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Riguardo alla crisi Alitalia ci sono radici profonde e l’attuale assetto societario non ha portato i risultati sperati dal 2008, quando la compagnia era stata “salvata in extremis”. Allora c’era ancora il governo Prodi, anche se stavano per tenersi le elezioni che avrebbero sancito la vittoria di Silvio Berlusconi, ma il premier del centrosinistra aveva già avuto sul tavolo il dossier Alitalia e aveva optato per la proposta di partnership con Air France-Klm, allora decisamente interessata ad integrare la compagnia di bandiera, con un’offerta sicuramente concreta: 6 miliari di euro di investimenti e 300 milioni per rilevare la quota di maggioranza dell’azienda. La promessa era inoltre di garantire, per quanto possibile, i posti di lavoro e mantenere logo e brand dell’azienda. Dopo le elezioni però prevalse l’idea di Berlusconi di “salvare” Alitalia dagli stranieri, con la proposta del premier di cercare di formare una cordata di imprenditori italiani che sostenessero il rilancio dell’azienda. La crisi Alitalia divenne quindi un fallimento vero e proprio e lo Stato si accollò i debiti del crac, oltre 4 miliardi di euro, mentre la parte sana dell’azienda veniva venduta a una cordata di imprenditori italiani, con l’appoggio del governo che per l’occasione varò il decreto “salva Alitalia” che bloccava di fatto la concorrenza di potenziali acquirenti stranieri.
Arrivarono così Colaninno e la cordata di imprenditori italiani del piano Fenice e la Cai (compagnia aerea italiana). Da allora, nonostante i debiti addossati sulle casse pubbliche, poco è cambiato. Alitalia è ora di nuovo sull’orlo del fallimento e anche questa volta il governo sembra intenzionato a reperire risorse pubbliche per mantenerla in vita. Ma ciò che era stato possibile nel 2008, con le avvisaglie della crisi non ancora percepite chiaramente, sarà difficile avvenga oggi. Anche il sostegno di potenziali partner esteri sembra più una speranza che un dato di fatto, data la situazione disastrosa delle finanze di Alitalia. Lo Stato dovrebbe quindi accollarsi nuovamente il debito della crisi Alitalia, questa volta con la mediazione di un possibile soggetto pubblico, come appunto le Ferrovie. Ma un Paese che non ha mai garantito un trasporto efficiente su binari potrebbe replicare il modello sul trasporto aereo? L’unica cosa certa è che ancora una volta le risorse per ovviare agli sprechi e all’inefficienza degli scorsi decenni, saranno trovate facendo cassa. E quindi nuove imposte.