"Volevo scrivere ieri ma la giornata ha preso una piega diversa. Provo a farlo oggi e sarà una cosa lunga ma è solo una forma di rispetto. Se non ne avete voglia smettete pure qui", a parlare dalla sua pagina Facebook, il deputato del Pd, Gianni Cuperlo che prosegue citando punto per punto tutto quello che è avvenuto in questi giorni e che ha portato alla nomina di Matteo Renzi a Presidente del Consiglio:
"1. Ho già detto che credo di avere sostenuto il governo Letta con una lealtà assoluta. Nei mesi del congresso spesso questo atteggiamento mi è stato rimproverato anche da chi, con passione, si batteva per raccogliere qualche consenso in più. La tesi era che mentre Renzi non risparmiava critiche in libertà e Civati ne chiedeva il superamento, noi eravamo quelli che si caricavano sulle spalle il peso di un governo che faticava e non amato particolarmente neppure dagli elettori del PD. Per quanto vale, rispondevo a tutti che quel governo era il nostro governo e che se volevamo dare credibilità alla battaglia congressuale non lo potevamo criticare per lucrare qualche voto in più.
2. Dopo il successo di Renzi alle primarie i rapporti tra il partito e il governo si sono deteriorati con rapidità. Ha ragione il Segretario quando dice che i voti in Parlamento non sono mai mancati, ma non è questo il punto. La tensione tra il nuovo gruppo dirigente democratico e Palazzo Chigi è passata attraverso segnali, dichiarazioni, prese di distanza, che hanno creato un clima via via più difficile. Non serve citare singoli episodi anche se la battuta sui dieci mesi di fallimenti alle nostre spalle poteva bastare per dare il senso della precarietà di quel rapporto.
3. Di fronte a questa condizione, mi sono permesso di sollecitare Letta sia pubblicamente – in particolare con un’intervista su Repubblica di circa un mese fa – che in colloqui privati a dare il senso di una “ripartenza”. Penso di non violare nessuna riservatezza se scrivo che gli avevo suggerito di farsi carico di un rilancio che doveva passare da un nuovo programma, questa volta più sbilanciato sul versante dell’equità e della redistribuzione, e anche da una diversa squadra che avrebbe dovuto coinvolgere personalità esterne a noi ma in grado, per autorevolezza e moralità, di ricostruire una sintonia col Paese. In soldoni gli avevo detto che non conveniva al Paese, al governo e neppure a lui lasciare che le cose si trascinassero in assenza di una reazione, tanto più necessaria a fronte di un indice di fiducia verso l’Esecutivo che tendeva al ribasso e di una crisi sociale dai tratti sempre più drammatici.
4. Più o meno in queste condizioni siamo giunti alla penultima Direzione, quando Letta ha scelto di partecipare ai nostri lavori. Quel giorno Renzi, nella sua relazione, ha ripetuto i concetti che già aveva espresso, “il governo faccia se è in grado di fare. Se Enrico ritiene che la squadra vada bene nessun problema. Se vuole fare dei cambiamenti li proponga. Ma se il governo non fa non si rovesci la colpa sul PD che ha sempre votato tutti i provvedimenti, anche quelli indigesti…..”. A quel punto la palla è passata a Letta che ha preso la parola e ha tenuto un breve discorso. Ha ripercorso i passaggi del voto di febbraio, incoraggiato le riforme, apprezzato la strada indicata da Renzi. Personalmente ho giudicato quello scambio una rimozione del tema politico. Ma come? Da settimane tra il nostro partito e il nostro governo il barometro segna tempesta, il Paese è travolto da una crisi economica e democratica senza precedenti, e noi ci scambiamo segnali di pace nell’unica sede deputata a discutere a viso aperto? Mi pareva un atteggiamento incomprensibile.
5. Per questi motivi ho chiesto di intervenire in quella stessa riunione e ho cercato, dal mio punto di vista, di segnalare un bisogno di chiarezza. L’intervento è registrato ma in sintesi ho detto, “scusate ma c’è un problema nei rapporti tra partito e governo. Ne vogliamo parlare? Almeno se abbiamo a cuore le sorti del Paese. Se Letta è in grado di guidare una ripartenza forte, nei contenuti e nelle persone, per uscire da questa impasse dando vita a un nuovo governo che sia fino in fondo il nostro governo, benissimo, va sostenuto con convinzione assoluta. Se queste condizioni non vi fossero più, sia il Segretario del partito ad assumere una iniziativa e a dirci quale sbocco intende dare a questa crisi. Sappia che da parte nostra ci sarà un comportamento responsabile di fronte a uno dei passaggi più drammatici della nostra storia recente”. Più o meno questo era il concetto, che ho ripetuto la domenica pomeriggio nel programma di Lucia Annunziata.
6. La scansione dei giorni successivi è quella che ci ha restituito la cronaca. Il leader del PD ha preso atto della necessità di un chiarimento politico. Ha visto il capo del Governo e il Presidente della Repubblica. E’ venuto poi alla Direzione di giovedì scorso e nella sostanza ha detto questo, “le condizioni per una ripartenza del governo Letta non vi sono. Per garantire al Paese uno scarto e un cambiamento radicale bisogna aprire una nuova stagione, ambiziosa nel progetto e nei traguardi, e noi ringraziando Enrico per ciò che ha fatto, ci mettiamo a disposizione di questa nuova sfida”. Tradotto: Renzi ha detto che la svolta e la ripartenza servivano ma che solo un cambio di impostazione, contenuto e guida a questo punto lo potevano rendere possibile.
7. Il tutto si può anche declinare con questa sintesi: il Segretario del primo partito della coalizione che regge il governo dichiara, forte della sua legittimazione, che la guida dell’Esecutivo affidata a un altro esponente del suo partito non rappresenta più la linea del PD e chiede che si cambino rotta e comandante. Si può giudicare questa posizione in modi diversi ma in democrazia è difficile rimuoverne l’impatto. Tutto questo è una manovra di Palazzo? Uno scontro di potere? E’ un modo – non il primo – per aggirare la prova delle urne e arrivare a Palazzo Chigi per la scorciatoia più breve e in barba alla sovranità popolare? Sono opinioni e critiche legittime. Resta il dato politico: il leader del più grande partito dichiara che la scossa necessaria a far ripartire il Paese può venire solamente da una sua iniziativa e da una presa in carico della nuova fase.
8. Avendo chiaro questo contesto, giovedì mattina ho riunito i membri della nostra minoranza che fanno parte della Direzione. Ho fatto un resoconto dei fatti e detto che il limite di fondo del passaggio stava nell’inversione dei fattori. Si stava ragionando della coda – della questione, pure decisiva – di chi il governo avrebbe dovuto guidare mentre poco si sapeva dei contenuti di quella svolta. Insomma, a fronte di un trauma come quello che si stava per consumare nella riunione della Direzione, quali erano le ragioni di merito e i contenuti che avrebbero dovuto sorreggere e giustificare un “cambiamento radicale”? La discussione tra di noi ha messo in evidenza alcuni punti: chiediamo alla Direzione di non votare ma di limitarsi ad assumere la volontà e la linea espressa dal Segretario. A quel punto consentendo a Letta, a sua volta, di prenderne atto. Poniamo con forza il tema dei contenuti politici e programmatici di questa svolta: un nuovo governo con chi? Con quali modifiche di impianto rispetto all’esperienza precedente? Con che approccio verso il rigorismo di Bruxelles? Con quali priorità sociali? Se si arrivasse al voto su un ordine del giorno valutiamone il testo ma, anche alla luce delle cose sostenute nella Direzione precedente (….avremmo avuto un comportamento responsabile…) esprimiamo un voto a favore non per firmare una cambiale in bianco ma per due altre ragioni. Da un lato perché la sola alternativa data a questo punto sarebbero state le elezioni. Con una legge elettorale monca (quella uscita dalla sentenza della Consulta) e senza aggredire le cause di una stagione di governi tecnici e larghe intese che ha finito con l’aggravare tutti i mali della nostra democrazia. Dall’altro perché è giusto prendere atto di una linea che il Segretario esprime nel momento in cui egli assume una posizione che coinvolge la sorte del governo, la tenuta delle istituzioni e la prospettiva di gestione della crisi. Ma è proprio quel voto – ancora una volta, trasparente almeno nelle intenzioni – che ci consente e persino ci obbliga a chiedere adesso che il confronto avvenga sul merito. Su che governo si vuole far nascere. Perché in gioco è il futuro del Paese, non l’equilibrio interno a questa o quella minoranza.
9. La posizione che abbiamo assunto è una questione di posti o di trattativa sull’assetto del nuovo governo come qualcuno ha scritto? Vi prego di credermi: no, non è così. Personalmente qualche settimana fa mi sono dimesso da presidente del PD e nella mia vita politica ho fatto un mucchio di errori ma non quello di decidere mai una linea politica su basi che non fossero il giudizio di sostanza. Abbiamo commesso un errore, almeno sotto il profilo della capacità di spiegare questa nostra posizione all’esterno e alle tante e tanti che continuano a credere in una battaglia per la ricostruzione della sinistra? Su questo non ho alcuna certezza. Ho letto i messaggi, le mail, e il senso di delusione di molti di voi entra in me come un’accusa della quale mi faccio carico. Vorrei avere gli argomenti per convincere ciascuno della correttezza della scelta presa, ma sento di non essere in grado di farlo. Se non scrivendo queste righe per trasmettervi il significato di una decisione complicata. Lo ripeto ancora una volta: se pensate che si sia trattato di un errore, la responsabilità è mia. Ma in queste giornate di grande preoccupazione, dove mi interrogo sull’accaduto e su di me, continuo a pensare che quando entrano in gioco le istituzioni e il governo del Paese e quando il Segretario del nostro partito sceglie una linea, prenderne atto con un senso di responsabilità sia la sola strada giusta.
10. Infine, che cosa resta del PD dopo questo passaggio? Bettini parlando alla Direzione ha detto, “solo un ingenuo poteva pensare che a dicembre noi eleggevamo solamente il segretario del partito….”: Ecco, io ero tra gli ingenui. Pensavo per davvero che noi dovessimo eleggere il segretario del PD. Ho passato cinque mesi a spiegare l’ambiguità di quelle primarie e a dire che non servivano per scegliere l’inquilino di Palazzo Chigi. E’ finita come sapete. Ok, non sarò stato io il candidato migliore a rappresentare quella posizione. Sarò apparso come quello schiacciato sul suo passato di funzionario comunista. Avrò sbagliato stagione. Ma sul punto, diamine, sul punto avevamo ragione noi. Non si è votato per dare una guida al partito ma per legittimare in buona misura tutto quello che è accaduto dopo fino a questo urto frontale. E adesso il PD? Per quel che vale io non mi arrendo. Voglio lavorare per ricostruire con altri una sinistra vincente, radicalmente ripensata e vincente. Quanto al merito di questo passaggio vi allego qui sotto la dichiarazione che ho fatto oggi nel pomeriggio.
- C’è in tanti un sentimento di preoccupazione per come si è arrivati al passaggio di questi giorni. La decisione della Direzione del Pd, anche al di là di quanto avessimo immaginato, ha sollevato dubbi sui modi che hanno accompagnato la fine del governo Letta e l’annuncio di una svolta radicale. In quella sede avevamo sollecitato una discussione che partisse dai contenuti e dall’impianto che stavano alla base di una scelta oggettivamente traumatica. Ora è il momento di farlo. La condizione del Paese è gravissima tanto sul versante economico e sociale che su quello della tenuta di un sistema democratico logorato da una lunga incertezza sul fronte delle regole e delle riforme. Con senso di responsabilità abbiamo riconosciuto al leader del Pd il compito di avanzare la proposta del primo partito della maggioranza per l’uscita da questa crisi. Ora, alla luce dell’incarico ricevuto, spetta a lui illustrare su quali basi, obiettivi, traguardi intende fondare quel cambiamento profondo che è l’unica giustificazione per le decisioni assunte negli ultimi giorni. Ci attendiamo che ciò avvenga in una forma e con contenuti precisi a cominciare dal rapporto verso l’Europa, dalla politica economica e industriale, da una redistribuzione di risorse verso le fasce sociali più colpite, da un investimento convinto sul capitolo dei diritti umani e civili, della cultura e della scuola, da una crescita sostenibile. Su questi temi, come sulla necessità di una riforma elettorale che superi i vizi della vecchia legge e sia condivisa dalla nuova maggioranza, presenteremo il nostro contributo programmatico giudicando l’impianto del premier incaricato nel merito. Lo faremo come sempre con la responsabilità di chi è parte di una comunità politica e si augura, in primo luogo per il bene del Paese, il successo del tentativo avviato ma senza rinunciare a una autonomia di pensiero e giudizio.-
"Scusate la lunghezza. E scusate anche il resto", conclude Gianni Cuperlo.
Antonella Di Pietro