A Milano mangiare milanese o quantomeno lombardo diventa sempre più difficile. La città è invasa da sushi bar, da fast food (McDonald’s, Burghy, Break) da bar che servono cibi precotti, rivendite di kebab, paninerie e focaccerie. Anche i ristoranti per la maggior parte si sono adeguati: cucina internazionale nei locali più importanti, cucina italiana molto generica negli altri, ormai solitamente gestiti da cinesi. Quindi per gustare un buon risotto allo zafferano
con annesso ossobuco resta solo il “Matarel” di via Mantegazza, gestito dal signor Marco, mentre in cucina c’è la moglie, signora Elide, e là ci siamo andati l’ultimo lunedì. Il locale è vecchiotto ma piuttosto caratteristico, con affreschi alle pareti risalenti alla fine degli anni ’70.
Il risottino era d’obbligo, anche se ci sono anche le altre specialità, come la cassoeula, la busecca, i mondeghili, i rostin negaà, rìs e ràn…
Però al ritorno, dirigendoci verso largo Treves, dietro le vetrate abbiamo visto alcuni che mangiavano un bel piatto di paccheri.
La mia ascendenza “terrona” non ha saputo resistere, ed oggi ci siamo recati là. E’ sempre un franchising, “Anema e cozze”,
non è molto intimo come locale, ma comunque gradevole. Siamo entrati prestino, poco dopo mezzogiorno, e davvero i paccheri erano superbi, con un sughetto da resuscitare i morti, apprezzati anche dal meneghino DOC. Verso l’una, ecco la carica degli impiegati, che in pochi minuti hanno riempito il locale. Tutti in schiera, quasi tutti uguali, almeno gli uomini: sembravano fatti con lo stampino, camicia, cravatta e giacca rigorosamente scura, quasi una divisa, nonostante il caldo quasi estivo (oggi il termometro segnava 27 gradi!). Forse Milano è bella solo per chi non ci lavora, ma se la gode come noi.