Csontvary, Taormina1904-1905
La Sicilia è terra di viaggiatori. Da sempre o almeno da quando è stata circondata da un alone magico, di sogno. Non si è dovuto fare mai molta fatica per conquistarla. Proprio per questo, quanti l’hanno conosciuta, l’hanno vista come luogo d’incanto piuttosto che scenario di guerra. Non un corpo separato, un pezzo aggiunto dell’Italia, ma parte dell’Europa e della sua più generale cultura.
Anche quei giovani che, con l’eroe dei due mondi, in cilindro e abiti alla moda, si imbarcarono a Quarto, con le teste piene di classici latini e greci, non ne ebbero una visione diversa. Non pensavano alla guerra, avevano la strada spianata per un’avventura eccezionale e sognavano l’isola dei Ciclopi, il mondo fantastico del mito. Sentivano la Sicilia come una ricchezza tra le altre ricchezze italiane.
Tra di loro Giuseppe Bandi, Giuseppe Cesare Abba, Ippolito Nievo e tanti altri, più o meno letterati, che hanno fatto la storia dell’Italia di allora e dei nostri giorni. Isola di avventura e di conoscenza, di vulcani e passioni, è tutt’altra cosa dalla landa periferica e barbarica dei Lumbard o dei Padani. E’ terra multiculturale e multietnica.
La rintracci casualmente come in un itinerario per turisti, se cerchi, frammenti di un’archeologia raffinata, le tracce che ne hanno conservato quanti l’hanno vissuta alla ricerca di un ideale. Così scopri anche l’Italia e, se vai un po’ in giro, una Sicilia “rovesciata” nel continente europeo.
A Pécs, qualche centinaio di chilometri a sud di Budapest, puoi ammirare alcuni dipinti su Taormina agli albori del secolo scorso quando un pittore di adozione ungherese, non molto conosciuto in Occidente, la dipinse nella luce dei suoi colori in un caldo tramonto invernale.
L’artista è Csontváry Kosztka Tivadar, originario di Kisszeben (1853), in Slovacchia. Un intellettuale che, come tanti che lo precedono nel Settecento e nell’Ottocento, è una riprova, se ce n’è bisogno, di quello che Giovanni Gentile scrive ne “Il tramonto della cultura siciliana” (1919), quando, proprio negli anni della prima guerra mondiale, dichiara ormai scomparsa la cultura siciliana. Una data: il 1916, anno nefasto in cui muoiono Gioacchino Di Marzo, Salvatore Salomone Marino e Giuseppe Pitrè. Gentile si riferisce a una “cultura indigena, tutta schiettamente siciliana”, a una Sicilia che vede “sequestrata” dal resto del mondo. Che si tratti, al contrario, di una realtà da sempre pervasa da caratteri europei e da interessi che nulla hanno a che fare con un’isola tutt’altro che negata ad ogni influsso esterno, è dimostrato dal fatto che letterati come Goethe la visitarono alla ricerca del loro mondo, attraversandola in lungo e in largo per capirne i segreti più nascosti. E anche oggi, alla luce del cosiddetto federalismo siciliano, variante bossiana del berlusconismo italico, possiamo dire col grande poeta tedesco: “Senza vedere la Sicilia, non ci si può fare un’idea dell’Italia. E’ in Sicilia che si trova la chiave di tutto”. Aveva ragione Goethe e da questa ragione dovremmo trarre tutti un insegnamento, cioè scoprire l’Europa pensando ai caratteri della nostra storia di siciliani e di italiani a un tempo. E smetterla di pensare ai particolarismi regionalistici, presumendo ciascuno di fare il proprio tornaconto.
Csontváry è in Sicilia tra il 1901 e il 1904. Chi è questo straordinario girovago? Vissuto per lungo tempo in Ungheria, dove sono custodite molte delle sue opere (a Budapest, a Miskolc e a Pécs) è un’anima tormentata. Gli ungheresi, non lo riconoscono mentre è ancora in vita, ma oggi lo accostano a Van Gogh, Cézanne e Gauguin. Espressione della cultura europea, delle sue prime radici, il suo mondo onirico è fatto di sogno e di atmosfere surreali, scene naïf, mito e infanzia. Visita Palermo, Siracusa, Catania, Messina, Caltanissetta, Girgenti. A Taormina prende in affitto un appartamento per un anno. Vuole realizzare una grande pittura. E’ attratto dal mondo classico, ma anche dai paesaggi, dai colori, dall’intensità della luce. Non si sente all’altezza del compito. Il contrasto dei colori bene si addice al carattere della sua arte. Così Csontváry ci lascia di questa cittadina greca il suo amore per la luce e per i tramonti rossi di speranza. Il suo è il sogno di un mondo classico perduto. Nelle sue opere ci sono scene di storia e ambienti della grande pianura ungherese, il mondo agricolo e la sua trasfigurazione, i caratteri surreali della natura e degli uomini. C’è Sud e Oriente, mondo cristiano e islamico, la terra con le sue cose e i suoi uomini, il mistero dell’abisso, lo sprofondamento. C’è la campagna di Hortobágy e il paesaggio della puszta, con gli armenti e i pastori.
La sua opera contrasta con la cultura cattolica dei magiari, con l’umanesimo della sua tradizione, a partire da quella dello stesso Janus Pannonius, il famoso poeta ungherese del Rinascimento che alla Pannonia volle intestare il suo nome latinizzandolo. Ma questo poeta dovrebbe essere conosciuto non soltanto per il suo carattere linguistico transnazionale, ma per altro, forse di frivolo.
I giovani liceali di Pécs infatti, senza volerlo, lo hanno immortalato anticipando, negli anni Ottanta del secolo scorso, l’abitudine invalsa in Italia dopo l’uscita del film “Ho voglia di te”, interpretato da Riccardo Scamarcio e Laura Chiatti, di giurare il loro amore con lucchetti serrati su catene di ferro. Usanza avviata sul ponte Milvio a Roma, che ha avuto i suoi antenati proprio tra gli studenti di Pécs: a conclusione dei loro studi, erano soliti attaccare i lucchetti dei loro armadietti in un’inferriata esistente in via Janus Pannonius. Per il resto il latino è stato per secoli il principale canale della comunicazione ufficiale tra i popoli europei. E in questa rete anche la Sicilia ha avuto una sua collocazione prestigiosa. Al Református Kollégium di Sárospatak, nel Nord dell’Ungheria, sorto nei primi decenni del ‘500 (vi insegnò per cinque anni Comenio) puoi vedereesposta, tra i pochi volumi stampati a torchio nel primo ‘600, “La Sicilia antiqua” di Filippo Cluverio (Danzica, 1580). Fondatore della geografia storica si occupò di tutta l’Europa, e in particolare dell’Italia e della Sicilia. Grazie anche a lui la nostra isola ha trovato per secoli un posto non indifferente negli interessi culturali persino degli abitanti di un paesino sperduto dell’Ungheria, ai confini della Slovacchia. In realtà vari Paesi europei sono stati accomunati da artisti e santi, scienziati e benefattori, chiese e cattedrali. Generali e soldati sono passati da una parte all’altra del continente come se tutti fossero impegnati in una comune causa di libertà e di sovranità nazionale, di sviluppo della conoscenza e di lotta contro qualsiasi forma di servitù.
A questa valutazione non sfugge neanche Csontváry, morto nel 1919 perseguitato dalla follia. Nelle sue opere, risaltano le tinte forti, quasi violente e soprattutto gli scorci delle antiche città magiare. Ma come in tutti gli ungheresi la calma secolare del paesaggio con la sua mitezza si completa altrove, verso l’unità possibile, il Sud del mondo. Così il mondo arabo, molto presente nella sua pittura, è avvicinato alla cultura europea e in quest’opera di pacificazione, la Sicilia appare come elemento nodale. Non è forse un caso che anche da un punto di vista storico l’Ungheria e la Sicilia siano accomunate dal ruolo assolto da personaggi che hanno fatto la storia d’Italia e dell’Europa, anche se poco conosciuti.
A Lajos Tüköry (nato a Körösladány nella provincia ungherese di Békés il 9 settembre 1830) Palermo ha dedicato un’importante via. Tüköry, muore nella capitale siciliana il 6 luglio 1860, dopo avere partecipato alla spedizione dei Mille. Combattente per il Risorgimento italiano, come l’altro generale ungherese István Türr, lo stesso Garibaldi ebbe a definirlo eroe dell’indipendenza dell’Italia.
Noi non saremo mai all’altezza di ricostruire in modo completo e definitivo i caratteri comuni della storia europea, senza il radicamento profondo della Sicilia nell’Italia e nell’Europa. Per questo il federalismo di moda non ci serve finché non abbiamo appreso la storia più vasta dell’Europa costruita semplicemente con la vita e gli ideali di quanti ci hanno insegnato nel tempo la direzione del futuro e non l’hanno fatto con la bassa politica. Giuseppe Casarrubea (2008)