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Cronaca nera tra dovere e rispetto.

Creato il 09 giugno 2012 da Giornalismo2012 @Giornalismo2012
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-Di Carmen Gueye

Fatti di sangue si verificano da sempre, ma i media sono invasivi in modo devastante da molto meno: gli ultimi dieci anni hanno visto precipitare la situazione. Il proliferare delle televisioni prima, il dilagare della rete poi, non hanno più permesso un reale controllo delle notizie; vuoi anche per la spietata concorrenza tra testate e network, oltre la necessità di attirare pubblicità e in ultima analisi guadagni, non soltanto non è garantita la privacy, ma nemmeno la dignità dei protagonisti.

Non faremo del moralismo, perché seguiamo a nostra volta ciò che accade e ci siamo attardati spesso nell’analisi dei fatti, degli episodi, dei misteri, soprattutto italiani: dal dopoguerra, che vide l’esplodere del caso Montesi (in fondo, ancora irrisolto) giù giù fino a Erika e Omar, Cogne e tutto il resto che ognun conosce.

Però, un barlume di coscienza evidentemente ogni tanto si fa strada e, per fortuna, ci disturba. Poniamo ad esempio, a paradigma, un caso per tutti, quello della povera Melania Rea. Qui ciascuno può trovare quel che cerca: un Mezzogiorno d’Italia moderno, ma ancora legato, almeno in provincia, a solide tradizioni familiari, ai cosiddetti valori; una bellissima giovane che attende il suo eroe di ritorno dalle missioni internazionali, per poterlo sposare con una cerimonia da favola davanti a tutto il paese, come in un libro di Liala; una coppia che entra, però, subito in crisi, come accade spesso ormai, in tutto il mondo; il delitto, inspiegabile, con il contorno osceno di uno sfregio; l’aprirsi del sipario su una vita dissoluta e un ambiente impenetrabile come quello militare; infine, la ridda di giornalisti che si schierano, di esperti che pontificano, e di cittadini che piombano sui social a dire la loro senza veli: ipotesi sui colpevoli, giudizi implacabili, perfino spericolate incursioni negli aspetti scientifici, ora che DNA, tabulati e telecamere paiono doverci raccontare tutto e sono invece terreno di scontri tra legulei, periti e procure. La nebbia è fitta.

L’essere umano è curioso: si può chiedergli di non pensare, non interrogarsi, non pretendere delle risposte? I media hanno una funzione anche educativa o no? E’ giusto censurare una notizia in nome del pudore o si deve arrivare a scandagliare ogni aspetto delle vite altrui, in nome di una verità peraltro sempre più lontana?

Il conflitto interiore non ci dà requie e neppure risposte. Proviamo l’usato metodo di domandarci cosa proveremmo noi al posto loro. Ci piacerebbe vedere le esistenze dei nostri cari, per non dire quelle personali, sbattute su ogni copertina, accanto alle più turpi supposizioni? E non importa se poi arriverà una smentita che, come recita una massima, diventa una notizia data due volte. Vorremmo dover nascondere i nostri figli alla vista altrui? Come sarebbe lasciare il lavoro, perdere la fonte di reddito, contrarre debiti? E resisteremmo alla morbosa intrusione di tutti nella nostra quotidianità, tanto da non poter più mettere il naso fuori di casa?

Ecco, noi vorremmo umilmente, con queste semplici riflessioni, sollecitare le sensibilità in ascolto. Forse qualcuno è davvero colpevole. Magari ci è fortemente antipatico e disapproviamo il suo stile di vita; e la vittima invece è una figura dolce, in cui ci identifichiamo e vorremmo, attraverso la giustizia per lei, fare i conti con tutto il male del mondo, ma non possiamo.

Chiediamo a tutti un passo indietro. Dovere di cronaca e rispetto devono convivere. Utopia?


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