Piccolo mondo antico.
Lo scandalo del Monte dei Paschi di Siena.
Lo scandalo ha sconvolto una città e un modo di vita secolare che sembrava immune al passare del tempo. Cosa è successo e perché? Il tentativo di ricostruire i fatti e di inquadrarli nel più ampio contesto delle trasformazioni in corso nel mondo della finanza globale, per cercare di capire qual è il significato di questa ennesima brutta storia italiana per il nostro paese.
Il contesto storico. Da almeno un ventennio il mondo finanziario mondiale è stato interessato da enormi operazioni di fusione e ristrutturazione, a cui non è stata estranea l’Italia. Molte piccole banche sono scomparse, assorbite dai giganti, spesso, a loro volta, frutto di altre operazioni di accorpamento. Anche il sistema bancario italiano è cambiato. Due grandi conglomerati dominano oggi il sistema finanziario italiano, l’Unicredit e Intesa-San Paolo, ma in pratica solo la prima ha le dimensioni sufficienti per stare le prime venticinque banche mondiali per attività (al venticinquesimo posto) e per nulla per capitalizzazione di mercato (vedi lista su www.relbank.com). Fino al 2011 nella lista c’era anche il Monte dei Paschi di Siena che ha tentato durante lo scorso decennio di uscire dal suo ambito provinciale per affermarsi come uno dei poli centrali del sistema bancario e finanziario italiano. Sulla correttezza di queste complesse operazioni, incomprensibili ai comuni cittadini, anche ben informati, vigilano le autorità nazionali (Banca d’Italia, Consob, Autorità Antitrust) e, in parte anche embrionali strutture europee di coordinamento e controllo.
Palazzo Rocca Salimbeni, sede della banca. E’ notte fonda.
Il Monte dei Paschi di Siena. Si tratta probabilmente della più antica banca tuttora operativa al mondo, fondata nel 1472. Per secoli essa ha servito le esigenze della comunità senese a cui è legata da un filo che è doppio, forse triplo. Il Monte dei Paschi è una banca, il maggiore datore di lavoro della città, il finanziatore di attività sociali, culturali e filantropiche. Non c’è Siena senza Monte. Ma in un contesto di feroce competizione tra gruppi sempre più grandi, le scelte per una banca regionale sono solo due: mangiare o essere divorata. Per restare a galla occorrono una strategia di allargamento, alleanze e miliardi di euro per acquistare rivali e conquistare posizioni strategiche in un mercato spietato. Allargamento e raccolta di fondi, però, significano anche ricerca di capitali nuovi, di cui una piccola città come Siena non può disporre e, di conseguenza, la possibilità che il Monte perda la sua senesità, che cada sotto il controllo dello straniero, che esso sia milanese, tedesco o amglosassone.
La trasformazione. Sempre semplificando grandemente, la prima grande trasformazione avviene nel 1995, con la creazione della Fondazione Monte dei Paschi di Siena, che ha due funzioni: sostenere le attività sociali del Monte e mantenere il controllo della banca nelle mani dei senesi, attraverso il controllo della maggioranza del patrimonio sociale. La Fondazione ha una struttura che rispecchia in forma moderna i meccanismi tradizionali di una società corporativa fortemente localista. In base allo Statuto, il suo organo di indirizzo, chiamato Deputazione generale, è formato da 14 membri designati dal Comune (4), Provincia (2), Regione (1), Università (1), Arcidiocesi di Siena (1), Camera di Commercio (1) e dall’Università per stranieri (1), più altri 3 membri designati dal Direttore generale uscente tra altre organizzazioni sociali della zona. Qui possiamo immediatamente comprendere in che modo la maggiore forza politica della sinistra italiana, storicamente predominante a Siena e in Toscana, sia profondamente legata alle sorti della Fondazione e la delicatezza che gli equilibri interni all’interno della banca possono avere anche per la politica nazionale. Il nuovo Statuto approvato nel giugno 2013 crea maggiori filtri all’ingresso della politica, introducendo norme più stringenti di incompatibilità, che in precedenza erano molto blande. Nel 1999 la società viene per la prima volta quotata in borsa, e da lì parte una legittima e all’inizio soddisfacente espansione territoriale che consolida la posizione dell’MPS come uno dei maggiori gruppi finanziari italiani. Nel 2001 presidente della Fondazione diventa l’avvocato calabrese Giuseppe Mussari, laureato in giurisprudenza a Siena, ex presidente della Camera penale senese, amico di tutti, vicino a Comunione e Liberazione ma anche ai DS/PD. Mussari che diventerà la persona più potente ed influente di Siena. Nel 2006 diventa presidente del Monte dei Paschi di Siena fino all’aprile 2012, e all’apice del suo potere, tra 2010 e inizio 2013 fu anche presidente dell’ABI.
Bei tempi per Stefano Ricucci con una prospera Anna Falchi.
I furbetti der quartierino. Ricordate Gianpiero Fiorani, Antonio Fazio, Stefano Ricucci? Bene, andate a rinfrescarvi la memoria. Nel 2004-05 furono i protagonisti di uno del maggiore scandalo del mondo bancario italiano dopo quello della Banca Romana a fine ottocento. Lo scandalo nacque dal tentativo di impedire l’ingresso degli olandesi dell’ABN-AMRO nella Banca Antonveneta e degli spagnoli del Banco Bilbao Vizcaya Argentaria nella Banca Nazionale del Lavoro. Contro gli olandesi si mosse un’ampia cordata guidata da Giampiero Fiorani, presidente della Banca Popolare di Lodi, legatissimo all’allora governatore della Banca d’Italia Fazio, che comprendeva anche Unipol e la Magiste di Stefano Ricucci, in quel momento in grande ascesa. Finì male per tutti. I mezzi utilizzati nella battaglia risultarono in gran parte illeciti e dannosi per i correntisti della Popolare di Lodi. Fazio si dimise a fine 2005, non dopo una durissima resistenza, Fiorani venne condannato e Ricucci perse tutto, compresa la moglie Anna Falchi. Alla fine, anche l’Antoveneta finì nelle mani dell’ABN-AMRO nel 2006, mentre i francesi del Paribas s’impossessarono della BNL. Una dura sconfitta per il mediocre capitalismo da furbetti tipico di una certa Italia.
La vendita di Antonveneta. Le vorticose ristrutturazioni del primo decennio del duemila non si fermano. L’ABN-AMRO viene conquistata neppure un anno dopo da una cordata composta dalla Royal Bank of Scotland (oggi nazionalizzata dopo il crollo del 2008), dal Banco Santander (una delle grandi banche europee) e da Fortis. Nel progetto iniziale l’Antonveneta sarebbe dovuta andare agli spagnoli del Santander ma viene venduta al Monte dei Paschi che la ritiene strategica per i suoi piani di espansione. L’accordo venne annunciato nell’ottobre 2007. Il prezzo pagato, 9 miliardi di euro, era decisamente alto per il valore dell’Antonveneta e per le forze del MPS che nel 2006 aveva una capitalizzazione di 14,5 miliardi di euro e un risultato operativo netto di 1,3 miliardi di euro. Ai dirigenti del Monte si poneva quindi il dilemma di dove trovare i fondi per questa operazione senza intaccare il capitale e senza diluire il controllo senese sulla banca. Ed è qui che cominciano i problemi, su cui la Banca d’Italia ha dei sospetti fin dal 2008, pur non riuscendo a scoprire grosse irregolarità fino almeno al 2010.
Operazioni disinvolte. Il mondo della finanza ha le sue regole. Un linguaggio altamente tecnico e meccanismi talmente complessi che sfuggono alla comprensione dei cittadini. Dato però che le conseguenze di un crac finanziario ricadono su tutti noi, le autorità nazionali (la Banca d’Italia da noi) vigilano sulla correttezza di tutte le principali operazioni svolte dalle banche. Sembra che il Monte dei Paschi non raccontò tutta la verità sui meccanismi di finanziamento dell’operazione Antonveneta che doveva essere coperta in contanti attraverso un aumento di capitali per 6 miliardi di euro, 2 miliardi di euro attraverso obbligazioni e 1 miliardo tramite una raccolta fondi gestita da JP Morgan. Su quest’ultima operazione, che comportava un possibile trasferimento di azioni in caso di mancato rimborso del debito, la Banca d’Italia espresse qualche riserva nel 2008 (vedi relazione presentata al Parlamento nel gennaio 2013).
Sul trono di denari. L’ex presidente MPS Giuseppe Mussari.
La crisi. I problemi maturano lentamente. Nel 2008 apparvero le prime avvisaglie della tempesta finanziaria che si sarebbe abbattuta sul mondo occidentale e che rivelò le dubbie pratiche della finanza creativa mondiale con derivati e altri titoli tossici. Anche se il sistema bancario italiano sembrò all’inizio relativamente immune alla catastrofe, in realtà tutte le banche subirono gravi perdite, mentre quelle pesantemente indebitate come il MPS iniziano ad entrare in difficoltà. Nel 2010 il MPS, come le altre banche italiane, supera lo “stress-test” condotto dal Comitato europeo dei supervisori bancari (CEBS) in collaborazione con la Banca d’Italia. Chissà cosa hanno visto a Palazzo Koch perché l’anno successivo il bilancio della banca entra in rosso pesante. In realtà, sempre secondo la relazione della Banca d’Italia sopra menzionata, nel 2009 e nel 2010 crebbero le preoccupazioni per la salute della banca senese, tanto è vero che venne consigliato un aumento di capitale, effettivamente realizzato a fine 2010 per un valore di 3,2 miliardi di euro. Ma i problemi di liquidità non scomparvero. Nel 2011 la banca registrò 4,6 miliardi di euro di perdite, a cui se ne aggiungeranno altri 3,2 miliardi nel 2012. Per superare i problemi e coprire le perdite, il presidente Mussari e l’amministratore delegato Antonio Vigni cercano nuove forme di liquidità al limite della legalità, tra cui un misterioso contratto per 220 milioni di euro con i giapponesi di Nomura (Alexandria). Chiacchierata anche la ristrutturazione di un debito con la Deutsche Bank (Santorini) per 360 milioni di euro. La crescente crisi del gruppo nel corso del 2011, le pressioni della Banca d’Italia e l’apertura delle prime indagini della magistratura, provocano infine l’uscita prima di Vigni (fine 2011) poi di Mussari (aprile 2012), sostituiti rispettivamente da Alessandro Profumo e Fabrizio Viola nell’aprile 2012. Dopo un periodo di interregno in cui si cerca un nuovo equilibrio, nel 2013 cambiano anche i vertici della Fondazione, con l’insediamento lo scorso settembre della nuova presidente, Antonella Mansi, ex presidente della Confindustria toscana.
Le indagini. Nel frattempo la magistratura inizia nel 2011 le indagini. Sono diversi i filoni contro Mussari e Vigni. Il primo riguarda la stipula dell’accordo con la Nomura per la ristrutturazione dell’operazione Alexandria, il cui contratto originale venne ritrovato nella cassaforte dell’ex amministratore delegato nell’ottobre 2012 e i cui contenuti non erano noti alla Fondazione e alla Banca d’Italia. Si comprende che le finalità dell’operazione erano quelle di coprire i rilevanti buchi nel bilancio. Il processo su questo capitolo è iniziato a Siena nel settembre 2013. Non sembra invece che l’operazione Santorini sia stata irregolare. Il secondo filone riguarda una serie di gravi irregolarità commesse da Mussari, Vigni e il direttore dell’area finanza Gianluca Baldassarri durante l’acquisizione di Antonveneta, per le quali sono stati rinviati a giudizio lo scorso ottobre.
Una crescita che si conclude con un flop. I nuovi vertici insediatisi nel 2012 sono impegnati, sotto la sorveglianza della Banca d’Italia, a ristrutturare completamente il Monte dei Paschi. Due le conseguenze immediate: la fine dei piani di espansione della banca con un pesante ridimensionamento delle sue attività e diverse migliaia di licenziamenti, e la fine del controllo senese della banca. La Fondazione, svenata dai debiti, non può controllare oggi che il 34%
Vista dal cortile del Palazzo Comunale di Siena
del Monte dei Paschi. Si è avuta praticamente una sorta di nazionalizzazione di fatto, dato che lo Stato ha concesso al MPS un prestito per circa 4 miliardi di euro per la ricapitalizzazione dell’MPS ad un tasso minimo del 9% da restituire entro il 2015, i cosiddetti “Monti bond”. Tecnicamente non si tratta di un finanziamento a fondo perduto finanziato con l’IMU come si è detto polemicamente, essendo questi strumenti finanziari nient’altro che prestiti a tassi piuttosto alti, ma è indubbio che il governo stia sostenendo fortemente la ristrutturazione del Monte dei Paschi che richiederà anni di sacrifici a Siena e al suo territorio e che potrebbe anche portare alla fine di “una storia italiana dal 1472″, come diceva la pubblicità nei tempi migliori.
Restano pesanti gravi interrogativi: in primo luogo la capacità degli organi di vigilanza nazionali di scoprire subito i comportamenti illeciti dei dirigenti di di grandi gruppi finanziari, prima che essi si traducano in danni per l’azienda e i risparmiatori; in secondo luogo la capacità dei vertici politici ed economici di una regione anche tutto sommato ben amministrata come la rossa Toscana di gestire processi così complessi come quelli che avvengono da anni nel mondo della finanza globalizzata; in terzo luogo, ed è questa la ragione dell’articolo, la capacità dei cittadini e risparmiatori di capire questi processi e di difendersi dagli squali che, per incapacità o dolo, sono riusciti in pochi anni a distruggere una banca solida e produttiva come il Monte dei Paschi.
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Questa ricerca ha richiesto diverse ore di lavoro. Ho letto articoli di giornali riconosciuti, italiani e stranieri, consultato i siti ufficiali in cerca di informazioni primarie, sforzandomi di far parlare i fatti. L’articolo potrebbe essere una base su cui costruire una breve sintetica storia di uno scandalo, che illumina molti aspetti oscuri del mediocre capitalismo italiano, incapace, alla prova dei fatti, di confrontarsi con la realtà del capitalismo internazionale. Ho evitato volutamente di entrare in polemiche politiche, senza tacere il ruolo del PD nella Banca, anche se in realtà l’ex presidente Mussari aveva legami con politici di ogni ambiente. Nello scusarsi per gli errori e qualche omissioni, sarò grato per ogni suggerimento che possa rendere l’articolo più preciso e comprensivo.
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