Una squadra del prestigio e blasone dei Los Angeles Lakers è destinata (da sempre) ad occupare un ruolo di primo piano, nei commenti dei tifosi e nelle analisi dei critici. L’estate appena trascorsa ha consegnato a tutti sufficiente materiale per poter parlare del nuovo progetto della squadra angelena, incentrato sull’aggiunta di due potenziali pilastri come Steve Nash e Dwight Howard a supporto della colonna portante gialloviola, Kobe Bryant.
Con una lineup rinforzata di muscoli e cervello (oltre che di talento ed esperienza) poteva apparire quantomai superfluo operare altre trasformazioni in una squadra in cerca d’identità.
Ed invece il romanzo a tinte gialloviola ha già presentato il primo colpo di scena, dopo non appena una manciata di “pagine”.
Mike Brown è stato ufficialmente sollevato dall’incarico di head coach dei Lakers, diseredato dalla gestione tecnica di una squadra che pur contando su di un folto manipolo di superstar ha evidenziato grossi limiti strutturali, evidenziati tanto in pre-season quanto nelle prime gare di regular-season.
A salire sul (potenziale) superbolide gialloviola sarà Mike D’Antoni, ex capo allenatore di New York Knicks ma sopratutto dei Phoenix Suns. Quello di D’Antoni non era il nome favorito della vigilia, ma rappresenta una scelta fatta all’unanimità dalla dirigenza gialloviola, con il beneplacito del leader Kobe Bryant, del gregario Pau Gasol (che via Twitter ha commentato:”Abbiamo un nuovo coach. Sono sicuro che D’Antoni ci aiuterà a diventare il team che vogliamo essere!“), e del nuovo arrivato Steve Nash, un “vecchio amico” di D’Antoni, per così dire.
L’ex (indimenticato) playmaker dell’Olimpia Milano ha firmato un contratto quadriennale, ma guai a lasciarsi ingannare dalle cifre.
La gestione d’antoniana deve fornire risposte concrete ed immediate ai problemi dei Lakers, considerato che la regular season è ormai avviata e che questa squadra è stata progettata con obiettivi ben diversi da un’onesta posizione di metà classifica.
Lo stile di gioco di coach D’Antoni, il cosidetto “run and gun” può fornire una valida base tattica per creare una precisa identità di gioco, previa una doverosa metamorfosi kafkiana che reinventi ruoli e partecipazione in campo di ogni singolo giocatore.
Il concetto di run ‘n gun ha trovato la sua massima espressione nella versione dei Phoenix Suns del quinquennio 2003-2008 allenata da D’Antoni. Erano quelli i Suns di Steve Nash (esecutore dei famigerati pick&roll, nonchè due volte MVP sotto la gestione baffuta) di Amar’e Stoudemire (che seguì il maestro a New York City), di Boris Diaw, Quentin Richardson e Leandro Barbosa.
Ciò che nella città degli angeli tutti si chiedono e se è tecnicamente possibile reinterpretare quei Suns in chiave moderna (gialloviola). La risposta è un si con riserva.
L’asse nord-sud è quanto di meglio si potrebbe chiedere; lo spot di guardia tiratrice (che in passato ha nobilitato le carriere di Q-Rich, Barbosa e Joe Johnson) è saldamente occupata dal signor Kobe Bryant; mentre nei panni di Boris Diaw dovrebbe “recitare” un Pau Gasol dotato di talento a sufficienza per recitare la sua parte; dalla panchina Jodie Meeks e Antawn Jamison sono esterni abili ed arruolabili nonchè dotati di un ottimo tiro e Jordan Hill (scelto dai Knicks di D’Antoni al draft 2009) avrà la sua occasione per continuare l’ottimo lavoro già avviato a LA.
Al di là delle eventuali analogie e/o differenze con il modello Suns, a coach D’Antoni si chiede innanzitutto di creare una squadra che lavori congiuntamente in campo e fuori, accantonando (se possibile) le teorie kobe-centriche dell’era Mike Brown.
Missione ardua considerando anche le leggendarie turbolenze dello spogliatoio Lakers, tuttavia se i risultati inizieranno a sorridere al nuovo allenatore, voltare pagina potrebbe non risultare così doloroso come si pensa.