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Critica: Uno strano alfabeto

Da Gio65 @giovanniparigi

Un personaggio dimenticato, particolare - che sembra uscito da Mary Poppins ma si risolve poi in gesto amaro - è il protagonista di "Uno strano alfabeto" di Giovanni Parigi. Breve, questo racconto, ma denso di simbolismi: lo stesso piccolo protagonista della storia, tratto dall'immaginario fiabesco romantico-popolare, che nell'opera di Britten è metafora della rivolta morale contro ogni forma di sfruttamento infantile, qui diviene simbolo di una condizione umana più generale. Il giovane spazzacamino ci proietta in un tempo passato, ma rappresenta la perenne voglia di riscatto, la ribellione e l'energia vitale, che non è sopravvivenza ma bisogno di esserci, di lasciare un segno.

La donna spinge le sue figlie confetto, le sue figlie bambole, le sue figlie di zucchero filato, a compiere un gesto che sembra carità e diventa, invece, affronto, lesa dignità. La moneta messa in bocca allo spazzacamino è come "dar da mangiare al canarino". Il ragazzo, però, reagisce, si riappropria del valore di un lavoro libero e consapevole, seppur umile. Lo spazzacamino Alfredo è come i cavalli che, "attaccati al carro della vita", la "mordono". Allo stesso modo, egli morde la mano che lo beffa e, insieme, in uno scatto di orgoglio, morde poi "l'occasione", il lavoro onesto, dignitoso, pulito nonostante la fuliggine. "Azzannare, addentare", è desiderio di affermarsi, di "mordere la vita", è aspirazione alla conquista della propria dignità; è rifiuto dell'idea stessa di sopraffazione.

Patrizia Poli e Ida Verrei in Laboratorio di narrativa


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