E’ evidente la sovversione di un modus operandi fondante gli attuali sistemi. Le politiche pubbliche non sono più espressione di una volontà popolare, che democraticamente elegge una classe dirigente politica, affinché le renda legge e poi decreti attuativi. Al contrario, esse sono frutto di una coercizione di sistema che si impone dall’alto, non democraticamente, attraverso un soggetto non identificabile per il cittadino e che prende il nome di “mercato”.
Nella storia, diversi secoli fa, l’attuale “mercato” si chiamava “Chiesa”, che si incarnava nella figura dei “Papi”.
Tra la fine del 1200 e la prima metà del 1300, vi era la volontà dei Papi di definire la proprietà privata come “sacra”. In quanto tale, il Papa aveva il potere di legittimazione universale, sia sui cittadini sia sugli Imperi e, quindi, anche sugli Imperatori.
Nel 1302, Bonifacio VIII ribadiva ancora, con forza, il progetto teocratico già fissato da Gregorio VII e Innocenzo III, che consisteva nell’idea che tutte le creature umane, compresi i Re e gli Imperatori debbono essere sottomessi al Pontefice.
Guglielmo da Ockham, frate francescano formatosi a Oxford, dove insegnò, rispondeva così: 1) il potere secolare era legittimo anche prima dell’avvento di Cristo; 2) l’esame, l’unzione, la consacrazione e l’incoronazione sono cerimonie per sottolineare l’investitura, ma non dimostrano che l’Impero derivi dal Papa, ne che egli debba essere confermato Pontefice; 3) l’Imperatore non è vassallo del Papa, semmai il Papa, in quanto possessore di beni materiali, è vassallo dell’Imperatore e deve prestargli giuramento; 4) il Papa non può deporre l’Imperatore perché tale potere spetta solo al popolo che lo ha eletto; 5) il Papa non può essere giudice supremo delle cause secolari e non può impugnare entrambe le spade.
Pertanto, la plenitudo potestatis non aveva fondamento teologico e nemmeno morale, era sinonimo di dispotismo e di tirannia, nonchè esaltazione dell’interesse personale e totale mancanza di attenzione verso il bene comune.
Oggi la plenitudo potestatis non chiama in causa il rapporto tra Papi, Chiesa e Impero, ma, in una versione aggiornata e rivisitata, attiene al rapporto tra “i mercati”, gli Stati e i cittadini.
Aggiornando l’opposizione di Guglielmo da Ockham al presente, potremmo affermare che: 1) il potere secolare era legittimo anche prima dell’avvento dei mercati e del capitalismo; 2) lo spread, i default, i rendimenti, il debito pubblico non sono altro che chiavi di lettura dei risultati di politiche attuate da forme di governo diverse, ma non dimostrano che i governi siano legittimi a seconda dei range conseguiti, tanto meno che i governi possano essere consacrati dai mercati stessi; 3) i Governi non sono vassalli dei mercati, semmai i mercati, in quanto possessori di beni materiali e finanziari, sono vassalli dei Governi e devono prestargli giuramento, quindi non porsi al di sopra delle regole; 4) i mercati non possono deporre i Governi perchè tale potere spetta solo al popolo che li ha eletti; 5) i mercati non possono essere giudici supremi delle cause secolari.
Nella prospettiva di Guglielmo da Ockham, lo Stato è, pertanto, istituito allo scopo di consentire e salvaguardare una vita pacifica e ordinata e, quindi, anche l’esercizio di tali diritti. Lo Stato ha potere legittimo quando esso è accettato dai cittadini.
Ancora più interessante, per l’attualizzazione ad oggi, è un ulteriore aspetto trattato da Ockham che riguarda il legame tra Stato e Chiesa.
Ockham confuta la tesi che il Papa abbia ricevuto da Cristo la pienezza del potere anche nelle cose temporali. L’Impero, infatti, esisteva a Roma già prima di Cristo e da Roma trapassato a Carlo Magno e poi ai suoi successori. Cristo stesso aveva detto date a Cesare ciò che è di Cesare, riconoscendo l’autonomia dei potere civile. Da questo discende un’autonomia piena del potere civile, dell’Impero, che per essere legittimo non ha bisogno nemmeno di ricevere l’investitura papale.
Questo insegnamento è valido tutt’ora, poiché afferma la supremazia del potere civile nella determinazione delle forme sociali e lo fa affermando il fine ultimo del potere civile, cioè il bene sociale.
I mercati che condizionano i governi non rispecchiano certamente tale principio. Anzi, lo sovvertono in una logica tirannica e dispotica che snatura le fondamenta dell’attuale civiltà. I tentativi di far assurgere i mercati a nuove entità divine, quasi universali, sicuramente trascendenti, non è altro che l’atto golpistico di trasformazione degli assetti sociali, rivolti a privare i cittadini dei loro diritti civili.