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Cultura e cultura

Creato il 04 luglio 2010 da Lanterna

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Chiariamo un punto prima di tutto: ho fatto il liceo classico e Lettere Moderne, ho letto una buona quantità di classici italiani, greci, latini ed europei, amo i libri molto di più delle persone che li hanno scritti.
E, già che ci siamo, chiariamone un altro: non credo che esista la distinzione tra Cultura e cultura. Credo che uno che sa tutto dell'Arcadia ma non conosce i Queen sia tanto ignorante quanto una che ha in casa la collezione completa di Dampyr e Dago ma non ha mai avuto il coraggio di affrontare Proust (ogni riferimento a persone realmente esistenti è puramente casuale).
Credo che scrivere un buon saggio sia molto meno difficile che scrivere della buona narrativa, e parlo con cognizione di causa dal momento che ho provato entrambi i tipi di scrittura. Certo, leggere un saggio può essere considerato da molti più noioso che leggere della narrativa. Ma viene anche considerato più figo, quindi spesso il gioco vale la candela.
So per certo, inoltre, che scrivere buona letteratura cosiddetta "d'intrattenimento" (non parliamo poi di sceneggiare un fumetto) è molto più impegnativo che scrivere un romanzo di alti sentimenti e alta morale. Perché dico questo? Perché la letteratura che sa di avere un pubblico deve rispettare standard qualitativi relativamente alti in tempi di realizzazione piuttosto stretti.
Pensiamo per esempio a Fred Vargas: mediamente sforna un libro all'anno / ogni due anni, buttato giù nei famosi 21 giorni di ferie che si concede apposta. Prendiamo il suo ultimo libro, Un luogo incerto: oltre a dover pensare a una trama avvincente e non propriamente scontata, l'autrice si è documentata parecchio sul vampirismo in Europa e in Serbia, arrivando a una profondità e ad un'accuratezza che probabilmente uno sceneggiatore di Hollywood si sognerebbe (anche se credo che in proporzione alle vendite uno sceneggiatore americano prenda più soldi della Vargas). Ha snidato temi che probabilmente sono conosciuti da quei pochi pazzi appassionati e dagli studiosi di etnoantropologia. Ha trovato il modo di integrare la realtà storica nella finzione, rendendo il tutto contemporaneamente surreale ma credibile. Se non è arte questa...
Oppure, prendiamo un mostro sacro del fumetto, Alan Moore (a questo punto, se pronunciate questo nome davanti a un pubblico di fumettari/fumettomani, vedrete tutte le teste accennare a un inchino di ossequio o di presa di coscienza). Io non sono né di quelli che lo venerano né di quelli che lo considerano un cialtrone, ma mi inginocchio di fronte alla Lega degli Straordinari Gentlemen. Non tanto e non solo per l'idea narrativa (incredibilmente goduriosa per chi ha amato la letteratura d'evasione a cavallo del Novecento), quanto per l'immenso lavoro di documentazione, citazioni e riferimenti che si può notare dalla sceneggiatura. Sarà fumetto, sarà intrattenimento, ma si può imparare di più da una simile lettura che da un saggio o un documentario.
Mi si dirà: Alan Moore è un genio. Allora andiamo sul nostrano: Bonelli. Prendete un qualsiasi Dampyr, di quelli che parlano di attualità o di storia, e provate a fargli le pulci. Io sulla storia non ci riesco, magari qualcuno più ferrato di me sull'attualità può provare. Stiamo parlando di gente che si documenta su miti di tutto il mondo per non sparare cazzate a vanvera, di persone che fotografano persino il bancomat dove Harlan e Kurjak ritirano e che, appena possono, ti fanno capire in che parte del mondo sono finiti i nostri eroi, con tanto di cartina (il che sarà molto utile alle nuove generazioni, se si eliminerà la geografia dalle scuole).
Occhio: non dico questo perché sto scrivendo Viola. Lo dico perché, una lontana mattina di 20 anni fa, una professoressa di italiano del ginnasio ci sbatté in faccia questa stessa verità che io sto enunciando. Noi eravamo appena entrati al ginnasio belli carichi di essere nel tempio della Cultura, depositari di un Sapere superiore. E lei ci spiegava l'Eneide con riferimenti ad Asterix, ci esortava a non disprezzare la letteratura di genere e a considerare che tutta la letteratura può essere considerata di genere (Jane Austen narra di vicende sentimental-matrimoniali come un Harmony, sebbene con enorme maestria). Lei fu la prima a spiegarci come la cosiddetta sottocultura non sia tale perché è inferiore, ma perché costituisce una base per le opere di valore, che vi attingono a piene mani e vi trovano un linguaggio da usare e talvolta reinventare. Perché Graham Greene potesse scrivere "Il nostro agente all'Havana" era necessario il successo di 007 e in generale di tutta la letteratura di spionaggio nata con la Guerra Fredda. OK, è anche vero che senza "Dracula" di Bram Stoker probabilmente non avremmo Twilight, ma nemmeno Nosferatu con Klaus Kinsky o il Dracula di Christopher Lee.
Questo per dire che sono io la prima ad alzare gli occhi al cielo quando vedo in libreria le pile dei libri di Twilight o quando i miei figli vanno in visibilio per l'ennesimo libbricino Dami, ma sbaglio. Chi legge legge, non importa cosa.


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