La notizia riguardante i 75 giorni di virtuosismo ecologico del Costa Rica divulgata dall’Indipendent ha fatto ormai il giro del mondo. Il piccolo Paese incastonato tra Nicaragua e Panama alimenta infatti il suo fabbisogno energetico senza ricorrere a combustibili fossili dannosi per l’ambiente a causa delle emissioni di gas a effetto serra.
Photo credit: Pato Novoa / Foter / CC BY-SA
La fortuna del Costa Rica
Il successo del Costa Rica è attribuito in gran parte alla sua fortuna: 4,9 milioni di cittadini, un’industria poco ingorda di energia, spesa nulla per l’esercito abolito nel 1949 e bacini d’acqua rifocillati da piogge frequenti. La principale fonte rinnovabile per cui è stato possibile ottenere un volto total green è infatti l’idroelettrica.
Il successo però non si raggiunge da un giorno all’altro: la scelta dello Stato dell’America Centrale di investire nel green si affianca perfettamente a quella di molti altri Paesi Emergenti. Il Report Climatescope 2014 permette di dare uno sguardo d’insieme alla situazione mondiale degli investimenti collegati al clima. (http://global-climatescope.org/en/) Il Report infatti analizza 55 Paesi in Asia, Africa, America Latina e Caraibi per capire dove si investe maggiormente in energia verde e quindi in quale direzione si muoveranno i capitali, tenendo in considerazione i luoghi dove le legislazioni sono più favorevoli.
Bloomberg New Energy Finance, uno dei realizzatori dello studio con Banca di Sviluppo Interamericana e Fondo d’Investimenti Multilaterale, rivela che dal 2008 al 2013 la capacità di crescita di energia pulita nei paesi analizzati è cresciuta del 143%, mentre quella dei paesi più ricchi dell’Osce si assestava sull’84%.
Nel Report il Costa Rica risultava 12° nel rank mondiale nel quale padroneggiavano Cina, Brasile, Sud Africa e India, mentre risultava 6° nel rank regionale. Interessante notare come lo studio sottolineasse la necessità del piccolo Stato di assumere una diversificazione delle fonti che non dipendesse esclusivamente dall’acqua, perfettamente in linea con l’annuncio del governo costaricano del luglio scorso di investire 958 milioni di dollari americani nella costruzione di impianti geotermici.
Anche l’Europa promette di puntare sul verde
Il Costa Rica ha raggiunto per primo il traguardo del 100% rinnovabile, rincorsa a breve distanza dall’Islanda e dall’isola di Bonaire allargo del Venezuela, ma l’Europa promette di non essere meno virtuosa, facendo fede all’articolo 194 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, che auspica la promozione dello sviluppo di energie nuove e rinnovabili.
Già dal 1997, anno della pubblicazione del Libro bianco sulle fonti energetiche rinnovabili, l’Europa si assumeva l’impegno di ridurre i consumi e aumentare l’utilizzo di energia derivante da fonti verdi, ma solo con la nuova direttiva Energie rinnovabili (2009/28/CE) si è stabilito che entro il 2020 una quota obbligatoria del 20% del consumo energetico europeo dovrà provenire da fonti rinnovabili.
La direttiva europea impone che i consumi finali di energia mediante fonti rinnovabili dovrà essere coperta per il 17% da fonti rinnovabili distinguendo tre settori: elettricità, trasporti e riscaldamento-raffreddamento. L’Italia per una volta sembra non essere il fanalino di coda europeo, infatti secondo gli ultimi dati, le fonti rinnovabili hanno coperto nel 2013 il 33,7% dei consumi interni lordi di energia elettrica, mentre in Austria hanno superato il 65% e a Malta sono vicini all’1% (Istat).
Fonti rinnovabili: un successo in tutti i campi
Le fonti rinnovabili riducono la dipendenza dai combustibili fossili, non distruggono l’ambiente e fanno bene all’economia perché attraggono gli investimenti e creano occupazione. Abbandonare i combustibili fossili inoltre permetterebbe di non far aumentare la temperatura globale di quei 2 gradi considerati il limite massimo accettabile per evitare gravi problemi ambientali.
Nonostante le congiunture positive del Costa Rica, il successo delle fonti rinnovabili è stato possibile soprattutto grazie a scelte di politica energetica buone per l’economia e per l’ambiente. Le stesse politiche che dovrebbero essere scelte dall’Europa.
Uno studio condotto per conto di Ecologea Research Group
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