Cyprian Kamil Norwid
Cyprian Kamil Norwid ((Laskowo-Głuchy, Polonia 1821 - Parigi 1883) è ormai entrato a buon titolo nell’empireo dei grandi poeti romantici europei, nonostante da noi non goda di quella fama che invece gli è dovuta. Fu poeta, pittore, scrittore e drammaturgo, ma la sua più profonda vocazione, nata molto presto nella sua vita, fu quella della poesia.
La vita tormentata e sregolata, l’animo appassionato e assetato di bellezza e conoscenza, le difficoltà economiche, l’anticonformismo, i viaggi in Italia, Francia, Germania, Inghilterra e America (arrivò negli Stati Uniti nel 1852), le amicizie profonde con poeti, scrittori e musicisti polacchi e russi (soprattutto Chopin, Adam Mickiewicz, Turgenev e Aleksandr Herzen), l’impegno letterario e il socialismo utopico, l’amore assoluto per la libertà, ne fanno un personaggio insieme romantico e moderno. Norwid morì a Parigi come si conviene a un poeta romantico della sua tempra: di tisi e in povertà, aggiungendo anche il tocco estremo alla leggenda del genio infelice; fu sepolto in una fossa comune. Come Mozart. Lasciò dietro di sé un corpus di opere ricchissimo e assolutamente originale. Già i contemporanei ne riconoscevano infatti lo stile anticonformista e nuovo.
Ospito sul mio blog la sua bella versione di Paolo Statuti de Il pianoforte di Chopin, di Norwid, con una sua nota introduttiva.
Francesca Diano
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CYPRIAN KAMIL NORWID
Una vita tormentata e raminga
Cyprian Kamil Norwid, uno dei più grandi poeti romantici polacchi, così scrisse di sé: “Cyprian Norwid oggi compie le sue opere all’acquaforte, domani col pennello, dopodomani con lo scalpello. E’ scultore, pittore, incisore delle opere sue…e ciò si è chiamato per seicento anni e si chiama ancora maestro d’arte”.
Era nato nel1821 a Laskowo-Gluchy in Mazovia. Aveva cominciato la sua formazione artistico-letteraria a Varsavia, ove pubblicò versi e prose in vari periodici. Iniziava poi un lungo viaggio che doveva portarlo per sempre lontano dalla patria. Si recò in Germania, in Italia e in Francia. A Parigi conobbe Slowacki e Chopin, due artisti che esercitarono un grande fascino su di lui e sulla sua opera. Dopo alcune delusioni sentimentali, amareggiato dall’estrema povertà in cui viveva e dal completo insuccesso della sua multiforme attività, emigrò negli Stati Uniti, ove visse un anno e mezzo, compiendo anche lavori manuali. Rientrò finalmente in Europa e passò a Parigi gli ultimi ventotto anni della sua vita, chiuso nei suoi sogni, nei suoi lavori, lontano dai contemporanei dei quali non lo interessavano i gusti e che lo lasciavano soffrire la fame. Malato e deluso, interruppe del tutto ciò che restava delle sue vecchie relazioni e sprofondò in una completa solitudine. Nel 1877 dovette rinunciare anche al suo studio di artista ed entrò nell’ospizio polacco di san Casimiro. Morì a Parigi il 23 maggio del 1883 e fu seppellito in una fossa comune nel cimitero di Montmorency.
L’opera di Norwid fu scoperta soltanto nei primi anni del ‘900 dal critico e poeta polacco Zenon Przesmycki. La poesia di Norwid, permeata di simbolismo spesso oscuro, caratterizzata da una profonda ansia morale e da una ritmica audace, non ha nulla in comune coi facili versi degli epigoni del romanticismo che piacevano al suo tempo.
Geloso della sua originalità, non imitò la poesia della Triade romantica polacca, cioè Krasinski, Mickiewicz e Slowacki (anche se fu spiritualmente vicino a quest’ultimo), cercando anzi di allargarne il contenuto ideologico troppo strettamente legato, secondo lui, all’idea nazionale, in una visione universale della patria e dell’umanità.
Un nuovo significato sociale impronta la concezione dell’arte di Norwid. L’arte è infatti per lui la “forma dell’amore” e la sua fonte è nel popolo, creatore e conservatore dei miti. Norwid ebbe sempre in tutta la sua opera un particolare interesse per quanto si riferiva al tesoro delle tradizioni popolari polacche. La parte più importante dell’opera di Norwid è la lirica, complessa e ricca di interiorità. Tra le fonti della sua formazione poetica si citano oltre a Nerval, Poe, Baudelaire, anche Dante, Shakespeare, Calderon, alcuni padri della Chiesa, rare opere italiane, come le poesie di Michelangelo e le satire di Salvator Rosa.
Norwid è un poeta tuttora vivo e attuale grazie alla sua autentica originalità e, come spiegò egli stesso, alla “coscienziosità positiva” nei confronti delle fonti ideali e letterarie del suo tempo, che egli desiderava perfezionare nelle sue opere. La sua coscienza civica gli imponeva di osservare accuratamente e poi trattare nella propria creazione i fatti salienti e i problemi scottanti dell’epoca, cui come poeta riuscì a dare carattere di costante attualità. Ma Norwid è un contemporaneo anche per la sua pratica poetica innovatrice, nella quale trovarono spazio numerosi mezzi di espressione concepiti in modo nuovo.
Sparirà, striscerà via la multiforme opulenza,
Tesori e forze svaniranno, l’insieme comincerà a tremare,
Delle cose di questo mondo ne resteranno soltanto due,
Soltanto due: la poesia e la bontà…e, niente altro…
Norwid scrisse queste parole quattro anni prima della sua morte, considerata quasi concordemente dalla stampa del tempo come la morte di uno scrittore e artista che aveva promesso molto, ma che non era stato di parola! Oggi che la fama di Norwid ha offuscato la stragrande maggioranza degli scrittori polacchi a lui contemporanei, e il suo nome risuona sonoro come quelli di Mickiewicz e Slowacki, bisogna dire che la sua poesia ha sostenuto magnificamente la difficile prova del tempo – nonché della storia – smentendo allo stesso tempo tutti i suoi antichi nemici.
Il “Pianoforte di Chopin” è uno dei suoi poemi più noti e fu scritto nel 1865. Chopin incarnò per Norwid l’idea dell’arte polacca dell’avvenire e lo spunto per tale composizione gli venne dal saccheggio compiuto dai cosacchi nel palazzo Zamoyski a Varsavia, dove lo strumento era conservato.
Paolo Statuti
C.K. Norwid, Autoritratto
CYPRIAN KAMIL NORWID
Il pianoforte di Chopin
Traduzione di Paolo Statuti
Ad Antoni C…
La musique est une chose étrange!
Byron
L’art?…c’est l’art – et puis, voilà tout
Béranger
I
Ero da te quei penultimi giorni
D’inestricabile ordito:
Ricolmi come il Mito,
Pallidi come l’alba…
- Ove la fine della vita bisbiglia al suo inizio:
“Non ti lacero, no!…ma ti do più risalto”.
II
Ero da te quei giorni, penultimi,
Quando somigliavi, sempre più ogni istante,
Alla lira caduta ad Orfeo,
Ove la forza del colpo con il canto attenua,
E conversano tra loro le quattro corde,
Toccandosi,
A due – a due –
E sottovoce sussurrando:
“Ha già scelto
L’accordo?…
Un tal maestro suona?…pur se ci abbandona!”.
III
Ero da te quei giorni, Fryderyk!
La cui mano, per il suo biancore
Alabastrino – e per la presa – e la maniera –
E per i tocchi tremuli, come piuma di struzzo,
Si fondeva nei miei occhi con la tastiera
D’avorio…
Ed eri come quella figura
Che dal grembo marmoreo,
Ancora immacolato,
Trae lo scalpello
Del genio – l’eterno Pigmalione!
IV
E in ciò che sonavi – e che il tono svelava, e dirà,
Benché gli echi si mostrino altrimenti,
Di quando la Tua mano consacrava
Ogni singolo accordo:
E in ciò che sonavi c’era tanta semplicità
Di periclèa perfezione,
Come se una Virtù remota,
In una casa di larice
Entrando, dicesse a se stessa:
“In cielo son rinata,
E mi è diventata arpa – la porta;
Un nastro – il sentiero;
L’ostia vedo tra le pallide biade:
Emmanuele già dimora
Sul Tabor!”.
V
E la Polonia era là, dallo zenit
Di ogni perfezione della storia
Rapita da un’iride d’estasi:
La Polonia dei primevi Carrai,
Quella stessa,
Ape – oro:
La riconoscerei ai bordi dell’essere!
VI
Ed ecco – hai smesso il canto e mai più
Ti guarderò – soltanto – udrò
Qualcosa – come un bisticcio infantile:
Ma ancora questionano i tasti
Per una brama non finita di cantare:
E toccandosi sottovoce,
In otto – in cinque…
Sussurrano: “Sonerà ancora? o ci abbandona?”.
VII
Oh! Tu, che sei il profilo dell’Amore,
Il cui nome è Compiutezza…
Quel che in arte chiamano stile,
E che pervade il canto, dà forma alle pietre –
Oh! Tu, che nelle gesta ti chiami Era,
E ove invece la storia non è giunta allo zenit –
Ti chiami insieme: Spirito e lettera,
E “consummatum est”.
Oh! Tu – perfetta Ultimazione!
Qualunque sia e ovunque sia il Tuo segno –
In Fidia, in David, o in Chopin,
O sulla scena di Eschilo:
Sempre – si vendica di te l’ imperfezione.
- Marchio del mondo è l’insufficienza,
La compiutezza gli duole,
Meglio ricominciare di continuo,
Di continuo espellere da sé un acconto.
- La spiga, già matura come aurea cometa,
Basta che un soffio di vento la scuota –
Una pioggia di chicchi la sbriciola,
La perfezione stessa la disgrega…
VIII
Guarda, Fryderyk – ecco Varsavia
Sotto un astro corrusco,
Così scintillante:
Guarda, l’organo della Parrocchia, guarda, il tuo nido,
E là – le patrizie case vetuste
Come la Publica Res,
Delle piazze i selciati grigi e cupi,
E di Sigismondo la spada nelle nubi.
IX
Guarda – da vicoli a vicoli
I cavalli caucasici irrompono,
Come rondini dinanzi alla procella,
Sferzando davanti ai reggimenti,
A cento – a cento –
Un palazzo brucia, a tratti il fuoco vacilla,
Di nuovo avvampa – e là, sotto il muro,
Vedo fronti di vedove in lutto
Colpite dal calcio dei fucili;
E ancora vedo – pur se il fumo mi acceca,
Dalle colonne della loggia,
Un mobile – parvenza di bara,
Emerge – e piomba – piomba – il Tuo Pianoforte!
X
Lui che cantava la Polonia, còlta dallo zenit
Di ogni perfezione della storia,
Con un canto d’estasi,
La Polonia dei primevi Carrai:
Proprio lui piomba sul selciato di granito!
Ed ecco, come una nobile mente d’uomo,
E’ martoriata dalle ire della gente,
Oppure come – dai secoli
Dei secoli – tutto ciò che risveglia…
- Ed ecco, come il corpo d’Orfeo,
Mille Passioni lo dilacerano in pezzi,
E ognuna grida: “Io no!”
“Non io!…” – e digrigna i denti…
Ma tu, ma io, intoniamo l’inno del giudizio,
Esortando: “Gioisci, figlio non ancor nato,
Le sorde pietre gemono:
L’ Ideale ha raggiunto il selciato!”.
(C)by Paolo Statuti. RIPRODUZIONE RISERVATA