La convivenza ha chiuso le tende per un consiglio errato, o meglio un ricatto psicologico e morale. Ci sono caduta con tutte le penne e ora sono sola, qui. È mia usanza credere che difficilmente le persone cambiano opinione su di te. Infatti Daniele non ha cambiato idea, perché mi conosce. Ma la mia condizione di “incompresa” è storia vecchia, non ne vale la pena nemmeno parlare, per le troppe cose da dire.
Ieri sera è stato a cena qui e abbiamo fatto fuori quasi un chilo di gamberi. Il pescivendolo al mercato è riuscito a vendermeli: “Ti faccio un regalo: solo 20 euro”
“Li cucinerò al mio fidanzato domani”
“Così lo farai innamorare!”. Stavo per rispondere, perché non mi so tenere un cece in bocca, come si dice, poi sono stata zitta, perché era troppo lunga da spiegare.
Il fidanzato però è stato davvero contento e siamo stati felici come quando vivevamo qui.
Opinioni diverse sul mondo non mi scoraggiano: sono lontani i tempi in cui credevo che il mondo fosse diviso davvero tra cattivi e buoni. Sono concetti troppo assoluti, noi siamo tutti relativi. Il mondo, per me, è diviso tra quelli che sono buoni con me e quelli che non lo sono. Ai primi cerco di dedicare il mio tempo, gli altri non li voglio neanche vedere.
Sono stata al supermercato, ora, e una busta si è rotta da quanto era piena. Mi ricordo quando ci andavo insieme a lui: erano attimi celestiali. Finalmente potevo decidere di cosa riempire il carrello senza che nessuno protestasse! A Firenze, quando ero ragazzina, mia madre mi mandava al supermercato e mi dava una lista scritta a mano quasi illeggibile, che prima di uscire mi spiegava. Dovevo comprare quello che c’era scritto: nient’altro. E se andavo a fare la spesa con lei, non potevo mettere niente di nuovo nel carrello di mia iniziativa, rispetto a quello che era già stabilito. Con Daniele invece i miei desideri erano accontentati. Mettevo questo, mettevo quell’altro, e in pochi mesi siamo ingrassati tanto, ma non ce ne fregava niente. Mangio quando sono felice, il mio digiuno è legato alla tristezza e all’apatia. Trovo ovvio riversare le mie emozioni nel cibo, dopo i miei trascorsi da anoressica e bulimica.
Ha paura a tornare, è normale. Non voglio guardarmi indietro perché mi dispiace quello che ho fatto. Voglio solo ricoprirlo di attenzioni. E mentirei se dicessi che non m’importa l’opinione degli altri, ma so che non posso fare più nulla per modificare certi giudizi pesanti. E mi porto la mia croce, come sempre. Prima per gli altri ero una “paranoica”, dopo ero una che si credeva “chissà chi”, ora sono quella che ha “cacciato di casa il compagno” e per questo merito la gogna. Per fortuna che quasi nessuno crede più alle streghe, altrimenti sarei scomparsa già da un po’.
Intervista della Social Agency in qualità di blogger. Sconsiglio di guardarla, però il fidanzato mi consigliava di metterla.
Cronaca di una convivenza. In partenza per il Salone del Libro di Torino (racconto precedente)
Ornella Spagnulo