Noi con Gemma abbiamo condiviso il lettore per 23 mesi, grazie a Giammy che invece ha sempre preteso il suo spazio nel suo lettino, oggi non abbiamo più intrusi nel letto e voi?
Oggi parliamo proprio di cosleeping che sembra faccia molto bene ai bimbi!
Le famiglie che “condividono il letto” con il figlio sono viste un po’ fuori luogo, iperprotettive, promiscue, a volte anche un po’ disturbate. Dormire insieme nel matrimoniale limiterebbe l’autonomia e la crescita del bimbo. Eppure i bisogni di contatto, vicinanza, intimità riconosciuti alla coppia sono necessari anche ad un “cucciolo”. E’ considerato ovvio che i partner dividano il letto, condividano il momento del sonno, si sostengano anche nella “vita a occhi chiusi”, mentre non lo è per il piccolo: lui deve imparare, senza tante storie, a dormire solo nella sua stanza. Così dimostra di essere “grande” e maturo.
Probabilmente convinzioni di questo tipo hanno tanto successo perché riflettono la società del distacco, della solitudine, della performance. Appunto la nostra. Si dimentica che per diventare adulti autonomi si deve passare da un’infanzia di vicinanza, condivisione, accettazione, accudimento, contenimento, dipendenza. Più si ha modo di sperimentare emotivamente queste condizioni, meglio ci equipaggiamo di strumenti emotivi necessari per emanciparci e poterci, nel futuro, svincolare. Più viene accolto il desiderio di dipendenza del bimbo, più facilmente diventerà, in seguito, autonomo.
Il neonato, il piccolo che cresce non ha solo esigenze fisiche ma anche emotive: essere contenuto, rassicurato, stare in contatto, sentirsi protetto, partendo da una simbiosi indispensabile. Il momento della nanna, del distacco, del doversi lasciare andare al nulla, allo sconosciuto, è particolarmente delicato. Certi rituali come le ninne nanne, il cullare, non sono nate a caso. Essere lasciato solo forzatamente – come alcune pratiche di addormentamento repressive, militari, violente e dannose teorizzano, – può far vivere esperienze di terrorizzante abbandono. Con effetti a volte a lungo termine, come ansia, irritabilità, enuresi, insonnia e non solo.
Oggi si parla di co-sleeping, un termine inglese per definire il sonno condiviso, mal visto nei paesi economicamente avanzati, a partire dagli Stati Uniti. Eppure così si dormiva in tempi passati, si dorme in altre parti del mondo, in altre culture. Così riposano i cuccioli degli animali. Insieme, semplicemente. Perché dormire nello stesso letto non causa disagio familiare, relazionale, di sviluppo, sociale, come numerose ricerche, condotte in ogni parte del mondo, dimostrano. Mentre non esiste studio che prova che lasciare piangere i bambini faccia loro bene! Forse fa solo comodo ai genitori, svincolandoli da abitudini serali impegnative.
Ci sono esperti autorevoli che sono a favore della “nanna nel lettone”. Come Margot Sunderland, direttrice del Center for Child Mental Health di Londra, che consiglia ai genitori di respingere l’opinione dominante e permettere ai bambini di dormire con papà e mamma, almeno fino all’età di cinque anni. Questa abitudine rende più probabile che i bambini diventino adulti calmi, sani ed emotivamente equilibrati. Perché poi, in ogni caso, tra i cinque e i dieci anni tutti imparano a dormire da soli. Non è necessario ovviamente dormire nello stesso letto in famiglia, per crescere bene. Ci sono bambini che si adattano bene al proprio lettino, cameretta, spazi, altri che invece esprimono il bisogno di non rimanere soli e, se costretti alla regola del proprio letto a tutti i costi, soffrono. In ogni caso, la ricerca di spazio nel lettone, di coccole prima di dormire, di contatto nel sonno, sono richieste emotive che i bambini non pongono a caso. Possono ritornare anche in bambini più grandi già o da sempre abituati al loro letto, in momenti di difficoltà, in situazioni delicate.