A proposito di qualche testo: Anselm Jappe, Jaime Semprun, Robert Kurz
di François Bochet
Per Bordiga, nel socialismo il valore non esisterà più - così come non esisterà la moneta, il salariato, l'impresa, il mercato -, laddove c'è valore, come in Unione Sovietica, non ci può essere socialismo. Anselm Jappe - già autore di un "Guy Debord", apparso nel 2001 - ha scritto un libro ambizioso ed interessante, "Le avventure della merce. Per una nuova critica del valore", Denoêl, 2003; dove fa una distinzione fra un Marx essoterico partigiano dei Lumi e di una società industriale diretta dal proletariato - un Marx che si interessa ai problemi contingenti, politici, alla lotta di classe e al movimento del proletariato, quello del Manifesto e della Critica al Programma di Gotha - ed un Marx esoterico, quello del Contributo alla Critica dell'Economia politica, dei Grundrisse, dell'Urtext, del VI capitolo inedito del Capitale e dei quattro libri dello stesso Capitale, un Marx che si pone il problema del capitale, della sua definizione, della sua origine, del suo divenire e del suo superamento nel comunismo e nella comunità. Scrive Jappe (pag.11) che il pensiero di Marx è servito a modernizzare il capitale - cosa innegabile - e che i marxisti tradizionali si sono posti solo il problema della ripartizione del denaro, della merce e del valore senza metterli in discussione in quanto tali. Per Jappe il movimento rivoluzionario avrebbe perciò accettato valore, salario, merci, denaro, lavoro, feticismo, ecc. - cosa che è insieme falsa e vera - e lui, Jappe, si propone di "ricostruire la critica marxiana del valore in modo abbastanza (?) preciso" (pagina 15). Rimprovera giustamente a Rubel di avere edulcorato il linguaggio hegeliano di Marx, nella sua edizione delle opere di quest'autore, e di avere chiamato opere "economiche" delle opere "anti-economiche" (molto tempo fa, Paul Mattick aveva fatto la stessa critica al "Trattato di economia marxista" di Ernest Mandel). Jappe afferma - insieme al collettivo tedesco riunito attorno alla rivista Krisis ed al suo principale teorico, Robert Kurz, cui egli è legato - la scomparsa del proletariato ; cosa che non gli viene perdonata dai teorici del proletariato rivoluzionario.
Ma - ed è questo il punto - egli cita come precursori del suo lavoro (a pagina 20), Lukacs e la sua "Storia e coscienza di classe", gli Studi sulla teoria del valore di I. Roubin, così come i lavori di Adorno, di Hans-Jurgen Krahl, di Lucio Colletti, di Rosdolsky, di Perlman e del trotskista J.-M. Vincent. Lungi da noi l'idea di negare l'importanza di tutti questi teorici - anche se associare dei teorici notevoli all'infelice Colletti, o anche a Vincent, ci pare curioso, una sorta di confusionismo, confusionismo interessato per parlare come l'Internazionale Situazionista - ma un'osservazione si impone immediatamente:
delle due l'una, o Anselm Jappe è un ignorante, ed ignora Amadeo Bordiga, Jacques Camatte ed i loro lavori (per non parlare di riviste come Le mouvement communiste, Négation o Théorie Communiste, all'inizio degli anni settanta del secolo scorso; Jappe cita la rivista Socialisme ou Barbarie, la quale non ha mai sviluppato una critica del valore, non più dell'Internazionale Situazionista - al contrario di quel che pretende Jappe - che ha criticato, al seguito di Lukacs, solo la merce), cosa che facciamo fatica a credere, oppure allora è in mala fede - per non dire peggio - e vuole nascondere ai suoi lettori alcune opere per delle ragioni che possiamo facilmente immaginare. In ogni caso prende in giro tutti. Eliminando quei teorici, evidentemente diventa facile per Jappe sfilare, mostrando la nullità pretenziosa e crassa di un Pierre Bourdieu, della costellazione di Attac, o di un Antonio Negri. Aggiungiamo che se Bordiga ha sempre messo al primo posto, dopo la seconda guerra mondiale, nella sua definizione di comunismo, la soppressione del valore, del denaro, della merce e dello scambio, non è affatto la stessa cosa della corrente consiliarista - chiamata così per semplificare - della sinistra tedesco-olandese. (E qui almento Debord ed i situazionisti fecero opera salutare reclamando, seppure in modo molto ambiguo, la soppressione della merce; non parlarono però affatto di valore). Da qui lo scandalo e la sorpresa che, nel 1972, provoca il testo di Jean Barrot, alias Gilles Dauvé, "Contributo alla critica dell'ultra-sinistra. Leninismo e ultra-sinistra", e l'ostracismo di cui fu vittima il suo autore da parte di quegli ambienti consiliaristi che non potevano tollerare quella critica, e soprattutto il tentativo di Dauvé di integrare elementi della teoria di Bordiga, il quale era stato ridotto assai rapidamente, da quelle correnti consiliariste, ad un teorico ultra-leninista. Serge Bricianer, per esempio, uno dei rappresentati di quest'ambito consiliarista, curatore di un'antologia assai interessante di scritti di Pannekoek (Pannekoek ed i consigli operai), nella sua introduzione alla "Risposta a Lenin" di Gorter difende, così come faceva il GIK olandese, non già "l'abolizione del lavoro salariato e del denaro", ma "la messa in atto di modalità di ripartizione non più fissate arbitrariamente, e sulle quali i lavoratori non possono niente, ma che al contrario vengano determinate da essi e con l'aiuto di appropriati strumenti contabili". Il valore dunque sussiste, bello e buono, e si crede di comprendere che la sua soppressione darebbe luogo alla creazione di un regime come quello dei Khmer Rossi in Cambogia.
Jappe ha il merito di ricordare l'opera di Alfred Sohn-Rethel, il cui libro "Lavoro intellettuale e lavoro manuale" è apparso a Francoforte nel 1970, per il quale le forme di pensiero astratto sono, per semplificare, dei prodotti della forma valore (o, più esattamente, c'è una corrispondenza fra le due cose), e dunque le categorie del pensiero occidentale non sono né universali né a-storiche (cosa che già aveva cominciato ad affermare Lukacs, in Storia e coscienza di classe), solo il valore e lo scambio (che non sono possibili se non attraverso un enorme processo di astrazione, per cui bisogna prima fare astrazione delle qualità per poi poter comparare due oggetti a priori totalmente differenti, e quindi quantificarli per trovare una misura comune) possono a loro volta consentire l'astrazione, ma allora si pongono ulteriori problemi che Sohn-Rethel non ha affrontato (senza contare che 1. per lui l'alienazione proviene dallo scambio di merci, la produzione rimane neutra, e che 2. la separazione fra lavoro intellettuale e lavoro manuale non ha, nella definizione di capitale, quel posto centrale accordatogli da Sohn-Rethel): si potrebbe conquistare l'astrazione (senza cui ogni riflessione appare impossibile) senza passare per la deviazione del valore, si può trovare un modo di vita ed una rappresentazione, una volta abolita la divisione fra lavoro manuale e lavoro intellettuale, che impedisca all'astrazione di rendersi autonoma e di ritorcersi contro la vita? Come abbiamo detto, Lukacs aveva affrontato questo problema in Storia e coscienza di classe - Lukacs, dopo la sua rottura con lo stalinismo, continuerà ad affermare che il valore è ancora in vigore sotto il socialismo, in particolare in uno dei suoi ultimi scritti, "Il processo di democratizzazione" - e Adorno riprenderà tale intuizione, allora che si lega a Sohn-Rethel. E' certo che il valore ed il capitale sono delle forme a priori del pensiero umano nelle quali siamo ingabbiati, in quanto specie e in quanto individualità, più terribilmente che nelle caverne di Platone, da delle forme che ci hanno modellato, degli schermi che ci impediscono di prendere contatto con la realtà naturale, intermediari obbligati e deformanti, comunità terapeutiche contro-natura e dispotiche.
Per finire, diremo che Jappe - così come fa l'antologia di Marx realizzata da Robert Kurz (Leggere Marx, 2002) - allontana la questione dell'accettazione da parte di Marx dei principi fondamentali della "erranza", la quale si esaspera, ma non comincia col capitalismo e la rivoluzione industriale: l'esigenza dello sviluppo infinito delle forze produttive, la volontà di dominare la natura, di separarsene, la scienza, l'abbandonarsi al divenire e la distruzione dei limiti, ecc.. Se si vuol fare un bilancio dell'opera di Marx, la quale ha un'immensa importanza in ogni caso, bisogna affrontarla nella sua totalità, non certo ridurla, ma nemmeno occultare le sue dimensioni mondane (nel senso di "facente parte di quel mondo"), non inventarsi un Marx fantasmatico che non è mai esistito.
Nel "Manifesto contro il lavoro", il gruppo Krisis - Robert Kurz, Ernst Lohoff et Norbert Trenkle ed altri - intende riprendere la critica laddove, dicono, l'Internazionale Situazionista l'aveva lasciata - cosa questa che limita fortemente la loro teorizzazione. Per loro, e noi lo condividiamo, non c'è più una classe emancipatrice, la lotta di classe non permette di uscire dal capitalismo, è solo una lotta all'interno del capitale, della quale il proletariato è una componente fra le altre. Ma gli autori parlano ancora, se non di rivoluzione, quanto meno di emancipazione sociale e lanciano degli appelli ai proletari (per esempio alla fine del libro). Allora? Criticano il lavoro, ma ci preoccupa la loro rivendicazione di un'estensione massiccia del tempo libero, rivendicazione aberrante - parola d'ordine pubblicitaria dell'industria dell'intrattenimento - perché non si tratta più di rivendicare il lavoro o il non-lavoro ma di considerare l'attività in maniera del tutto differente; così come ci preoccupa lo slogan inquietante "Prendiamoci quello di cui abbiamo bisogno!" (pag.95), e poi, che cosa può significare quell'appello ad "organizzare il legame sociale stesso" e a trovare delle "nuove forme di movimento sociale" (pag.106)?!
Ne "Il fantasma della teoria" (apparso sulla rivista di Jean-Marc Mandosio, "Nouvelles de nulle part" n°4, settembre 2003), Jaime Semprun, a sua volta, fa qualche osservazione critica al libro di Anselm Jappe. Comincia col domandarsi, anche lui, se una teoria rivoluzionaria sia ancora possibile, e critica Lukacs - anche lui - per avere scritto in "Storia e coscienza di classe" che solo il proletariato poteva accedere alla conoscenza ed alla totalità, identificando in questo modo coscienza di classe e partito leninista. Ma che Lukacs avesse fatto quest'identificazione, era solo un fatto secondario, la follia risiede assai più fondamentalmente nella sua teologia proletaria e rivoluzionaria (il proletariato come messia soggetto-oggetto della storia). Fondamentalmente, anche Semprun rimprovera a Jappe di non rimettere in causa lo sviluppo industriale, scientifico e tecnologico, di restare fedele all'escatologia marxista fondata sullo sviluppo delle forze produttive e sulla credenza mistica nel sorgere miracoloso di una società altra a partire dalla "lunga agonia della società delle merci", dalla devastazione rivoluzionaria in atto. Un emergere che lo stesso Jappe non osa più chiamare veramente rivoluzione. Come il gruppo Krisis (vedi a pag.39 della stessa rivista, le "Note sul Manifesto contro il lavoro del gruppo Krisis" dello stesso Semprun), Jappe parla effettivamente di produzione senza evocare la natura di quello che viene prodotto - e l'importante non è solo come si produce ma anche ciò che si produce - parla come se ci fosse ancora, anche se ammette la scomparsa del proletariato, un'umanità che non sarebbe stata desustanzializzata, che non sarebbe imprigionata in queste categorie a priori che ha pur tuttavia messo in evidenza.
In breve, come dice Semprun in altri termini, Jappe non sembra comprendere il carattere catastrofico della situazione attuale e l'urgenza di un cambiamento di prospettiva totale e radicale. Scrive Semprun: "Quando la nave cola a picco, non è più tempo di dissertare sapientemente sulla teoria della navigazione: bisogna imparare velocemente a costruire una zattera", così raccomanda di coltivare l'orto e afferma che "un buon manuale di orticoltura (...) sarebbe senza dubbio più utile, per attraversare i cataclismi che arrivano, piuttosto che degli scritti teorici nei quali si persiste a speculare imperturbabilmente, come se stessimo bene all'asciutto, sul perché e sul come del naufragio della società industriale".
Noi siamo del tutto convinti circa l'utilità di coltivare il proprio orto - cosa che va di pari passo con la fuga dalle città, non sempre facile, con il rifiuto della dipendenza, con la terapeutica, con l'inizio della riconquista della salute, dell'habitat, ecc. - e dunque di un buon manuale (citiamo, ad esempio, "La Guida del giardino biologico" di Jean-Paul Thorez), ma non pensiamo affatto - malgrado la presenza dei cataclismi - che lo studio teorico sia inutile, al contrario è più che mai indispensabile; dobbiamo fare soprattutto il bilancio dell'attività teorica e pratica dei rivoluzionari, e studiare il loro contributo alla costruzione del terribile mondo nel quale siamo imprigionati e dove difficilmente riusciamo a trovare l'aria per respirare.