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Da Dante a Bram Topker: la via italiana alla parodia – Parte 1

Creato il 14 maggio 2013 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco
Speciale: Topolino 3000
  • 3000 di questi numeri, Topolino!
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  • Da Dante a Bram Topker: la via italiana alla parodia – Parte 1

Parodie_disney

Dal celeberrimo “Inferno di Topolino” al recente “Dracula di Bram Topker” sono passati oltre sessant’anni. Sessant’anni di riletture ironiche di grandi classici letterari e non solo, centinaia di racconti a fumetti in cui cultura “alta” e cultura “popolare”, Topolino-7si incontrano felicemente a metà strada. Lì dove l’omaggio si alterna allo sberleffo, la citazione alla riscrittura, la replica al controcanto, autori come Guido Martina, Giovan Battista Carpi, Giorgio Cavazzano e tanti altri hanno codificato la cifra espressiva unica di un vero e proprio canone disneyano.

Trattare Dante con i guanti (gialli)Le due storie, quella della rivista e quella del genere parodia, si intrecciano fin dalle origini. Nell’ottobre 1949, quando Topolino ha adottato da appena sette numeri il caratteristico formato tascabile, destinato a diventare il suo marchio editoriale permanente, i lettori s’imbattono nella prima puntata di un racconto curioso, assolutamente diverso da quelli che l’hanno preceduto. Topolino – ipnotizzato da Pietro Gambadilegno – rivive la discesa agli inferi del Sommo Dante, guidato da uno sconclusionato Pippo/Virgilio.
Era già accaduto, nelle strisce americane degli anni Trenta del maestro Floyd Gottredson, che il Topo facesse il verso, più o meno sottotraccia, a romanzi e film celebri, ma l’assoluta novità de “L’Inferno di Topolino” sta nel fatto che lo sceneggiatore Guido Martina e il disegnatore Angelo Bioletto giocano a carte scoperte con il pubblico. A partire da quelle didascalie versificate in terzine poetiche, riconoscere il gioco di rimandi a La Divina Commedia diventa l’elemento fondante del racconto topesco e del suo fascino. Come scrive il filosofo Giulio Giorello:prot_173

“Sottile proprietà, la somiglianza, perché mette sempre in gioco la differenza. Ed è per questo che man mano che si dispiegano i vari generi letterari, la parodia può diventare terribilmente seria, proprio perché è insieme libertà e conoscenza”

È grazie a questo meccanismo che sulla Selva oscura in cui Topolino/Dante si smarriva nel 1949, è stata costruita nel tempo una collaudata autostrada dell’immaginario, lungo cui corrono in parallelo cinema, letteratura, televisione e, persino, fumetto su fumetto, in un gioco di risonanze sempre più vertiginoso. Ma quali sono, se esistono, le caratteristiche comuni a questi racconti?

Iperpaperi e Stereotopi

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Le parodie disneyane fungono da “doppi” degli originali.
Per dirla con il critico letterario Gerard Genette, storie come “Paperino Don Chisciotte” e “Le avventure di Top Sawyer” rappresentano degli ipertesti, ovvero versioni di 2° grado degli ipotesti letterari di Miguel Cervantes e Mark Twain. In altre parole, le parodie funzionano come quei vecchi specchi deformanti dei Luna Park: ci appaiono buffe le sembianze che vediamo riflesse in maniera stravolta, a patto che resti viva la memoria dei nostri connotati reali.
Lo specchio deformante del fumetto riflette e stravolge la trama romanzesca (o filmica) con caratterizzazioni lessicali e grafiche spassose, tipiche del mondo disneyano. Così, ad esempio, l’Omerica guerra di Troia, nella versione “Paperodissea” (1961) che ne offrono Gian Giacomo Dal Masso, Guido Martina e Pier Lorenzo De Vita, diventa l’interminabile disfida tra soldati e indiani nel Far West per via di un bufalo sottratto al ranch di Zio Paperone. E Paperino riesce a porre termine al conflitto, non come l’Ulisse omerico con un colpo d’astuzia, bensì con la solita imbranataggine e l’aiuto inconsapevole di uno sciame d’api…

Siamo uomini o paperi? 

È questo un aspetto importante per capire la consolidata fortuna della tradizione italiana. Se è vero che, per cogliere l’umorismo della parodia, il lettore deve conoscere l’opera originale, di fatto il racconto “doppio”, grazie alla forza drammaturgica dei caratteri disneyani, resta comunque una godibilissima avventura di paperi e topi anche per un pubblico (per lo più infantile) che non colga i riferimenti crossmediali. Si tratta del maggior merito di Guido Martina, padre putativo del genere, e di tutti gli altri cartoonist italiani che l’hanno affiancato e seguito: curare il “cast” dei personaggi nelle storie, in modo da mantenere viva la riconoscibilità di paperopolesi e topolinesi anche quando adottano altri passaporti.
In tal senso, è curioso notare come, nel tempo, il gioco parodico abbia alimentato veri e propri corti circuiti dell’immaginario. Così, l’avaro e “paperogino” zio che Donald Duck incontra la prima volta in “Il Natale di Paperino sul Monte Orso” (1947) si chiama Uncle Scrooge, perché il maestro Carl Barks, voleva rendere omaggio al personaggio archetipo di tutti gli avari moderni, il dickensiano Ebenezer Scrooge de Il canto di Natale. Trentacinque anni dopo, nella filologica parodia del racconto di Charles Dickens, disegnata José Colomer Fonts, Guido Martina non può che affidare a Zio Paperone il ruolo “tagliato su misura” di Scrooge.

Strizzare l’occhio al lettore

In un certo senso, ogni parodia si configura per il lettore, come una vera e propria caccia a tesoro tra le vignette per scovare i rimandi ironici all’opera di partenzahrE come in tutte le cacce al tesoro bisogna seminare indizi per alimentare la ricerca, così i vari Martina, Chendi, Artibani, Scarpa, Bottaro, Ziche allestiscono nelle tavole dei “markers” parodici, ovvero degli ammiccamenti comunicativi, che alimentano il gioco umoristico. Si tratta di elementi “cult” (battute, scene, etc.) delle opere originarie ma riproposti “in salsa paperopolese” o “topolinesca”.
Pensiamo alle due versioni disneyane de I promessi sposi e alla celebre minaccia dei Bravi a Don Abbondio: “Questo matrimonio non s’ha da fare!”. Nella versione piumesca del 1976 – “I promessi Paperi” di Edoardo Segantini e Giulio Chierchini – assistiamo al suo completo rovesciamento. “Questo matrimonio s’ha da fare!” Intimano i Bravotti al curato Ciccio, perché il matrimonio tra Paperino e Brigitta, è l’escamotage studiato da Don Paperigo per liberarsi della sua ossessiva spasimante.
Nella versione topesca (1989) – “I Promessi Topi” di Bruno Sarda e Franco Valussi – troviamo, invece, un più azzeccagarbugliesco “Questo contratto non s’ha da firmare!” indirizzato dagli sgherri di Don Pietrigo (Gambadilegno) a uno spaventato Notaio Pippondio, perché su quel ramo del Lago di Como è in corso una disfida alberghiera.

Da un Ciak a un Quack

In altri casi, l’ammiccamento parodico al lettore può giocarsi tutto a livello visivo. Viene in mente la superba Paperina/Rossella che entra in scena nella sua magione coloniale in “Paperino e il Vento del Sud” (1982, Guido Martina e Giovan Battista Carpi) monumentale rilettura del kolossal hollywoodiano Via col vento, dove troviamo una simile, celebre, sequenza. Dello stesso amore cinefilo si nutre la matita di Massimo De Vita in “Paperinik e l’arca dimenticata” (1986, testi da Bruno Concina) nel riproporre l’intera sequenza d’apertura del celeberrimo I Predatori dell’Arca perduta di Steven Spielberg, con un Paperinik, più fanfarone che mai, al posto di Indiana Jones.
topolino1Ancora più sorprendente, il lavoro di Giorgio Cavazzano che in “Topolino e Minnie in Casablanca” (1987) riesce a inventare una sorta di marker parodico sonoro del celebre film di Michael Curtiz. Oltre a immergere i topi in vignette rigorosamente virate in grigio dal fascino retrò, il maestro veneziano sceglie infatti di ritmare le scene chiave della parodia, puntando sulla celebre canzone cult As Time Goes By, fulcro della storia d’amore tra i due protagonisti nel film, e sulla battuta altrettanto leggendaria di Rick/Humprey Bogart: “”Suonala ancora, Sam“. Nel fumetto il sonoro, ovvio, non c’è e su questo suono “negato” Cavazzano costruisce una irresistibile, reiterata, gag del pianista Sam, interpretato da un riottoso Pippo, costretto a suonare/silenziare sempre lo stesso, fatidico, motivo per le contradditorie richieste di Minnie e Topolino.

 

Gli esempi citati danno un’idea della varietà di esiti diversi cui la parodia può approdare. Il corpus dei racconti disneyani appare ormai talmente sterminato che elencarle tutte sarebbe un esercizio arduo e, forse, nemmeno tanto produttivo. Ma si può tentarne una mappatura per filoni e lo faremo domani nella seconda, conclusiva, parte dell’articolo.

(fine prima parte)

 

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