Quando ho compiuto tre anni mia madre mi mandò all’asilo. Montessori. Non so perché. Non so se lo scelse per la vicinanza a casa nostra oppure perché lì, dicevano, i bambini venivano seguiti meglio. Imparavano veloci, venivano stimolati concretamente. Il metodo garantiva buoni risultati dal punto di vista cognitivo. Mia madre deve aver pensato di offrirmi il meglio. Di sicuro voleva per me buoni insegnanti. Devo dire però che, di quel periodo, ricordo con gioia soprattutto quel giardino fantastico, pieno di angoli magici, dove trascorrevo molte ore a giocare con le mie amichette e incominciavo a imparare a relazionarmi e a vivere, mentre odiavo mettermi seduta a fare gli incastri, ad infilare le perline, cucire bottoni o a camminare “sul filo”, un piede davanti all’altro seguendo la striscia rossa a forma di cerchio schiacciato disegnata sul pavimento di marmo della grande sala d’ingresso, che avrebbe dovuto insegnarci ad avere un portamento “regale”. Anche il rito di preparazione della sala da pranzo, noi bambine vestite da piccole cameriere con una crestina di pizzo bianco infilata tra i capelli, mi stava sullo stomaco.
Ma c’è una cosa che ricordo con particolare lucidità. La struttura era gestita dalle suore. Un giorno la superiora ci parlò della Madonna. Disse che in un luogo lontano era apparsa a Bernardette e aveva parlato con lei, le aveva dato tante indicazioni sulla vita e sul mondo e per questo era diventata una bambina speciale.
Allora pensai che se era apparsa a lei avrebbe potuto apparire anche a me. Trascorsi tre anni scrutando gli angoli delle aule e interpretando ogni bagliore come un segno che la Signora presto si sarebbe manifestata. E mi avrebbe scelta. Mi sarebbe tanto piaciuto che dicesse qualcosa anche a me. Qualcosa che gli altri non sanno, qualcosa di forte che avrebbe potuto fare anche di me una bambina speciale.
Ma non successe nulla e io interpretai questo fallimento come una mia incapacità di vedere o forse semplicemente come una mia inadeguatezza. Di sicuro la Madonna doveva aver pensato che io non ero degna.
Questo senso di frustrazione mi accompagnò a lungo. Ho continuato a cercare, nella mia vita di adulta, qualcuno che potesse insegnarmi ciò che non so, condurmi per i sentieri dell’esistenza mostrandomi ciò che è bene e ciò che è male.
Oggi, ma è passato tanto tempo, posso tranquillamente dichiarare che non cerco più. Ho imparato da sola. Camminando nel mondo, accettando le sfide, commettendo errori, cadendo e rialzandomi, imparando le lezioni, osservando. Con curiosità, coraggio, rispetto e spirito d’iniziativa.
Ciò che insegna è l’esperienza, la volontà e la determinazione nell’andare e scoprire cosa c’è al di là del nostro percorso arginato da muri talvolta insormontabili.
La vita è fatta di incontri e da ognuno di questi, se siamo pronti, possiamo imparare qualcosa di nuovo e di importante. Ma dipende da noi. Ogni incontro è un piccolo mattone per costruire una base solida su cui poggiare i nostri pensieri, le nostre emozioni, i nostri sentimenti. Perché di questo è fatta la vita.Non esistono buoni maestri o cattivi maestri, esiste la nostra capacità di cogliere un granello di sapienza, un insegnamento, una luce in ciò che vediamo intorno. Siamo noi a poter e dover fare la cernita, a capire cosa usare, come fare, quando e perché. Possiamo cogliere spunti da mille piccole cose così come dai nostri sogni, dalle nostre intuizioni, dai tanti tantissimi segnali che il nostro inconscio ci manda ogni giorno per indicarci la strada migliore, quella più adatta a noi. Questi si, sono i veri maestri, spunti su cui fermare le nostre riflessioni.
Anche il nostro corpo, straordinaria macchina di vita, ci manda costantemente indicazioni su quale è la via. Piccoli segni che dobbiamo imparare a decodificare invece che ignorare o peggio sopprimere. Siamo macchine perfette. C’è un campanello d’allarme in ognuno di noi che ci segnala quando qualcosa non va. Si chiama disagio. Guai ignorarlo!
Si impara, un po’ alla volta, con l’aiuto di chi incontriamo e con la consapevolezza che senza impegno e senza umiltà non si va da nessuna parte.
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