Roberto Belli
ROBERTO BELLI aka nihilNONorgan
Nato a Cagliari nel 1963 si occupa attivamente di musica, poesia e performances poetiche di vario tipo sin dal 1983. Dopo anni di militanza in gruppi musicali di estrazione punk e hardcore, nel 1993 ha fondato insieme ad altri cagliaritani il progetto di poesia e rumore Materia Prima, poi diventato Machina Amniotica http://www.machinamniotica.it, con il quale ha all’attivo una lunga serie di attività che vanno dalla perfomance multimediale di poesia, al concerto live sia in italia che all’estero, oltreché materiali quali video, DVD e CD. Da questa esperienza è partito per formare diversi progetti con ispirazione elettronica noise/industrial a partire dal 2006: nihilNONorgan come solista (2006); Persona Non Governabile (PNG) con Carmine Mangone e Arnaldo Pontis (2007); la Brigata Stirner con Arnaldo Pontis (2008). E’ stato redattore per oltre 10 anni della rivista di cultura poetica di Cagliari Erbafoglio (1987-2004). Ha pubblicato i volumi di testi poetici Assolutamente Altrove (Cuec, Cagliari 2005); Non Finirà Mai (Pesanervi press, Caserta 2009 / nihilNONorgan industrie, Cagliari 2014); l’ebook Il Corpo Che Non Ho Ancora Scritto (Maldoror press, http://maldoror.noblogs.org/archives/372 2011); Quaderno Nero (nihilNONorgan industrie, Cagliari 2014). Ha realizzato tre CD-r autoprodotti (elettronica noise/industrial e testo poetico): Una Si Schianta Da Un Dirupo (2004); Moonmusick (2005); Ultima Suite Mentale (2011). Assieme ad Arnaldo Pontis e Raimondo Gaviano (Svart1) è stato socio fondatore dell’associazione di cultura industriale HIERRUNIEDDU, per la quale ha contribuito all’organizzazione del festival SOLO IL MIO NERO (2011/12/13).
7 poesie del transito
settembre – ottobre 2014
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UNO
il passo turbinoso
al crepuscolo si starano
le valvole del mio transito
intendendo il transito come
una sospensione sincopata
del fiato monocorde
che mi costringo per accortezza
a fasciare minuziosamente con
il cellophane e le labbra
e chiodi misurati -
perché volevo imparare
imparare da te come si sbreccia
l’ipotesi del mio corpo su
la scia di metallo rugginoso
che porta come un tuono
il rumore del transito che
non si dispiega pur bloccato come
una grondaia su un muro
senza scarico -
e dalla polvere che smuovo
sullo stridore della lastra
dal tremore dovuto alla vibrazione
il mio passo assorbe i cali dei fumi
pur sempre rifinito dalla volontà
che mentre pesa alla mente dell’Uomo
a me riflette come lucide pietre
i visi fermi le brame incendiarie
i lumi veloci scattanti -
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DUE
avevo deciso di seguirlo
troppo preso dall’effetto metallico
dell’orizzonte intero frantumato
il passo turbinoso che non recede
prende a spostarsi in alto come
ala asfaltata tutta spezzata decomposta
mentre le cose prese in prestito s’azzerano
e le immagini son bruciate via
da un incendio smisurato
che appicco con un bacio -
ma non è l’effetto della sfiammata
l’impianto gassoso che in un attimo
rende tutto così grigio e
dall’odore incrinato acre e lucidato
le strisce sul metallo brillano
di un lucore sfasciato tutto sbriciolato
e all’avanzare mi si piega
il ginocchio collegato alle atmosfere
che alla mattina non cibano più -
e le strisce di umido rosso
refrattarie alle lame di sole
potrebbero pur decorare i percorsi
le desertiche strade fatte di rottami
mentre il mio cuore ghiacciato
non si sbrina nera pietra
auspicando il tratto da laggiù
fino alle nuove albe che riscalderebbero
al tepore dell’orizzonte o del gas -
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TRE
scelgo strane vie per manifestarmi
avevo deciso di seguirlo
il passaggio dal filo spinato
a quell’alone giallastro delle retrovie
quel muro di spine mi parlava
di insperati organismi di senso
che dalle fiamme criogeniche
potevano ricreare ad una ad una
tutte le formazioni della memoria
distrutte dal clangore senza fine -
non desumo dai bagliori
le infinite corsie dei mari inconsci
alla linea dell’orizzonte ingrigito
il mio pensiero doloroso stride
più delle nuvole in cielo
e dalle luci viola dei riflessi del sole
una sola delle orme del passaggio
sorpassa inquieta l’ipotesi del senso
rovesciato appiattito del principio -
e al primo risveglio remoto
l’orologio incrinato della memoria
sovrasta d’un colpo il martirio delle stelle
impegnato come sono col transito
non m’avvedo di raccoglierle
mezzo nascoste dalla polvere grigia
che ricopre ogni passo ogni
momento di rinascita ogni fluido
che sgorga imperioso dal cuore nero -
**
QUATTRO
nel frattempo
e trovare uno spazio sgombro
in questa oscurità ritagliata rifilata e
con parole logore ancora come
sopravvivere attraversato
all’incertezza del sogno mancato
sigillato costituito giustificato e
intravedere tutto ricoperto
tutta questa fuliggine mi
involge la pelle stesa sopra -
e nel silenzio acre come
piombo bruciato fra le mani
è come se si snodasse svelto
tutto un patrimonio di immagini
di ben ferrata stabilità
che accanto alle esplosioni e ai fumi
dilaniano il territorio d’amore
sfilacciato al contempo e ricucito
ma che non si può più condividere -
e dai filamenti anneriti
dell’habitat deforme dell’amore
una colonia aggrumata di baci bruciati
si stacca rotolando sulla melma
ingiallendosi all’istante poi inverdendosi
dalle mani mi cola l’odore
il portento dello squagliarsi
mi ipnotizza bloccandomi di sale
scelgo strane vie per manifestarmi -
**
CINQUE
mi avventuro grondante
in quel mentre le rose che
mi sbocciavano in bocca tutte
lorde di aspettative mal trattenute
di colature di sieri e miasmi
venefici neri tutti immersi
in una putredine disonorevole
e le spine di ferro arruginito
che infilzano le parole una ad una
mi solleticavano una risposta -
sia mai che dagli spazi de
l’inconcludente avvio verso le penombre
si spieghino altre scie di metallo
sul quale strisciare come un veleno
svelto come mercurio che cade dalle finiture
ho baciato con labbra seccate
le labbra di ferro della solitudine
il gusto mi ha fatto cambiare colore
la mia pelle gronda di vermi -
nulla si riapre dopo la serrata
e solo i lampi viola del sole fan percorrere
i miei passi sollecitati svelti
lungo spazi solcati da acque ora argento
e il metallo stridente di ore e poi ore
trascorse a non precipitare stare
in equilibrio in questa fase di transito
è pieno di rugiada fra le nebbie
nel frattempo visibili oltre la cortina -
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SEI
spellamento onirico
oppure in quel preciso momento
come in un contenitore di combustibile
ho avvertito semplicemente il carico
in ginocchio giù nella scia vetrosa
della macchina che mi inquadra
in primo piano fra quei rottami
il lurido sciabordìo delle lacrime infrante
cane che non scalcia a bocca allargata
pronto a rigettare il veleno infiammabile -
sovrappensiero allora riscrivo il mio corpo
in un nuovo schema dell’anatomia
sparando aghi di senso ma seminali
distendendo bene tutto l’inchiostro
tutto editato slabbrato con un solo dito
neanche dentro me stesso la scrittura
viene così bene alla luce delle fiamme
la cartilagine si estende portandomi
da una cometa all’altra germogliato -
con un’unghia nera di luce dello spazio
prendo dunque a spellarmi le croste dei vermi
che arpionati fino allora a grappoli
mi portavo addosso senza memoria
incastrati fra nervi congelati
lubrificati dal siero insolente
che da me partiva dalla bocca come
getto crudo delle consistenze dell’amore
misurato ora con un goniometro di sogno -
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SETTE
molto problematico
ecco dico misurato ora
con un goniometro di sogno
l’angolo più preciso tagliato
e smisurato eppure immediato
e l’ombra più distante ritoccata
che non si vede per la curvatura
abbaglia quando dalle nebbie
vien fuori l’unica ragione che
mi spinge ad incendiare -
impressionato dal silenzio
dopo tutta quella pioggia di giallo
i detriti posati brillano nel grigio
il respiro rimbalza da muro a muro
ma non duole e nemmeno stride
il mio corpo si ripropone come in
ristrutturazione improvvisa
con arti smaglianti stirati premuti
non noto più le incrinature -
e al nuovo crepuscolo si ritarano
le valvole del mio transito
intendendo adesso il transito come
una sospensione disincantata
del fiato multicorde frastagliato
che mi costringo per accortezza
a proteggere minuziosamente con
tutte le parole screziate libere
del mio stesso potere -
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