Da dove arriva la sinistra oggi al governo, quella delle larghe intese e la maggioranze variabili. Cosa sta facendo ora e dove vuole arrivare. Dalla rottamazione dei vecchi alle riforme a scatola chiusa.
Su l'Espresso uno stralcio dal capitolo "Leopolda mon amour"
Quattro novembre 2010, ex stazione Leopolda di Firenze. All’ingresso c’è uno striscione dipinto con lo stile dei writer: «Al passato grazie, al futuro sì». Dentro, centinaia di persone: soprattutto giovani. Sul palco, a destra, dietro a una scrivania, i due ragazzi che hanno organizzato la giornata: Pippo Civati, monzese, 35 anni, consigliere regionale lombardo del Pd spesso critico verso la dirigenza del suo partito; e Matteo Renzi, di pochi mesi più grande, neosindaco di Firenze. È da qui, da questo giorno d’autunno e da questa stazione dismessa, che partirà l’ascesa del rottamatore verso la segreteria del partito e Palazzo Chigi.
All’incontro della Leopolda si arriva però attraverso un percorso cominciato più di tre anni prima e in cui Renzi in realtà ha - almeno all’inizio - un ruolo marginale. Il gruppo di partenza nasce infatti nel 2007, dopo il congresso con cui i Ds hanno deciso di sciogliersi nel futuro Pd: e a un gruppo di giovani più o meno di sinistra che si sono conosciuti in Rete grazie ai rispettivi blog viene l’idea di provare a far sì che il nuovo partito non sia solo il frutto di un accordo tra due vecchie dirigenze, quelle dei Ds e della Margherita.
Tra di essi ci sono l’ex candidato outsider alle primarie del 2005 Ivan Scalfarotto, il giornalista e blogger Luca Sofri, l’economista Marco Simoni; a loro si avvicina quasi subito Pippo Civati. Ne nasce un sito Web, chiamato iMille, e - pochi mesi dopo - il gruppo si riunisce a Roma per un evento dal titolo profetico: “La necessità di uccidere il padre”.
Curiosa, vista oggi, la composizione degli oratori: si va da Civati a Paola Concia, dall’editore Michele Dalai alla filosofa Chiara Lalli, dal futuro ministro Federica Mogherini all’attuale parlamentare montiana Irene Tinagli, da Diego Bianchi (“Zoro”) fino a un altro futuro ministro, Marianna Madia (...).
Quando la segreteria Veltroni si disintegra (febbraio 2009), tra questi “giovani eretici” si apre la discussione sulla possibilità di mandare a casa la vecchia nomenclatura. Così nell’aprile del 2009 a Riotorto, frazione di Piombino, si rivedono per un seminario organizzato da Scalfarotto, Concia, Sandro Gozi e dallo stesso Civati, con Marianna Madia, Irene Tinagli e Marta Meo. In corsa viene invitata anche Debora Serracchiani, fino a poche settimane prima ignota consigliera provinciale a Udine: il video del suo intervento contro le timidezze dei dirigenti del partito, in un’assemblea dei circoli, aveva appena riscosso un grande successo in Rete, diventando un emblema della nuova generazione che contesta quella vecchia.
A gestire i lavori a Piombino sono Scalfarotto e Civati. E Renzi? L’allora presidente della provincia di Firenze viene a sapere di questa riunione e l’ultimo giorno, la domenica, arriva anche lui. Si ferma soltanto un pomeriggio, giusto il tempo di fare qualche battuta e di conoscere il gruppo di trentenni grazie ai quali inizierà la sua ascesa. I “piombini” si rivedono tre mesi dopo al Lingotto di Torino, scelto come luogo simbolico per “far rinascere il Pd”. In quei giorni Renzi è appena stato eletto sindaco della sua città: quindi al Lingotto non va. Ma da Palazzo Vecchio partecipa alle discussioni per proporre una candidatura alla segreteria del Pd alternativa alle due “di nomenclatura”, cioè Bersani e di Franceschini. «Renzi insisteva che mi candidassi io, diceva che bisognava dare un segnale generazionale e mi presentava agli incontri pubblici come “il prossimo segretario del Pd”», dice oggi Civati: «Io invece ero convinto che la persona migliore di noi da proporre fosse la Serracchiani, diventata popolare grazie a quel video. Ma Debora, a sorpresa, decise di appoggiare Franceschini. Alla fine spuntò come terzo candidato Ignazio Marino e quindi ci schierammo con lui».
Così si arriva alla prima prova nei gazebo di quelli che in seguito verranno chiamati “rottamatori”: Marino però si ferma al 12 per cento e il percorso comune non va oltre. Quindi gli ex “piombini” ricominciano daccapo: e dopo le regionali del 2010 si ritrovano ancora a parlare del Pd da cambiare in un campeggio politico intitolato “Andiamo oltre” ad Albinea, vicino a Reggio Emilia. Ed è così che si arriva all’appuntamento della Leopolda. Racconta Civati: «Renzi un giorno mi chiamò e mi disse: “Pippo, tu che fai queste cose bellissime tipo Piombino o Albinea: perché non ne organizziamo una insieme, più in grande, qui a Firenze? Questa volta ospito io”. A me sembrò una buona idea, anche se politicamente eravamo già diversi: lui veniva dal giro dei teodem e come candidato sindaco alle primarie di Firenze era considerato quello più moderato. Io avevo già uno sguardo più a sinistra e un’idea di leadership molto più di rete, meno personalistica...».
È lo stesso Civati a scegliere la maggior parte delle persone che interverranno a Firenze, allargando il gruppo dei “piombini” a centinaia tra giovani amministratori locali (non solo del Pd), attivisti dei movimenti e delle associazioni, blogger, artisti, giornalisti, scrittori. Curiosamente, sia Scalfarotto sia Serracchiani in un primo tempo non sono affatto convinti di andare alla Leopolda: considerano il sindaco di Firenze troppo moderato, se non “di destra”: solo le insistenze di Civati «per colorare Matteo con il nostro gruppo» alla fine convincono i due a partecipare. Il sindaco di Firenze, tuttavia, è quello che lancia l’evento con un’intervista nella quale viene per la prima volta pronunciata quella parola che mediaticamente sfonderà: “rottamazione”.
L’appuntamento fiorentino è un successo. Ci sono persone di tutta la sinistra italiana: dal Popolo Viola ai radicali, dai sindacalisti di base agli ambientalisti, dagli attivisti per i diritti dei migranti ai giovani sindaci pd poco in linea con la leadership nazionale. Ai tre giorni di meeting si registrano settemila persone mentre sono 25 mila quelli che seguono l’evento in streaming. Dal palco, Renzi dà la parola e la linea, alternando politica e battute, frecciate e cazzeggio: a tratti sembra quasi un disc jockey. Alla fine tra gli interventi più cliccati su YouTube ci sono quelli di Alessandro Baricco, di Pif e di Maria Elena Boschi, 29 anni, che si presenta come semplice “avvocato esperto di diritto societario”.
Un mese dopo, tuttavia, Matteo Renzi va in visita ad Arcore, da Silvio Berlusconi. Racconta Civati: «Io non ne sapevo niente: mi sono svegliato un mattino e ho visto che in Internet c’era una valanga di improperi contro Matteo e, per proprietà transitiva, contro di me. Leggendo ho capito cos’era successo. Ho cercato di rimediare con un post in cui prendevo blandamente le distanze, qualcosa tipo “io non l’avrei fatto”, ma ho anche tentato di difendere Renzi aggiungendo che non si poteva attaccarlo per quella visita. Invece lui si arrabbiò con me, mi scrisse che si sentiva tradito. Quindi iniziammo ad allontanarci e a poco a poco naufragò il progetto di far crescere insieme una rete di eventi e di persone».
Nei mesi successivi, Civati organizza altri incontri, più locali, che lui chiama “leopoldine”. Renzi non si fa più vedere e inizia a correre in proprio. Tutto per l’episodio della visita ad Arcore? Secondo Civati, no. Quello in realtà sarebbe stato poco più che un detonatore per una rottura che sarebbe avvenuta comunque: «Veniamo da percorsi differenti: lui dalla tradizione popolare, io dalla sinistra. E poi: noi volevamo costruire una rete che ponesse le premesse di un nuovo gruppo dirigente, con una solida elaborazione di pensiero alle spalle. Invece lui aveva un disegno che poi è emerso con chiarezza, cioè quello di un partito dove c’è un solo pensiero, il suo, e gli altri si devono adeguare».
Ivan Scalfarotto, rimasto al fianco di Civati fino al 2013 e poi passato con Renzi, ha di quella rottura un’interpretazione diversa: «È stata una questione più personale che politica. Pippo è un talento, è colto, intelligente: ma poi la leadership di Matteo è emersa in modo evidente».
E - comunque sia - è questa “evidente leadership” a segnare i destini di tutta quella banda di ragazzi che un tempo sfottevano ugualmente sui loro blog i vecchi capi del Pd. Boschi, Mogherini e Madia oggi sono ministri, Scalfarotto e Gozi sottosegretari, Simoni capo segreteria del viceministro dello Sviluppo Economico. I civatiani costituiscono invece l’unica vera opposizione interna al Pd. E l’ultima immagine che ritrae insieme “Matteo e Pippo” è proprio quella che arriva in diretta da Montecitorio il giorno in cui si vota la fiducia al governo dell’ex rottamatore: si vede Renzi marmoreo sulla sua nuova poltrona da premier mentre Civati, in piedi dal suo banco in alto a sinistra, gli dice a voce bassa che «sta sbagliando»