Anna Lombroso per il Simplicissimus
Come in certi quadri neoclassici, così epicamente calligrafici e minuziosi da sembrare iperrealisti, con lame che lampeggiano e sangue che scorre, o come in un film dei tempi del muto: i congiurati feroci e il condottiero ormai disarmato, me la immagino così la tragedia che si sta consumando nel funesto avvitarsi della storia su se stessa, Cesare e Bruto, Craxi e Martelli, con le misericordie piantate dal figlio suddito nel costato del padre re, che si è alimentato della sua giovinezza come di un elisir e lo ha vezzeggiato e umiliato per perpetuare la sua potenza. Ne abbiamo sotto gli occhi un’altra di queste coppie storiche in piena attività: veneranda figura di politico mai stato leader che alla fine della vita si fa re e di un rampollo che ha maturato una irresistibile carriera di ubbidiente figlioccio, di nipote servizievole e zelante. Dirà la cronaca se anche in quel caso assisteremo a una folgorante sacra rappresentazione dell’uccisione simbolica o no del padre.
Ma intanto il seggiolone di figlio prediletto ha avuto meno presa della poltrona di vice presidente e ministro: . l’ufficio di presidenza del Pdl, convocato da Silvio Berlusconi per l’epocale conversione in Forza Italia è iniziato senza la presenza di Angelino Alfano che ha facilmente convinto alla defezione componenti che fanno capo all’ala filogovernativa. A nulla sarebbero valse pressioni e mediazioni e nemmeno i drammatici colloqui che il Cavaliere ha avuto nel primo pomeriggio con i cinque ministri del Pdl, tutti contrari al grande gesto nel timore delle ripercussioni sulla tenuta del governo.
La resa dei conti più paradossale degli ultimi 150 anni, mette di fronte il vecchio premier che sta appunto contando i possibili rinnovatori con i quali rifondare il suo movimento e Alfano e i risibili uomini nuovi, Giovanardi, Formigoni, Sacconi intenti a calcolare adesioni al loro progetto di partito che reinterpreti aziendalismo, corporativismo, fidelizzazione, appartenenza, senza Berlusconi e senza i suoi quattrini.
Lui è solo ma pericoloso: c’è da temere i vecchi cinghiali feriti, soprattutto se danarosi, irriducibili e disperati oltre che condannati. Gli altri, i congiurati, lo sono altrettanto, avidi, spregiudicati, senza scrupoli, ma appunto senza i formidabili mezzi, le tv, la macchina del consenso, la leggenda da tycoon, del vecchio padrone, aiutati dal partito socio di governo che vede nella loro affermazione la ricetta della sopravvivenza.
E chi è in pericolo siamo noi: l’eclissi più o meno cruenta del cavaliere disarcionato non mette fine al suo sistema di governo, all’istinto della politica attuale alla personalizzazione, mutuata anche dai candidati alle primarie dei partner del Pd, alla necessità di allearsi a poteri padronali, che la sostenga a costo di cedere in comodato interesse generale, beni comuni, istituzioni e anche la Costituzione. I coltelli che si stanno lanciando in questa sera di dolce e temperato autunno hanno la solita traiettoria infame e a essere colpiti sono i cittadini e la democrazia, intorno al cui sacrificio rituale si consumano alleanze opache, formule elettorali intese alla oscena conservazione dello stato attuale, misure indirizzate all’impoverimento di esistenze e di diritti. È che loro sono nati per rinnovare continuamente la loro condizione di schiavi e vogliono che lo diventiamo anche noi.