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Crocchè e pastrocchi

Creato il 06 novembre 2012 da Casarrubea
Beppe Grillo

Beppe Grillo

Di solito gli italiani si distinguono per la loro appartenenza a un ben determinato partito, sia questo il primo sia anche l’ultimo di tutti quegli altri che sono riusciti a cambiare prima dell’epilogo del loro curriculum politico. Se militano in un partito fanno tutti più o meno le stesse cose. Per lo più applaudono e s’inchinano. Se contestano di solito vengono collocati ai margini. A meno che non abbiano buone tifoserie. Le elezioni siciliane di ottobre hanno segnato la rottura di questo andazzo e la grave stanchezza di quanti si sono ormai rotti di questa falsa democrazia alla quale ci eravamo assuefatti.

Quello che osservo è che, sfumatura più, sfumatura meno, i militanti si assomigliano tutti, perché hanno gli stessi bisogni. A mano a mano salgono nella scala gerarchica interna ai loro partiti, le somiglianze si assottigliano e talvolta non è possibile neanche distinguere l’appartenenza politica tra un dirigente e un altro. Più si sale e più ci si chiude. Fino all’astrazione totale. Circostanza che accade quando il dirigente ha acquisito il tocco della stagionatura. Come succede ai formaggi o ai vestiti che si mettono negli armadi canforati. Li tiri fuori e anche a distanza ne senti il puzzo particolare. Guardateli in faccia i politici. Sembrano provenire da un altro pianeta, parlano in astratto, non si calano nella materialità del concreto. Del giorno dopo giorno. La differenza tra Bersani e Renzi è solo questa. Il primo è fermo a una identità tradizionalista, il secondo vuole essere a modo suo innovativo, all’americana. Come lo fu Veltroni, con la fine che ha fatto.

La questione essenziale è questa: il divario non esiste solo tra l’alto e il basso nell’ambito di un solo partito, ma tra tutti i dirigenti da un lato e tutti i militanti di base dall’altro. A prescindere dai partiti. Ecco perché non c’è molta differenza tra Bersani, Casini, Fini, Alfano e via di seguito. Grillo è la stessa cosa a parte il dato stilistico al quale ricorre. Predica bene e razzola male, come certi preti abituati a servire Dio e Mammona. Lo dimostra il caso di Federica Salsi, additata e messa al bando dei suoi compagni di partito, per avere partecipato, senza il permesso del capo, a Ballarò.

L’obiettivo di Grillo è la distruzione dei partiti. Saranno sostituiti nella sua mente da una sorta di consiglio che tanto mi richiama alla mente quello del Partito nazionale fascista (Pnf) in cui a comandare c’era un solo capo. Non sottovaluto la cosa. Anche Mussolini, che era ben misera cosa alla fine della prima guerra mondiale, usò lo squadrismo e poi  i media per estendere i suoi poteri. E la stessa cosa fece Hitler quando dopo il 1933 si servì di Joseph Goebbels, quale ministro della propaganda del Terzo Reich. Scrive su Repubblica on line di oggi Francesco Merlo: “sono i tipici sintomi di quelle febbri da teste calde. Pensate che il nostro Carneade produce video inchieste per il movimento, il gruppo virtuale dei grillini, firmate con il soprannome di un pirata, “Nick il nero”, proprio come un tempo i ragazzi di Farinacci adottavano nomignoli salgariani: “La disperata” era la squadra, e il capomanipolo era “Yanez”.

Rimangono, tuttavia, alcune connotazioni o dati semiologici utili a ipotizzare i significati di ciò che si è, dopo l’espoliazione sociale della propria condizione, e la propria riduzione a figura di sistema, elemento d’apparato. Pur negandoli. Una condizione, questa, alla base della corruzione, della perdita di senso del contesto e delle proprie mete valoriali. Comunque si ponga la questione si tratta di capri espiatori che sono, a ben guardare, vittime sacrificali delle macchine/partito.

Grillo equivale a tutti gli altri, anzi ne è la versione peggiorata. E tutti si riducono alla degenerazione con un grado di responsabilità che per comodità istituzionale si fa passare per soggettiva, mentre è in realtà collettiva e dirigenziale. Frutto della forza di deformazione del sistema/partito. E’ il caso di molti personaggi: da D’Alema a Berlusconi, da Fini a Casini, da Lombardo a Crocetta, da Alfano a La Russa. Con il Movimento 5 stelle è accaduto lo stesso processo. Grillo è diventato la vittima della sua stessa trappola.

Ma c’è una componente non verbale che contraddistingue tale fenomeno, ed è l’atteggiamento. Gli uomini si deformano a misura del peso che grava sulla loro condizione e sulla loro funzione. E’ come se ne fossero deformati. Mentre tendono verso l’alto, una forza più grande di loro li comprime, li spinge sottoterra. Per ciò che fanno, sia il mestiere che esercitano, sia anche ciò che sono indotti a compiere giorno dopo giorno. Alla fine tutto si manifesta tramite una faccia, uno stile, un portamento, un vocabolario non detto. Acquistano un particolare modo di gesticolare, un certo temperamento, un certo timbro di voce, un’andatura. Una maschera dalla quale salta fuori ciò che è rimasto di quel corpo e di quel cervello che formava l’uomo. Una sagoma alterata.

Tutte le spinte esogene hanno lasciato in lui un certo apparente garbo, un’indole placida ed edulcorata, quasi di grazia. Ma se si tocca il tasto della suscettibilità l’uomo salta in aria, diventa aggressivo, non controlla se stesso e il suo rapporto con l’avversario. Allora minaccia, nasconde i suoi complessi con l’ostentazione della sicurezza. E’ Crocetta. Bravo, intelligente, ma disponibile alla mediazione. I progetti che ha sulla Sicilia sono quelli che possono fondarsi sul denaro altrui, dell’Europa, dello Stato, non so di chi. Si muove dando l’impressione che a momenti barcolli, oppure con la sicumera dell’avanzata della buonanima, quando si erigeva a modello di lavoratore provetto, nelle campagne per il grano, per la guerra, per le famiglie numerose, per il consumo di zucchero. Crocetta non si annaca, ma dondola, gongola, proclama.

Cuffaro, da questo punto di vista, non fu il suo maestro. Si direbbe che mentre Totò insegnò a tutti l’arte dell’amicizia e della servitù, della tradizione sicula, del potere paterno, dell’essere tutti della stessa famiglia se “il capo sono io”, Rosario va avanti anche senza amici, trascinato dalle sue idee che lo tirano per il naso. Rosario vuole essere tirato per i capelli, Totò per la giacca. Adesso uno va ad occupare il posto che fu dell’altro, mentre l’altro si è fatto asceta, nel suo eremo di galera, convertendo la sua pinguitudine in un duro esercizio di controllo fisico, di forgiatura del proprio corpo e della propria mente. Sono sicuro che, tra qualche anno, Cuffaro sarà di ritorno sulla scena politica come un martire restituito al suo tempo. E i siciliani saranno lì a beatificarlo, ad osannarlo, come padre della patria. Cuffaro sì. Si “annaca”. Si atteggia ad amico, a fare la paternale, a cogliere dei siciliani quella dimensione autonomistica cara anche al Pd, e a tutti quegli altri partiti e partitini, i cui leader, con o senza coppole in testa, sono per una condizione interna della Sicilia, per una certa insularità, per un certo suo aulico distacco. Una dimensione della mafiosità che non è mafia, ma che, come è stato dimostrato dai fatti, e dagli anni di condanna alle patrie galere, confina con la mafia, quell’organizzazione a delinquere che chiamiamo “Cosa Nostra”.

Grillo ha capito poco di questa realtà e francamente le voci che circolano sulla possibile candidatura del procuratore aggiunto della Repubblica, Antonino Ingroia, esponente di punta dell’antimafia, circa una sua candidatura nel Movimento a 5 stelle, mi incuriosiscono molto. Per un solo fatto. L’antimafia perderebbe una risorsa non facilmente sostituibile. E poi questi non sono tempi di pastette e accodarsi ai capipopolo non aiuta a risolvere le cose. Formerebbe semmai delle miscele insignificanti quali sarebbero quelle derivanti dalla mescolanza delle intenzioni di Crocetta con quelle di Miccichè. Con l’aggiunta di qualcosa di ibrido e oscuro. Una sorta di nuovo pastrocchio che qualcuno ha già battezzato il partito dei Crocché.

Giuseppe Casarrubea


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