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Frankfurt
Se di sera passeggi lungo le sponde del fiume Meno e ti volti a guardare la città avrai la sensazione di trovarti nel futuro. Non un futuro qualsiasi: Francoforte ti proietterà irrimediabilmente in una dimensione in cui l’architettura d’avanguardia, la tecnologia, l’arte contemporanea e la scienza saranno una cosa sola con la tua immaginazione. Sopra di te ci sarà il cielo di William Gibson, sotto i tuoi passi sentirai una psichedelia pungente solleticarti le dita impedendoti di sentire l’hacker che, indisturbato, vìola le tue sinapsi.
Osservare i grattacieli di questa metropoli mi ha fatto pensare ad atmosfere cyberpunk, al confine tra ciò che è vero e ciò che è solo immaginato. A quelle trame ben fatte in cui fatichi a dipanare il tessuto del reale e scientificamente attendibile dai fili della suggestione. Ed è proprio negli interstizi tra i due che trovo interessanti connessioni tra scienza, tecnologia e arte. Il termine inglese che descrive in parte questo spazio penso sia il più calzante di tutti: Fringe definisce al meglio le sfilacciature tra i due mondi e permette di individuare quelle zone in cui i due si fanno più sottili e quasi coincidono. Almeno nel nostro sentire. Come al solito ciò che temiamo poi ci strega e ci cattura tenendoci legati in un vortice di godimento artistico che ci consente, in parte, di esorcizzare la paura stessa o di ribellarci al bon-ton dei più. Mi riferisco non solo al filone della fantascienza inteso come letteratura e cinema, ma anche ai suoi straripamenti in altre forme d’arte come il teatro e la musica. E mi riferisco anche a quanto i progressi delle neuroscienze e della cibernetica piacciano e spaventino al tempo stesso.
Una bellissima traduzione di queste sensazioni e sperimentazioni la troviamo nei violini di Laurie Anderson o nei progetti del programmatore GNU/Linux Jaromil. Di lui effettivamente mi sono un po’ innamorata, ma già solo leggere delle sue esperienze nel teatro e della sua Digital Boheme è un viaggio: Qui un passo in cui descrive il progetto portato qualche anno fa al Museo delle Arti Applicate di Francoforte:
Nel considerare il codice sorgente letteratura, dipingo i virus come delle “poesie maledette”, “giambi” rivolti contro chi vende la rete come un posto sicuro e borghese. Il dominio digitale è regolato da rapporti di forza e leggi “fisiche” differenti dal dominio naturale: realizza un chaos – scomodo perché insolito, fertile – nel quale navigare; in esso i virus sono delle composizioni spontanee, liriche nel causare l’imperfezione di macchine “fatte per funzionare” e nel rappresentare la ribellione dei nostri servi digitali.
Potrebbe sembrare che il lirismo di cui si parla sia apprezzabile solo grazie a cognizioni tecniche specifiche, ma non è così; uno dei tentativi dell’esposizione I Love You (http://www.digitalcraft.org/) sui virus software che si terrà nel Museo delle Arti Applicate di Francoforte è proprio questo: esplorare aspetti troppo spesso trascurati di una “boheme digitale” che è riuscita a dare un corpo più organico alla rete nella quale ci muoviamo oggi, elaborando in essa nuove modalità di circolazione delle informazioni ed una vera e propria estetica della quale la cosiddetta net-art ha spesso saputo permearsi.
Le avanguardie tecnologiche unite all’arte si traducono in installazioni e opere teatrali che sono un tutt’uno con il pubblico. Si potrebbe quasi pensare rispondano a un bisogno di controllo da parte di chi "fruisce" l’opera. Ciò che è partecipativo di solito è anche più efficace, ma in questo caso forse la scossa sensoriale serve anche ad accertarsi che si tratti "solo" di arte, un voler prevenire il completo soggiogamento. D’altra parte siamo pur sempre in tempi in cui si è ipercontrollati e iperprotetti (?), o sono una falsa esigenza? E’ un po’ come chiedersi se è nato prima l’uovo o la gallina. Nel dubbio nascono come funghi commissioni di neuroetica.
Dopo le droghe è la tecnologia stessa a rendere le esperienze psichedeliche. In una condizione in cui il virtuale si traduce in sensazioni fisiche mi piace pensare che questa sia una delle migliori dimostrazioni che la distinzione tra “naturale” e “artificiale” non esiste. Esiste però lo spazio dell’immaginazione e della creatività in cui ciò che è impossibile diventa liquido e c’è chi si sbizzarrisce…
Dal Manifesto del Connettivismo:
Siamo i Custodi della Percezione, Guardiani degli Angeli Caduti in Fiamme dal Cielo, Lupi Siderali. Un gruppo di liberi sognatori indipendenti. Viviamo nel cyberspazio, siamo dappertutto. Non conosciamo frontiere. Questo è il nostro manifesto.
1. Canteremo la resurrezione dell’anima consumata nella tecnologia. La notte, il sogno, la visione e la connessione. E tutto ciò che sublima le nostre anime a un ordine superiore di conoscenza.
2. Il deragliamento dei sensi, le corrispondenze analogiche e la rottura del controllo saranno gli strumenti fondamentali della nostra ricerca.
3. Noi vogliamo scavare a fondo nelle carni dell’universo, penetrare sotto l’epidermide del mondo e raggiungerne il midollo pulsante. La parola, l'immagine e l'equazione sono i virus che trasportano la nostra infezione.
Continua… (su Next-Station)
Per settembre invece segnatevi questo.
Sì, a Francoforte la birra è proprio buona…
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