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Crisi economiche e trasformazioni politiche: l’America Latina in declino?

Creato il 03 marzo 2016 da Bloglobal @bloglobal_opi

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di Francesco Trupia

Rispetto alle previsioni degli anni passati che indicavano una continua ed esponenziale crescita dell’intera America Latina, quelle diffuse alla vigilia del 2016 hanno evidenziato un forte cambio di tendenza. Una regione, quella del sub-Continente latino-americano che, nonostante le grandi opportunità e possibilità, rimane tutt’oggi incapace di fuoriuscire dalle soglie terzomondiste in modo regionalmente omogeneo e, soprattutto, economicamente sostenibile attraverso programmi nazionali di prevenzione sociale e di welfare applicabili in totale sintonia con le proprie caratteristiche interne.

Le incognite del sub-Continente - L’esponenziale crescita brasiliana, ad esempio, appare oggi essere stata conseguenza di un fenomeno schizofrenico, legato alla crisi dei subprime del 2007 piuttosto che ad un solido progetto di crescita. Anche i suoi piani di lotta alla povertà, capaci di far fuoriuscire oltre 30 milioni di brasiliani dalla fasce più indigenti, hanno trasformato il Paese in uno “Stato assistenzialista” e appaiono incapaci di salvaguardare le nuovi “classe medie” da un ritorno alle soglie terzomondiste [1]. A confermarlo non solo la latente e ormai comprovata gestazione economica, ma anche gli scenari interni alquanto paradossali se relazionati alle prospettive di crescita dell’America Latina, nonché del Brasile stesso. Emblema dell’attuale scenario è il quartiere di Ipanema, a Rio de Janeriro, uno tra i più ricchi del Paese e con un reddito pro-capite paragonabile a quello delle più note capitali europee, in grado di causare l’arrivo nel 2001 della aedes aegypti – la zanzara dell’attuale epidemia di dengue nella regione e meglio nota come virus Zika –, a causa dell’abbandono di alcune lussuose piscine della zona. Se nel 2001 la prima epidemia sancì la crisi del vecchio regime e lo storico arrivo di Lula, nonostante l’allora Ministro della Salute José Serra avesse creato uno dei migliori programmi mondiali nella lotta all’AIDS, sfidando corporations farmaceutiche e interessi intorno ai brevetti,  lo Human Rights Watch e il Center for Reproductive Rights hanno sottolineato come non tanto gli attuali piani di disinfestazione e l’utile collaborazione della gente nell’eliminazione dei ricettacoli, quanto certune politiche, comparabili a quelle dell’Africa Sub-sahariana, impediscono la fuoriuscita dell’America Latina da alcuni paradossali scenari del Terzo Mondo [2].  

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Rimesse estere in America Latina – Fonte: RIO-The Dialogue

Gli sconvolgimenti politici interni alla fine del 2015, in Venezuela e in Argentina in particolar modo e ormai apparentemente lontane dalla loro tradizione autoritaria/populista del chavismo e del peronismo – quest’ultimo invero più storicizzato rispetto al primo –, hanno aperto un cambio di direzione che evidenzia pochi e positivi punti di partenza per entrambi i Paesi. Inoltre, alla crescita di Bolivia (2015, +5,2% – 2016, +2,8%), Colombia (2015, +4,8% – 2016, 13,3%), Messico (2015, +2,1% – 2016, +4,8%) e Cile (2015, 1,9%), la crescita regionale (prospettive 2016, +5,8%) è stata notevolmente rallentata dalle ultime e difficili dinamiche interne.

In Bolivia, la perdita di fiducia di oltre la metà degli aventi diritti al voto ha impedito al Presidente Evo Morales di modificare la Costituzione per via referendaria e di correre per un quarto mandato consecutivo, ossia fino al 2019. Una riconferma che potrebbe comunque arrivare grazie alla conclusione dei lavori parlamentari per l’ennesima riforma costituzionale, dopo quella del 1997-98 e 2007-08, che permetterebbe al primo Presidente indigeno della Bolivia di governare fino al 2025 [2].

Tra Colombia e Cile, nonostante le dinamiche appaiono diverse tra i due Paesi, il pericolo del riacuirsi di alcuni focolai di violenza legati agli scenari interni potrebbero concretizzarsi nuovamente. Il rischio per Bogotá potrebbe arrivare – paradossalmente – dalla quasi certa conclusione dello storico accordo tra FARC e governo centrale il prossimo 23 marzo a l’Avana, con una parte del gruppo armato già pronta a rinunciare all’accordo stesso. Per Santiago, invece, il ritorno degli ex guerriglieri del “Movimiento de Izquierda Revolucionaria”, nonostante la nuova veste di partito politico, potrebbe sconvolgere gli scenari politici interni nelle zone rurali e più povere delle Ande, quelle in cui le disparità sociali con le regioni più ricche sul Pacifico sono più che evidenti, abissali [3].

La sconfitta del socialismo venezuelano, invece, al momento sembra non essere in grado di aprire un serio processo di democratizzazione nel Paese e capace di allontanarlo definitivamente dalla tradizione legata ai regimi politici di tipo autoritario e vicini alle forze armate. È pur vero che le dinamiche sociali, nonostante gli importanti riconoscimenti internazionali ottenuti dal corso chavista [4], rimangono collegate alla crisi economica del Venezuela, dipendente dal suo mercato dell’export di greggio, con il 96% dei proventi delle esportazioni derivanti proprio dal settore petrolifero, rispetto al 67% del periodo precedente l’insediamento di Chavez, nel 1998. La produzione interna rimane collegata a quella delle acciaierie, da tempo nazionalizzate, che però producono solo una frazione dell’acciaio che esse sono progettate a fornire, costringendo il Venezuela a importare la differenza. Le aziende elettriche, anch’esse statali e spina dorsale dell’economia interna, rappresentano contemporaneamente il punto debole del Venezuela, lasciando gran parte del Paese al buio più volte alla settimana [5]. 

Sul fronte atlantico, i due storici leader della macro-regione, invece, ossia Brasile e Argentina, pagano scelte legate ai programmi di crescita oggi apparentemente sbagliate: se il primo rimane in piena crisi economica a causa dell’immenso piano di progettazione legato soprattutto agli eventi sportivi nel biennio 2014/2016, i cui negativi risultati hanno coinvolto l’establishment del Partido dos Trabalhadores (PT) negli scandali corruttivi dell’Operazione Car Wash e della Petrobras, il secondo deve risolvere l’eredità in ambito internazionale dell’ultima leadership del governo Kirchner, che aveva rinunciato al pagamento del debito legato agli hedge fund dopo il crack finanziario del 2002. Il Presidente argentino Mauricio Macri, infatti, fin dalla sua elezione ha dedicato grande parte della sua attività istituzionale nell’evitare la class action dei legali statunitensi degli istituti di credito a cui l’ex leader peronista aveva negato il pagamento del debito. Quest’ultimo, celebre per i suoi “Tango Bond”, era stato definito dalla Kirchner come un ricatto dell’Occidente, con gli stessi creditori equiparati a “avvoltoi” e, al contrario, invitati a risarcire l’Argentina per il periodo di crisi. L’apertura di Macri agli Stati Uniti ha convinto solo una piccola parte dei creditori, sostanzialmente quelli meno influenti nella vicenda. Diverso è quindi lo scenario, così come difficile la soluzione della diatriba, per i fondi dei principali creditori, ossia il Capital di Elliott Management e l’Aurelius Capital Management [6]. L’attività di Macri è rivolta al miglioramento dei rapporti con Daniel Pollack, mediatore che a New York cercherà di evitare l’azione legale collettiva dei creditori stessi contro l’Argentina. Un errore durante la trattativa, così come una negativa conclusione della stessa, potrebbe condurre Buenos Aires verso uno scenario economico assai sfavorevole, forse anche peggiore, di quello visto nel post-2002, con i piani di crescita di Macri che verrebbero completamente reindirizzati verso politiche di austerity e tagli nei settori pubblici.

Tali scenari interni hanno pertanto condotto il Fondo Monetario Internazionale a stimare solo una limitata crescita regionale intorno allo 0,2% per l’attuale anno, prevendo però una “previsione zero” per l’intero 2017, in controtendenza di oltre due punti percentuale rispetto alle previsione dell’ultimo trimestre del 2015.  

Il fattore cinese: verso un ridimensionamento? - Come confermano l’ultimo Report dell’Inter-American Dialogue e le dichiarazioni di Margaret Myers, direttrice dello stesso istituto di Washington, nell’ultimo biennio e con prospettive fino al 2020, gli investimenti di credito bilaterale cinese rappresentano l’unica àncora di salvezza per un’economica, quella latino-americana, in momentanea gestazione e possibile collasso.

L’Export Import Bank of China, infatti, in collaborazione con i programmi di cooperazione e sviluppo per la crescita economica della China Development Bank, ha stanziato quasi 30 miliardi di dollari nel 2015, il doppio di quelli dell’anno precedente. Primi beneficiari sono Brasile, per il quale la Cina rimane il primo investitore straniero anche nella collaborazione intra-BRICS, nonché Venezuela ed Ecuador in ordine di quantità di capitali ricevuti e vantaggi politico-economici legati agli stessi. Le velleità di Pechino nell’economia latino-americana sembrano non essersi ancora esaurite dopo un decennio di incessante presenza nel sub-Continente. Altri 35 milioni di dollari sono già stati stanziati per investimenti lungo il 2016/2017, confermati proprio dalle analisi del Fondo Monetario Internazionale [7].   

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Volume dei prestiti cinesi in America Latina (in milioni di $) – Fonte: The Inter-American Dialogue

Se da una parte le economie più in difficoltà del sub-Continente appaiono “sollevate” dagli investimenti cinesi, dall’altra gli stessi piani di Pechino evidenziano una controtendenza rispetto al recente passato. Le continue relazioni sull’asse Cina-America Latina non sono esenti dal riservare negatività e possibili imprevisti futuri importanti, soprattutto dopo che all’aumento esponenziale degli investimenti è conseguita una notevole diversificazione degli stessi: dai settori più tradizionali dell’economia latino-americana, la Cina oggi investe in quelli più strategicamente in linea con i propri piani di crescita e sviluppo, legati quindi ai propri interessi nazionali [8].

Se dopo gli anni Duemila era l’industria estrattiva e il mercato dell’agroalimentare a rappresentare il principale hub di investimento, stimolando una parallela crescita delle varie economie dell’America Latina, oggi Pechino investe in infrastrutture, nell’hi-tech e nelle nuove tecnologie applicate a settori con ampi margini di sviluppo, come l’aeronautica ad esempio.

Nell’ultimo decennio è apparso palese come la Cina abbia diminuito drasticamente i propri investimenti all’interno della produzione della soia, per l’incompatibilità tra i piani e modelli di produzione intensiva di Pechino e quelli più tradizionali dell’America Latina. Ciononostante, soia e produzione di mais nello Stato brasiliano del Mato Grosso vedono una continua collaborazione tra progetti di investimento cinese e cooperative agricole locali, in parte anche paraguayane, sebbene la mancanza di intenti tra business-plan di aziende e multinazionali cinesi e il terzo settore brasiliano sembrerebbe influire negativamente nel prossimo biennio. Non è stato un caso, che in Argentina, dopo la grave crisi del 2001-02, gli affari derivanti dall’agro-business abbiano visto la Cina investire i propri profitti non in nuovi piani di sviluppo e cooperazione, bensì in quotazioni finanziarie e in Borsa. La stessa Unione Europea ha incrementato in modo esponenziale l’esportazione di concimi, frutta, piante e macchine agricole all’interno del sub-Continente, precisamente in Paraguay, nella regione confinante il Mato Grosso, in quanto Asunción continua tutt’oggi ad essere la quarta potenza al mondo nella produzione di soia [9].

Al momento, la Cina incentra la propria attività di leadership negli investimenti all’interno dei settori strategici delle infrastrutture latinoamericane, con progetti come l’alta velocità e la viabilità in generale, settore centrale per migliorare la cooperazione intra-regionale e sostenere progetti importanti come la linea ferroviaria di le oltre tremila miglia che collegherà le coste atlantiche del Brasile a quelle pacifiche del Perù.

Anche il settore aeronautico evidenzia una forte presenza di investitori cinesi in collaborazione con start-up and joint venture della macro-regione. La leadership di Embraer, aziende brasiliana di São José dos Campos a San Paolo, ha già ricevuto 1,3 miliardi in finanziamenti cinesi per lo sviluppo di nuovi aeromobili, anche all’interno del settore militare. Una relazione, quella tra Brasile e Cina in ambito aeronautico, che potrebbe in parte ledere o ridimensionare, proprio per la comprovata forza economica sullo scenario internazionale della Cina stessa, l’attuale piano di cooperazione in campo spaziale tra Italia e America Latina, fortemente voluto e pianificato per il 2016 dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale di Roma. Gli incontri, iniziati in Italia, contribuiranno a promuovere una maggiore formazione di tecnici e professionisti in campo spaziale in Italia e nei Paesi latino-americani partecipanti, con importanti prospettive sui piccoli satelliti e le tecnologie abilitanti per le piccole missioni.

Nonostante le evidenti differenze tra un’economia e l’altra, le previsioni per il 2016 non appaiono in generale positive per i Paesi latino-americani, almeno non quanto i precedenti parametri avessero auspicato dopo la crisi finanziaria del 2007. Alla vigilia del primo trimestre 2016, le immense opportunità che continuano a caratterizzare la macroregione appaiono incapaci di imporre una definitiva, o quantomeno solida e auspicabile, crescita economica. Forse, solo la creazione di modelli di crescita e sviluppo ad hoc potrebbero invertire gli attuali trends negativi di un sub-Continente che, nonostante i suoi parametri da Sud del mondo, continua chiaramente a rappresentare un unicum nello scenario internazionale.

Francesco Trupia è OPI Adjunct Fellow e Head Osservatorio Brasile

[1] Per un approfondimento sulle disparità sociali dell’America Latina: F. Trupia, “An Escape from Poverty” Il nuovo ceto medio nelle dinamiche di crescita dell’America Latina, Osservatorio di Politica Internazionale (OPI), 10 agosto 2015.

[2] In Brasile, ad esempio, così come in quasi tutti i Paesi del Sud America, l’aborto rimane illegale e punito con il carcere fino a dieci anni, consentito solo in caso di pericolo di vita per la donna o se la gravidanza è la conseguenza di uno stupro o incesto.

[3] Exit Polls: “No” Vote Wins with 51% in Referendum on Morales’ Reelection, Latin American Herald Tribune, February 24, 2016.

[4] Cile: torna il Mir, ma questa volta si presenta come partito politico, ilVelino.it, 12 febbraio 2016.

[5] La Food and Agriculture Organization (FAO), organizzazione delle Nazioni Unite, all’interno del World Food Programme, ha premiato il Venezuela per il piano di sussidio chiamato “Misión Alimentación”, creato da Hugo Chávez nel 2003.

[6] D. Corrado, Brasile senza maschere, 2014, UBE, p.145

[7] N. Raymond, Argentina reaches settlement in U.S. debt class action: mediator, Reuters, February 16, 2016.

[8] L’FMI da anni segue le mosse della Cina nel sub-Continente, evidenziando l’esponenziale crescita, con soli 6 milioni di dollari nel 2000 che hanno raggiunto i 130 nel 2014. Alcune critiche erano state mosse contro la presenza cinese nell’altra macroregione del Sud Globale, l’Africa, nonostante la collaborazione intra-BRICS con il Sud Africa e l’importante cooperazione con l’Algeria sull’asse dell’interscambio commerciale tra Pechino ed Algeri, cresciuto dell’11,3% nel 2014, registrando la quota di 5,7 miliardi di dollari. Fonte: Atlante Geopolitico del Mediterraneo 2014, (a cura di F. Anghelone e F. Ungari), pag. 164.

[9] Come affermato da Myres: “The relationship isn’t perfect. China has run into many roadblocks and challenges in Latin America, forcing projects to be suspended or even canceled.” Cfr. Patrick Gillespie, Latin America: China’s power play right under the U.S., CNN, February 11, 2016.

[10] Nonostante l’ecologista Jorge Morello avesse spiegato come la soia può rappresentare un modello di sviluppo avente potenzialità pari a quelle del petrolio, i ritmi frenetici dell’economia cinese in quelle terre non garantivano introiti veloci laddove la coltivazione desertificava la stessa zona di produzione.

Photo credits: Latin America/CEAL

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