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Cyberpunk – 3° puntata

Creato il 11 luglio 2014 da Rivista Fralerighe @RivFralerighe

Un romanzo che a rigore non può essere definito di Science Fiction ma che certamente è CP (infatti è inserito nella guida schematica al cyberpunk contenuta nell’antologia della Nord), è Mio cugino il Gastroenterologo di Mark Leyner, editore Frassinelli.
Si tratta di un libro sorprendente già per l’impostazione grafica. Infatti il testo non ha giustificazione a destra, in qualche caso i ritorni a capo sono aboliti e sostituiti da spaziature più o meno ampie e in alcuni paragrafi non esistono lettere maiuscole.
Ma cos’ha mai di CP il romanzo di Leyner, oltre allo sperimentalismo formale e ai titoli dei capitoli scritti di sbieco e con caratteri che ricordano la grafica dei PC?
Bene, avendo definito la letteratura CP come postmoderno narrativo (ovvero come parodia, citazione, frammento – o meglio frattale – molteplicità e indefinibilità del punto di vista, esistenza di punti di vista non-umani [animali o artificiali], impossibilità di definire il reale in opposizione al fantastico, gusto dell’estremo, del paradosso, dell’assurdo) il romanzo di Leyner si colloca a pieno titolo nel filone.cyb3-g
Ovviamente è assolutamente impossibile raccontarlo anche perché il modo di procedere nella narrazione è organizzato come A che incontra B che a sua volta incontra C che a sua volta ecc. ecc., fino a quanto Z non incontra A, con A che compare più volte nel testo, magari per telefono o in uno spot TV.
Aggiungete che Leyner usa spesso la prima persona SENZA chiarire CHI sta parlando o si dà a deliranti elenchi come fa Benni nei suoi momenti migliori (e come fa anche la Bibbia: «ed Elmer generò Enoch che generò Baruch…»), muta forma e ricordi ai suoi personaggi e, detto in breve, si fa beffe delle leggi fisiche e narrative.
Se vi siete fatti l’idea che si tratti di un romanzo da cui stare alla larga, troppo assurdo per essere tollerabile e che qualunque persona dotata di buon senso farebbe bene ad evitarlo, avete assolutamente ragione: Mio Cugino ecc. è un romanzo troppo assurdo e qualunque persona dotata di un minimo di buon senso farebbe bene ad evitarlo.
Ma se avete così tanto buonsenso e non amate l’assurdo perché mai leggete SF e CP?
Per concludere un saggio del testo, perché tanto a spiegarlo con parole mie non riesco:

…Il mio ragazzo ripeteva sempre che gli Incas avevano costruito a Machu Picchu un garage con 750 posti per le astronavi degli Extraterrestri. E io appoggiavo la testa sulle sue cosce mentre grossi succosi sottomarini sovietici color rosso scuro si radunavano nella baia per caricare i siluri. Un incidente di caccia mi lasciò con una cavità quandrangolare di 48 cm. nel petto; posso stare davanti alla TV senza ostruire l’immagine…

Più o meno il romanzo va avanti così per 200 e passa pagine, mutevole, mimetico, assurdo, coltissimo e strampalato.
A me comunque è piaciuto.

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Nella primavera del 1995 uscì (finalmente) Snow Crash di Neal Stephenson, premio A. C. Clarke Award 1994. Snow Crash è un romanzo CP a pieno diritto, quindi contaminato, aggressivo, veloce, delirante e scritto con uno stile sottilmente complice, talvolta sgangherato, immaginifico, paradossale. Non è talmente nuovo da far gridare al miracolo, ma si può dire che trasforma in fatto, storia coerente ciò che in altri romanzi e racconti CP è proposta o suggerimento.
Raccontare la vicenda – tanto complessa da risultare a tratti oscura – è abbastanza inutile. Credo possa servire di più un veloce quadro del mondo nel quale il romanzo è ambientato. Si tratta degli States, com’è ovvio, ma divenuti irriconoscibili, frantumati in uno spolverio di minuscoli stati, enclaves, franchise, alla totale bancarotta economica e nei quali qualunque funzione statale, compresa la difesa, è privatizzata o in vendita al miglior offerente. La Mafia è un agente economico e politico legale, garante – sui propri territori – di pace, ordine e tranquillità mentre ciò che resta del governo federale è divenuto un covo di burocrati paranoici che accumulano pratiche sul nulla, passando il tempo a sottoporre a test i propri dipendenti per verificarne la fedeltà.
Esistono ministati fondati su un particolare credo religioso, altri nei quali nostalgici segregazionisti abitano ville in stile Via col Vento e dove è vietato l’ingresso a chi non è puro WASP, enclave di proprietà di Nuova Hong Kong o di Narcolombia e frammenti di territorio senza padroni, concessionari o franchise e quindi destinati al disordine, alla fame e alla delinquenza. cyb3-aAccanto all’universo reale esiste un universo virtuale – il Metaverso – un cosmo cibernetico condiviso dove “le città sono decine di volte più grandi della più grande città del mondo reale e in cui il campo del piacere e dell’esperienza si trova a essere limitato dalla sola immaginazione”.
La struttura del romanzo è quella di un thriller ad intreccio, costruito su un’ipotesi fanta-archeologico-linguistica non esattamente limpidissima ma comunque abbastanza folle da riuscire a reggerne il peso. In 412 pagine si fatica a trovarne due o tre tirate via o inutili e il riferimento a Vineland di Thomas Pynchon che fa Rudy Rucker in ultima di copertina mi è sembrato decisamente azzeccato. Di Pynchon, Stephenson ha la leggerezza stralunata, il gusto per il paradosso, l’ironia sorniona e la carica satirica ad alto potenziale. I suoi USA sono probabili in maniera allegramente allarmante e mostrano fedelmente gli esiti di una deregulation spinta oltre ogni limite ragionevole.
È pur vero che l’amore di Stephenson verso gli hacker può muovere al sorriso, ma c’è poco compiacimento e poche illusioni in proposito. Stephenson chiude la parabola dei Neuromanti volgendola in farsa, in una scatenata sarabanda di cyberdroghe e telepredicatori criminali.

E per questa volta ho finito. A rileggerci presto con altre interessanti cyberavventure anni ’90.

Massimo Citi



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