Onore e gloria a chi fa degli interventi intelligenti online, in mezzo alla pochezza del 99% degli internauti esprimere dei ragionamenti “fuori dal coro” è un decisamente un bene. Su Diaspora ho avuto modo di leggere questo post di OpenCode:
Ho notato con immenso dispiacere che i giornalisti amano scrivere notizie sui ragazzi “che ci sono riusciti”. Quelli che hanno lasciato la loro terra natìa, magari del sud, per andare in un paese europeo del nord dove tutto funziona e dove hanno potuto svolgere il lavoro dei loro sogni e per cui hanno studiato. Ragazzi che hanno salutato la mamma e la sua pasta fatta in casa per trasferisci da qualche parte nel mondo. Già! Bello. Ma perchè nessuno parla di chi rimane e ci riesce? Perché nessuno ha la propensione e dire che a pochi chilometri da casa mia ho giovani imprenditori che riescono a fare il loro lavoro nonostante burocrazia, mala organizzazione, malavita, politica corrotta e altri problemi? Perchè ammirare chi ha la forza di scappare in un posto migliore e non chi non scappa da uno peggiore?
Mi sono sentito trafitto da una freccia mentre leggevo le righe qui sopra, ripensando a chi sono oggi e a ciò che ho fatto. Ripensando che spesso sono stato tentato di prendere ed andare via da questa pessima Italia. E visto che nessun giornalista si abbasserà mai ad intervistare il sottoscritto, ho deciso di toccare il fondo del ridicolo e di autointervistarmi.
D: Ciao Lanta, raccontaci un po’ di te. Perché sei ancora in Italia?
R: In tutta sincerità, non ne ho la minima idea. Diverse volte ho avuto l’impulso di prendere, fare i bagagli e partire allo sbaraglio il qualche altro Paese europeo a caso che avesse di meglio da offrire. Vuoi per le mie ambizioni, vuoi per la mia pigrizia, sono ancora qua con voi.
D: Ambizioni? Cosa fai nella vita?
R: Tendenzialmente amo fare il parassita come la stragrande maggioranza degli italiani… ovviamente scherzo. Da ormai 2 anni abbondanti sono titolare di partita IVA, proprietario di un piccolo negozio di informatica. Un imprenditore relativamente giovane, mi sono messo in proprio a soli 19 anni dopo aver concluso un buon ITIS informatico e aver lasciato in sospeso, penso perennemente, la carriera universitaria. In questo periodo sto lavorando al primo trasferimento di sede, e sono proprio queste le ambizioni, il “voler puntare in grande”.
D: Un bel progetto, hai riscontrato difficoltà fino ad oggi?
R: Ovviamente, le difficoltà ci sono state. E quando parlo di difficoltà parlo essenzialmente di una sola cosa, la burocrazia. Per fare qualsiasi cosa ci vogliono i permessi. Per ottenere le carte necessarie, ci vogliono soldi e tempo. Non basta la pazienza di un comune mortale, ce ne vuole di più. Se non bastassero questi problemi, a stenderti definitivamente contribuiscono enti statali e pubblici con i loro pagamenti lumaca… attendo fatture insolute che la Regione Veneto deve erogare dalla bellezza di 1 anno, con la consapevolezza che ci vorranno ancora come minimo 6 mesi.
D: Non è certo un buon periodo per fare affari, con tutta questa crisi. Perché proprio ora?
R: La crisi si sente, eccome. Per le strade 9 locali commerciali su 10 hanno le saracinesche permanentemente giù e con tutta probabilità non riapriranno. I proprietari di immobili non riescono a venderli, se non a cifre irrisorie, e tentano di affittarli per coprire le spese basilari (IMU) senza successo. Anche negozi in ottima posizione, eh. Poi i coglioni che provano a proporre prezzi assurdi ci sono ancora, e non me ne stupisco, la loro madre è sempre incinta. I clienti tendono a spendere sempre meno, ovviamente, in relazione al peso del portafoglio che è andato sempre diminuendo negli ultimi anni. Tutte queste cose messe assieme comunque possono far paura, sicuramente spaventeranno e scoraggeranno i futuri negozianti di successo. Bisogna essere incoscienti e pazzi per sfidare la situazione economica attuale. Ma se ci si riesce, se si sopravvive ora, si è a cavallo. Non solo, si sarà avvantaggiati in futuro.
D: Quindi è tutta questione di fortuna, ciò che separa il successo dal fallimento?
R: Sì e no. Da un lato fare impresa è un gioco d’azzardo, può andarti bene come può andarti malissimo (ed in questo caso, fa male veramente). Ma tendenzialmente è un solo fattore che incide pesantemente e determina il proprio futuro: ciò che si sa fare, e come lo si fa. Io sarò pure impedito in tante cose e avrò tanti difetti, ma il mio lavoro lo so fare e anche bene. Era la mia passione fin dalle medie, forse prima. Il mio sogno l’ho inseguito e l’ho afferrato concretizzandolo e facendolo divenire realtà. Accettando le critiche che mi venivano fatte, facendone tesoro, facendo molti sacrifici. Ed è proprio raddrizzando il tiro e migliorandosi sempre, che si diventa qualcuno.
D: Hai detto di non aver completato gli studi universitari. Te ne penti?
R: Potrei rispondere in molti modi a questa domanda, e sinceramente non voglio rispondere con un poema dedicato alle mancanze deficitarie del sistema universitario italiano. Sintetizzerò il mio pensiero dicendovi che ciò che si impara studiando lo si può imparare anche in maniera autodidatta, è così che io mi sono avvicinato ai computer e ho in buona parte proseguito. Il motivo che deve stimolarci a prendere in mano i libri non è il pezzo di carta che rilasciano alla fine, ma la passione per le tematiche trattate. Anche perché dietro è tutta una mafia, di libri e di soldi. La laurea in realtà è solo un titolo, talvolta un appellativo, non di certo un passepartout per il mondo lavorativo. Quindi no, non rimpiango nemmeno un po’ di aver interrotto gli studi… è tempo perso. Ed il tempo, lo sanno tutti, è denaro.
D: Cosa ne pensi della gente che se ne va all’estero? Delle “menti in fuga”?
R: Prima di tutto, penso che chi se ne va dall’Italia non sia una mente. Statisticamente parlando, 1 su 1000 diventerà importante e rispettato all’estero, gli altri 999 saranno considerati feccia dalle popolazioni locali. Tutto sommato li stimo, perché anche a modo loro hanno avuto coraggio ed i rischi ci sono. Sapersi adattare è una grande qualità, la chiave della sopravvivenza. Non escludo che, qualora il sistema Italia dovesse darsi la zappa sui piedi e fare il masochista più di quanto non sia già, potrei seguire la medesima strada e ne andrei fiero. Ma se lo avessi fatto subito, avrei rimpianto il fatto di non averci provato, a rimanere nel Bel Paese. E’ l’ultima carta da giocare.
D: Terminiamo qui la nostra intervista e ti lasciamo lavorare. Qualcos’altro che vuoi aggiungere?
R: Sì, che tutti dovrebbero appassionarsi di politica, soprattutto i giovani. Gioca un ruolo fondamentale nel decidere il futuro delle persone, e va oltre il singolo individuo.