Immagine di Petr Kratochvil
Il vecchio Ugo si pulì gli occhiali macchiati dalla salsedine, poi tornò a chinarsi. Analizzava attentamente ogni sassolino, in cerca del cuore di drago. Martina lo seguiva saltellando, piantando i piedini nudi nelle orme lasciate sulla sabbia dalle scarpe numero quarantasei del nonno. Quel gioco la faceva sentire protetta: le trasmetteva un senso di sicurezza, un filo di affetto che, partendo dalle caviglie, saliva su fino al centro del petto, e là si schiudeva come una gemma splendente. Sospirò e sorrise volgendo il viso verso il sole.
«Martina, guarda, è questo?»
«Troppo piccolo, nonnino! Ci somiglia ma non è. Cerchiamo ancora!»
Fino al tramonto, magari, fino a sempre.
Avrebbe voluto vivere col nonnino, un vecchio orso alto alto con spalle enormi, che sapeva essere così dolce da meritare l’amorevole diminutivo.
«I bimbi non possono scegliere» le aveva detto una volta.
«Tu non sei un bimbo, nonnino, perché non scegli tu per me?»
«Perché neanche i vecchi hanno scelta.»
Non le piaceva stare con mamma, che era sempre malata, aveva bisogno di dormire anche di giorno e di farsi le punture, da sola, nelle vene del braccio. Papà se n’era andato un giorno di dicembre, senza salutare, senza un perché, mentre Martina faceva i compiti e mamma dormiva sul divano. Dopo essersi inginocchiato accanto alla moglie e aver tenuto a lungo tra le mani quel braccio pieno di lividi, l’uomo, con uno zaino e una grossa valigia, era uscito di casa e dalle loro vite.
Neppure un mese dopo era arrivato Marco, che dormiva nel letto di papà e indossava le sue giacche. Martina si rifiutava di chiamarlo papà. Per questo, forse, lui entrava di notte nella sua cameretta e le faceva le cose cattive.
«Lo faccio perché ti amo. L’amore si dimostra così alle belle bambine.»
Martina, però, non ci credeva, perché suo nonno non gliele faceva mai quelle cose, che le rovinavano i giorni e i sogni. Nonnino non la faceva piangere. Perciò le serviva il cuore di drago, bisognava assolutamente trovarlo. Come nei cartoni animati, il cuore di drago avrebbe tenuto lontano tutto il male del mondo.
«Martina, eccolo!»
«Bravissimo, nonnino!»
Era un sasso, che la manina di Martina a stento riusciva a contenere, grigio come centinaia di altri, con sfumature rossiccie appena percettibili. Il cuore di drago. La piccola se lo portò al petto e sorrise.
Martina, lasciata dal nonno all’inizio delle scale, troppo faticose per lui, salì i gradini con gli occhi incollati al suo cuore di drago. Lo nascose in tasca prima di bussare alla porta.
«Mamma deve prendere la medicina.»
Sul tavolino all’ingresso c’erano già la siringa e il laccio emostatico. La donna – scheletrica, precocemente avvizzita – ne aveva ormai bisogno più volte al giorno. Nonostante tremasse e fissasse con gli occhi sbarrati un punto della casa che neppure esisteva, non dimenticò di dare un bacio sulla fronte alla figlia prima di spingerla via in direzione della cameretta, senza aggiungere parola. Marco non era in casa; usciva quasi sempre dopo pranzo e non rientrava mai prima delle 23:00.
Non aveva più paura di stare da sola, Martina: aveva le barbie, alle quali raccontò della giornata in spiaggia, il pigiama con gli orsetti, che somigliavano al nonnino, l’abat-jour con i fiorellini, che le bambole provavano sempre a cogliere invano, e sul comodino, proprio accanto all’abat-jour che restava accesa fino al mattino, il cuore di drago pronto a salvarla. Le venature rossiccie inziarono a pulsare d’amore; il cuore emetteva un suono ritmico e dolce che, come una ninna nanna, cullò Martina fino al sonno.
Quando la bimba riaprì gli occhi Marco era già dentro la stanza, con le braghe abbassate. Martina afferrò l’amuleto e balzò dal letto, spalle al muro.
«Hai ancora paura di papà? Però non hai chiuso a chiave, stavolta. Cos’hai in mano?»
Martina strinse più forte, fino a non percepire più il confine tra la pelle e la pietra. Sapeva che se avesse chiuso la porta a chiave, la volta successiva sarebbe stata molto più dolorosa.
«È un sasso? Puoi tenerlo, se apri bene la bocca, come piace a me.»
Martina gli sorrise. Non gli aveva mai sorriso prima d’allora. Aprì le manine per ammirare il cuore di drago, che batteva forte forte. Lo portò alla bocca e lo baciò. Chiuse gli occhi. Lo ingoiò.
Il racconto che avete letto è opera di Raf ed è risultato il migliore del Lab di maggio 2015.
La traccia del Lab era stata scelta da lailmil (vincitrice dello scorso Lab) ed era la seguente:
Scrivere un racconto che contenesse un amuleto. Che fosse magico o meno, che avesse un valore mistico o affettivo, uno dei personaggi del racconto non doveva potersene (o volersene) separare.
I racconti dovevano essere lunghi al massimo 5000 caratteri spazi inclusi (con un margine di tolleranza di 200).
Raf
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