Sul nostro pianeta convivono più di 3.000 differenti culture, un patrimonio di tutta l'umanità che va tutelato con ogni mezzo a disposizione. Le Nazioni Unite, con lo slogan "Se loro scompariranno, se ne andrà anche una parte di te", hanno recentemente lanciato l'allarme per il rischio estinzione che riguarda decine di popoli e tribù nel mondo a causa di sfratti, rapimenti, massacri, guerre e deportazioni. Ogni specifica cultura è andata sviluppandosi nel corso del tempo, arricchendosi in un processo di contaminazione virtuosa e condizionando profondamente (non sempre in meglio) il vissuto quotidiano delle società. Il rischio che si corre quando una di esse si estingue è pertanto quello dell'impoverimento, sul piano storico e a livello antropologico.
Specialmente le cosiddette "culture minoritarie", che sono quelle più esposte ai pericoli di annientamento insiti nella globalizzazione, contribuiscono alla ricca articolazione del genere umano in etnie e tradizioni. E ad ognuna di queste corrisponde un diverso bagaglio di vivi sentimenti. Una varietà culturale importante, a prescindere dal numero di persone rappresentate dalle singole nicchie identitarie. Ecco perchè l'appello dell'Onu merita attenzione e condivisione, in particolare da parte dei Paesi più evoluti economicamente.
Fra le tribù maggiormente insidiate dalla modernità ve ne sono alcune latinoamericane prossime a scomparire. Come i Nukak colombiani, nomadi che vivono in piccoli gruppi a ridosso dei fiumi e nelle parti più fitte delle foreste. Fino al 1998 hanno evitato qualsiasi contatto con la civiltà, poi l'invasione del loro territorio da parte dei coltivatori di coca e dei disboscatori ha scatenato una vera e propria strage a causa delle tante malattie importate. Molti si riversarono quindi nelle città credendo di salvarsi dall'estinzione, dove però ora versano in condizioni drammatiche, fra malattie ancor più devastanti e stati di depressione.
Sempre in Colombia, anche i Wipiwi, gli Amorùa e i Wachina soffrono a causa del conflitto che vede contrapposti i guerriglieri Farc, i paramilitari Auc e l'esercito nazionale per il controllo del mercato della cocaina. Stessa storia per gli Arhuac, conosciuti anche come Ika, una tribù di circa 20 mila individui che eleva l'aspetto spirituale sopra ogni altra attività mondana (proprio come avviene per altre tribù asiatiche e africane) ricorrendo a pratiche mistiche che resistono da svariati secoli. Anche in questo caso, le terre da loro abitate sono state invase dai coloni per la coltivazione di marijuana e cocaina, diventando terreno di scontro.
Peace Reporter elenca un centinaio di popoli costretti a vivere nella paura di essere sterminati da un momento all'altro. Si tratta dei popoli incontattati censiti dall'organizzazione Survival International, dimenticati da governi e società del mondo civilizzato. Tribù che conducono una lotta isolata e disperata per la sopravvivenza, in luoghi del Sud del mondo spesso sconosciuti ai più. E' proprio in America latina che si concentra la maggioranza di esse: una sessanta circa, distribuite soprattutto in Brasile e Perù.
Le minacce che gravano su di loro sono principalmente due. La prima è la mancanza di difese immunitarie, anche verso malattie molto comuni come l'influenza, assieme a un gran numero di infezioni respiratorie. Quando gli incontri non sono gestiti accuratamente e non vengono predisposti interventi sanitari efficaci, può essere sterminata l'intera tribù o gran parte di essa. Nelle zone dell'Amazzonia è accaduto molte volte, anche in tempi recenti. Basta ricordare ciò che capitò nel 1996 a oltre metà degli Indiani Murunahua, scomparsi dopo essere entrati in contatto con i tagliatori illegali di mogano. L'altra grande minaccia è invece la violenza, dato che assai spesso (quando non si scannano fra loro) gli indigeni devono affrontare gruppi di taglialegna armati fino ai denti e pronti a sparare a vista contro di loro.
In Brasile a rischiare sono gli Awá, una tribù nomade di appena 300 persone che cercano di sfuggire ai bulldozer che stanno distruggendo molto rapidamente le loro terre. Attratti dal legno pregiato della regione, i taglialegna hanno già aperto delle strade in quella parte di territorio. Gli allevatori ambiscono invece ad appropriarsi di vaste tenute di terra, per produrre carne destinata al mercato nazionale e internazionale. Il governo brasiliano riconosce gli Awá come i legittimi proprietari di quelle aree geografiche, ma le autorità non si sono impegnate a fermare le invasioni. Negli Anni '80 l'Unione Europea e la Banca Mondiale finanziarono un piano di sviluppo noto come "Progetto Gran Carajás", che comprendeva la più grande miniera di ferro esistente al mondo. In quella circostanza, più di due terzi degli Awá morirono e ancora oggi la superstrada costruita per trasportare il metallo attraversa il loro habitat.
Stessa sorte toccò agli Indiani Rio Pardo, nello Stato del Mato Grosso. Attualmente non contano più di 50 unità e si tratta degli ultimi superstiti del loro popolo. Ancora negli ultimi anni, il loro territorio è stato invaso illegalmente da imprenditori agricoli e da compagnie per il taglio e il trasporto del legname. Grazie a una massiccia protesta internazionale, un pubblico ministero federale del Brasile ha intrapreso una vasta indagine per genocidio dalla quale è emerso che i taglialegna starebbero deliberatamente costringendo le tribù alla fuga continua, compiendo vere e proprie cacce all'indio. Il governo, proprio come per gli Awá, ha anche avviato il processo di demarcazione della loro terra ma ugualmente non ha la capacità di fermare l'invasione.
E sono ancora i taglialegna ad aver invaso illegalmente anche il territorio degli Indiani isolati del Perù, costringendo le tribù a fuggire oltre il confine brasiliano. Il Perù vanta alcune delle maggiori riserve di mogano sfruttabili al mondo, e la ricerca degli ultimi alberi disponibili ha scatenato una "febbre dell'oro rosso" di vaste proporzioni. Ma nonostante l'evidenza, il governo peruviano non ha ancora riconosciuto pubblicamente la fuga delle tribù verso il Brasile. Anzi, in più occasioni ne ha addirittura messo in dubbio l'esistenza. Nello stesso Stato, le tribù che vivono tra i fiumi Napo e Tigre sono minacciate dalle attività delle compagnie petrolifere occidentali, protette dalle forze armate peruviane.
Nella foresta paraguayana del Chaco, terra ancestrale degli Ayoreo-Totobiegosode, si consuma analoga situazione. Gli imprenditori agricoli la stanno disboscando a ritmi vertiginosi, per trasformarla in grandi allevamenti di bestiame. Dopo la diffusione delle foto satellitari che dimostravano l'ampiezza delle attività industriali, il Ministero dell'Ambiente ha revocato tutte le licenze alle compagnie, che tuttavia hanno continuato a distruggere la foresta e a disperdere le popolazioni Indiane.
Scenari simili sono riscontrabili anche in Africa e in Asia. I popoli indigeni, infatti, contano almeno 370 milioni di persone e vivono in più di 70 nazioni diverse. Anche se la legge riconosce, come visto, i loro diritti territoriali, questi non sono pienamente rispettati in nessun Paese del mondo. Attualmente, la "Convenzione ILO 169 sui diritti dei popoli indigeni e tribali" costituisce l'unico strumento legislativo internazionale in grado di tutelarne i diritti fondamentali. Ratificandola, gli Stati si impegnano a garantire in modo efficace la loro integrità fisica e spirituale, e a lottare contro ogni forma di discriminazione. E' stata adottata per la prima volta nel 1989 dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro, un'agenzia delle Nazioni Unite, e successivamente riconosciuta da soli 22 Paesi (tra i quali non figura l'Italia).
E' cruciale che la Convenzione venga firmata dal maggior numero di Nazioni del mondo, incluse quelle europee. Anche se non hanno popoli tribali entro i propri confini, le azioni dei governi di Paesi come il nostro hanno comunque un impatto diretto sui loro destini, non solo in quanto membri di istituzioni internazionali che interagiscono con essi, come appunto la Banca Mondiale, ma anche attraverso i progetti di cooperazione allo sviluppo e la partecipazione ai finanziamenti e alle iniziative sostenute in sede comunitaria. Nelle terre tribali, inoltre, si trovano sovente ad operare aziende occidentali (comprese le nostre), private o statali.
In Italia esistono già da tempo alcuni progetti di legge assegnati alle Commissioni Esteri di Camera e Senato, che però non sono mai stati discussi. Considerata l'estrema gravità delle violazioni dei diritti umani che molti popoli indigeni stanno ancora oggi subendo in tante parti del mondo, l'urgente ratifica della Convenzione costituirebbe non soltanto un doveroso atto di solidarietà verso chi continua a vedere conculcate le proprie più basilari prerogative, ma potrebbe significare pure la possibilità di portare loro un aiuto concreto ed immediato.
ALCUNI FRA I POPOLI PIU' ESPOSTI AL RISCHIO ESTINZIONE
Americhe:
- Akutunsu Brasile
- Arara Brasile
- Arhuaco Colombia
- Awá Brasile
- Ayoreo Paraguay
- Enawene Nawe Brasile
- Enxet Paraguay
- Guarani del Brasile Brasile
- Indiani del Brasile Brasile
- Indiani di Raposa Serra do Sol Brasile
- Indiani incontattati del Brasile Brasile
- Indiani incontattati del Perù Perù
- Innu Canada
- Nukak Colombia
- Wichì Argentina
- Yanomami Brasile
- Zo'é Brasile
Africa:
- Boscimani Botswana
- Masai Tanzania
- Mbororo Africa Occidentale
- Nuba Sudan
- Ogiek Kenia
- Pigmei Africa Centrale
- Popoli della Valle dell'Omo Etiopia
Asia & Oceania:
- Aborigeni Australiani Australia
- Dongria Kondh India
- Jarawa India
- Jumma Bangladesh
- Khanty Russia
- Palawan Filippine
- Papuasi Indonesia
- Penan Malesia
- Tribù Siberiane Russia
- Udege Russia
- Wanniyala-Aetto Sri Lanka