quest’ultimo deve essere diviso in piccole unità, affinché unità di popolazione quanto più possibile piccole abbiano la possibilità di “emigrare”. Questa secessione potenziale, spiega lo studioso di scienza della politica, “rafforza la pressione sullo Stato che funziona male, spingendolo a riformarsi per evitare di dissolversi”.
Per gli esperti di diritto del sito Web “Polyarchy – Polyarchie – Poliarchia – Poliarquia”, “abbiamo, quindi, un’idea di forte concorrenza istituzionale e fiscale, un federalismo libertario che si contrappone all’attuale tendenza unificatrice sovrastatale e che ‘costringe’ gli organi pubblici a tenere in grande considerazione le richieste dei cittadini, pena il dissolvimento stesso dello Stato (o, comunque, la sua riduzione territoriale), valorizzando il rapporto contratto-scambio rispetto all’obbligo politico. Si tratta di moltiplicare i governi per ridurre (minimizzare) le ingiustizie, passando da un ordine monopolizzato ad un ordine pluralistico, abbassando grandemente i costi di uscita da un sistema politico all’altro”.
“Il tentativo che, lodevolmente, secondo l’avviso di chi scrive, il pensiero politico di Hans Adam II vuole raggiungere è la desacralizzazione dello Stato moderno attraverso il superamento di una concezione statica dell’ordine. La scienza giuridico-politica nei prossimi anni”, conclude Luigi Pirri menzionando il Vangelo secondo Marco (“Il sabato è stato fatto per l’uomo, non l’uomo per il sabato”), “dovrà tenere in grande considerazione gli sviluppi della riforma costituzionale del Principato. L’attuale crisi fiscale e monetaria degli Stati occidentali, inoltre, rappresenta un’occasione unica per la promozione di forme di comunità politica che non dispongano autoritativamente dei cittadini, ma siano, finalmente e giustamente, al loro servizio”.
Fonti: “Lo Stato come impresa: il caso del Liechtenstein” di Luigi Pirri per http://www.polyarchy.org/ (2012); “Il Liechtenstein è del principe” di Vittorio Malagutti per http://archiviostorico.corriere.it/ (2003).