Ho ben presente quella cosa della mobilità sociale secondo cui le persone di umili origini riescono o meno a integrarsi in ambienti più abbienti, come il mito dei figli degli operai che diventano ingegneri e che hanno figli che a loro volta non trovano lavoro perché a causa dell’agio in cui sono cresciuti e dell’emancipazione dalla schiavitù culturale della fatica a cui sono stati educati hanno studiato materie inutili e sono destinati a tornare tra le fila degli ambienti umili e così via. Io sono un fermo sostenitore del contrario, ovvero della immobilità sociale, soprattutto in questo periodo storico in cui i soldi sono finiti. Allo stesso modo il mondo è pieno di esempi in cui i figli sono destinati alla realizzazione di sé o meno a seconda di quella sorta di imprinting che hanno ricevuto in famiglia, e che nel caso negativo in cui l’attitudine a vivere un po’ dietro le quinte se non tra gli spettatori rientra quasi nella casistica delle maledizioni. I nostri ragazzi spesso imparano a farsi valere nella vita da come vedono comportarsi i loro genitori, un vero e proprio approccio sociale che si manifesta anche nelle piccole cose come quelli che nelle foto di gruppo si mettono in seconda fila o, quando osano in protagonismo, vengono coperti dalla mano di qualcuno o da un inspiegabile alone scuro. Persone che saranno raramente interpellate perché il resto del mondo avrà frainteso il loro impegno a non disturbare come una volontà di lasciare spazio a chi del disturbo ha fatto la sua matrice operativa. Poi c’è invece chi si impegna a insegnare ai propri piccoli a comportarsi al contrario dei genitori secondo la volontà stessa di alleviare certe sofferenze nei figli, ma io vi avverto che raramente si raggiunge l’obiettivo. Il carisma, chiamiamolo così, quel fattore che ti colora la pelle di un inchiostro evidenziatore e che ti permette di essere scelto, ascoltato, compreso, che ti fa arrivare in pole position, che conquista le simpatie di professori e compagni di scuola, che ti fa crescere curioso perché il mondo è più propenso ad aprirti le porte, ecco quella cosa lì che non saprei come definire è uno di quei vermicelli che si vedono nelle rappresentazioni del DNA, un elemento del codice genetico sul quale purtroppo c’è ben poca sperimentazione ingegneristica possibile.
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