Magazine Diario personale

Cronache dalla Clinica – La scelta della donna perfetta

Da Giulia Calli @30anni_Giulia

Immaginate di avere un database enorme, con migliaia di voci identificate da un codice. Ogni codice, una ragazza fra i 18 e i 35 anni che ha donato i suoi ovociti. Sono classificate per gruppo sanguigno, altezza, colore degli occhi, dei capelli, della pelle. In base alla combinazione dei colori, viene fuori un gruppo fenotipico: ci sono quelle come me - pelle chiara, occhi e capelli castano scuro - quelle coi capelli castano chiaro, le bionde con gli occhi chiari, le bionde con gli occhi scuri, le scure con occhi chiari, le mediterranee con pelle olivastra, le asiatiche, le sudamericane, quelle con la pelle nera e le mulatte, più altre meno categorizzabili, frutto esotico di chissà quale unione genetica evolutasi nel corso delle generazioni.

Ogni volta che una paziente ha bisogno di una donatrice, io entro in questo database e inizio a scegliere, filtrando in base alla caratteristiche della ricevente. Ogni donatrice ha la sua storia, e a me piace leggerla: anche se alla paziente non serve a nulla, io voglio capire chi sono queste ragazze, che cosa fanno nella vita, che cose curiose si possono capire dai loro profili. Sono una voyeur, va beh.

Nei primi mesi del lavoro in clinica, la scelta della donatrice era il mio punto dolente , quello che mi faceva tornare a casa con il mal di testa e il peso della responsabilità di dover scegliere una madre biologica per un'altra donna. Non mi piaceva per niente il fatto di avere a disposizione questa sorta di catalogo umano, una categorizzazione per tratti somatici di cui io sono, nel momento della scelta, la unica responsabile.

Visto che l'appoggio psicologico di cui possiamo usufruire in clinica è pressoché nullo, i dubbi e le paranoie sul tema vengono affrontati fra colleghe. Una collega con molta esperienza, quando le dissi che avevo difficoltà a scegliere una donatrice per le pazienti perché nessuna mi sembrava somigliarle abbastanza, mi sollevò dicendo : " Ricordati che si tratta di un dono che la paziente riceve. Rispetta il gruppo fenotipico, cerca la somiglianza se riesci, ma non aspettarti di trovare una sosia per tutte, non esiste ". Con il tempo, ho affinato la tecnica e vado orgogliosa di certe associazioni che ho fatto perché a volte, anche se raramente, la sosia si trova sul serio.

Ho finalmente superato il pensiero malefico del catalogo umano, anche se nei momenti di stress, il dubbio torna ad affiorare. Mi dico che anche le donatrici, per essere inserite nel programma di donazione, hanno fatto una scelta di dono consapevole. Poi litigo con me stessa e ricordo quello che avevo scritto qui.

Ci sono pazienti che danno per scontato che sceglieremo una donatrice che le assomigli il più possibile, a cui basta sapere che il gruppo fenotipico sarà lo stesso. Ci sono altre che no, ovviamente. Spesso queste pazienti sono le stesse che già ti avevano snocciolato ben bene i loro impegni lavorativi e ti avevano chiesto di coordinare il concepimento con la loro agenda. Il tema della scelta della donatrice rimane comunque un punto di discussione inevitabile con la ricevente, che almeno una volta durante tutto il percorso mi chiederà " l'avete già scelta? ".

Ho perso il conto dei book fotografici ricevuti via mail in cui la paziente si cimenta in pose da pin-up in bikini , in sguardi ammalianti rivolti all'obiettivo, in selfie di fronte allo specchio vestita di sola biancheria intima, " perché così può vedere la figura intera". Come se in clinica avessimo le donatrici ordinate in fila e un consulente di immagine le classificasse in base alla circonferenza seno-vita-cosce. Si sbaglia, signora mia. Le foto del book fotografico vengono tristemente allegate alla sua cartella clinica, inservibili, perché la donatrice a figura intera non la vedo mai, e la scelta la faccio per quello che vedo dal collo in su.

Non pretendo che la paziente, che già ha il suo pensare, debba mettersi nei panni di noi coordinatrici che le scegliamo la donatrice. Però sì mi piacerebbe che le pretese, ancora una volta, fossero minori. Impossibile non incappare nella situazione in cui la paziente parte in quarta e ti inchioda con un " volevo mettere in chiaro le caratteristiche che dovrebbe avere la donatrice". Segue una lista di caratteristiche fisiche che pian piano si ologrammizzano in una donna simil-Miss Italia, in una campionessa olimpica o in una Beyoncè de noantri .

E poi ci sono i mariti, quelli che - per fortuna raramente - intervengono nel discorso con un " se ne scegliete una uguale a Jennifer Lopez è meglio ". La moglie magari è piccolina, magretta, pallida come un cencio e la verve di una madonna in via crucis, ça va sans dire. La gente fa molta confusione, dico solo questo. Non voglio entrare in discorsi scivolosi, sono sicura che trarrete da voi le giuste conclusioni da certe frasi scriteriate.

Infine la paziente peggiore, quella con cui mi riesce difficile mantenere la pazienza. Lei, la donna che si considera perfetta , quella che ti ricorda la sua altezza, la texture del suo capello, il colore ambrato tendente al violetto dei suoi occhi, i denti dritti e la bocca carnosa color rouge coco shine (sí ha capito bene, uguale al rossetto), le sue origini esotiche perdute nella notte dei tempi quando il suo bis-bis-nonno partì da Roma e si unì a una suadente tahitiana dagli occhi a mandorla. La donna perfetta vuole che la donatrice sia così, come lei ti sta raccontando al telefono. E io guardo le foto che mi ha mandato e mi dico che è incoraggiante, in fondo, che la gente possa avere tanta autostima, e che dovrei imparare da questa donna, a sentirmi più figa di come mi vedo. La donna perfetta è anche quella che può arrivare a dirti, alla fine del suo discorso autocelebrativo, la frase che mi fa fumare gli occhi: " Ah, un'ultima cosa, badate che non voglio che sia rumena o dell'est Europa". Qui normalmente chiudo con un " mi dispiace, ma la nazionalità non rientra fra i criteri di selezione della donatrice ". Potrei dirle di molto peggio, ma perderei il lavoro.


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