Anche le notizie sulle attività massicce e costose dell’industria dell’assistenza per la ricostruzione di Haiti si sono un po’ rarefatte, stile quelle sull’Afghanistan. Una bella notizia (?) è che il neo primo ministro Laurent Lamothe (a Miami) ha dichiarato che il governo ridurrà le proprie spese di USD 30 milioni. Una grande iniziativa che partirà con il sostituire le Toyota Land Cruiser con le più economiche Pajero, ridurre l’uso dei membri del governo di aerei ed elicotteri privati e le spese di rappresentanza sue e dei suoi ministri, racconta la stampa.
Dichiarazione giunta prima del suo viaggio in Europa. Obiettivo: chiedere ai donatori di completare i versamenti degli aiuti decisi a New York (il 31 marzo 2010) di cui sono arrivati “solo” USD 2,84 miliardi (53,2%). Una cifra che rappresenta il 20% del reddito annuo procapite di ognuno dei 9, 7 milioni di haitiani; a cui bisogna aggiungere i fondi privati stimati in circa 1 miliardo, solo in Italia (una delle cifre più basse in Europa) furono raccolti euro 90 milioni.
A proposito di soldi sarebbe bello sapere che fine hanno fatto i circa 9 milioni di euro che il Consorzio Agire (responsabile di 2 milioni) e il VIS (volontari italiani per lo sviluppo-salesiani) hanno affidato a promotori finanziari (radiati 10 anni prima dall’albo) che sono spariti con la cassa. Fatto curioso che le due ONG non hanno più dato notizia della vicenda e che, nei rispettivi siti, le ultime notizie su Haiti risalgono a un anno orsono. Adesso è più fotogenica la Siria.
Francesco, responsabile del casino scoppiato per i post precedenti, ci riporta a Port Au Prince nella confortevole Log Base, il Quartier generale delle Nazioni Unite, verde, con i fiori, comodi uffici, macchinette da golf per girarci, centinaia di suv bianche parcheggiate, un buon sushi bar; dentro tanti espatriati, pochissimi haitiani (a parte autisti e tuttofare), anche alle riunioni di coordinamento delle ONG. Alle cinque tutti con i macchinoni pagati dai controbienti a prendere l’aperitivo sull’elegante collina di Petionville, dove ormai i baristi li chiamano Ongist, i nuovi turist.
Log Base è uno dei simboli della Repubblica delle NGO (oltre 10.000 più o meno attive) e delle migliaia di operatori internazionali più volte accusati di fare progetti solo per loro stessi, per venderli ai donatori paganti e di essere, come minimo, poco efficienti., se non inutili o dannosi. Francesco fa notare che, malgrado il flusso di denaro e d’esperti, ancora 400.000 haitiani vivono in tende e baracche spesso costruite in aree pericolose per frane e inondazioni, dopo tre anni dal terremoto; il colera ha provocato 3.600 vittime dallo scorso ottobre, come ha denunciato ultimamente a Ginevra Jumbe Omari della International Organization for Migration (IOM) e che i servizi essenziali (acqua) nella maggioranza dei campi sono ancora un sogno.
Insomma non si può dire che, anche qui, i soldi dei donatori e tax payers siano stati ben investiti dall’industria dell’assistenza: case costruite e non abitate perché prive di servizi o inadatte al clima tropicale, progetti lasciati a metà, canali di scolo interrari per scarsa manutenzione, fognature che scaricano fra le case e che provocano l’espandersi del colera, assenza di acqua pulita e di servizi per l’igiene nella maggioranza dei campi e via discorrendo, segnala Francesco ed altri. Ma lui si ferma qui, dopo le ultime testimonianze, ha paura che qualche operatore dell’industria gli faccia un rito woodo.
Allora raccogliamo quando ha dichiarato Pierre Gotso di Medialternarif (fonte giornalistica indipendente) che ha fatto inchieste e denuncie sul misuse dei fondi e sull’incapacità delle ONG e del sistema delle NU a gestirli con efficacia. “Molti progetti, racconta, non sono concreti e quindi utili alla popolazione perché sono stati decisi escusivamente dagli “esperti” internazionali”… non risultano collegati alle reali necessità della popolazione e, dunque, la gente non li sente propri e, quinsdi sono inutili.“
Aggiungiamo quanto ha scritto Kathie Klarreich and Linda Polman su Nation qualche giorno orsono: On one side are the thousands of aid organizations that came to Haiti with the entire international aid budget in their bank accounts (several billion dollars among them) and built a powerful parallel state accountable to no one but their boards and donors. On the other are the many representatives of the Haitian people—elected officials, civil society leaders, businesspeople—who remain broke and undermined by the very NGOs that swooped in to help. And in between? The Haitian people themselves: impoverished, unemployed, homeless and trapped in a recovery effort that has all too often failed to meet their needs.
E continua: “nella Repubblica delle ONG, Leogane è la città delle ONG “, ha detto Joseph Philippe, 33 anni, coordinatore tecnico del Comitato Comunale di Protezione Civile di Leogane. Gli operatori umanitari che hanno invaso Léogâne, intasando le strade con i loro SUV, sono spesso giovani e idealisti, desiderosi di unirsi allo sforzo di “ricostruire meglio”, come disse Bill Clinton. Ma le ONG sono guidate più dagli obiettivi dei donatori che dalle esigenze dei “beneficiari”, come vengono chiamati in gergo delle ONG.
Ciò che il popolo di Léogâne aveva bisogno era case, sicure, stabili,; hanno ottenuto tanti box quadrati nel mezzo di una pianura che rischia costantemente di essere alluvionata. Léogâne è alla confluenza di tre fiumi. Ma nessuna ONG ha pensato di puntellare la riva del fiume e creare un sistema sostenibile di drenaggio, secondo Philippe. Non era parte dei loro progetti né per quello erano stati raccolti i fondi. Solo il Canadian Center for International Studies and Cooperation ha contribuito a rafforzare le rive del fiume con rocce, riducendo il rischio di alluvioni del 15 per cento. Buono, ma appena sufficiente.
“L’ironia”, continua Philippe, “è che tutto ciò che è stato costruito qui dalle ONG verrà spazzato via dalle prossime inondazioni. Le ONG continuano a finanziare progetti in paesi sottosviluppati in modo sottosviluppato “. Il terremoto ha distrutto fra l’80 al 90 per cento degli edifici di Leogane, lasciando decine di migliaia di senzatetto. L’impegno di diverse decine di ONG coinvolte nella ricostruzione, come CARE, Habitat for Humanity e la Croce Rossa spagnola, era per costruire 28.560 alloggi provvisori. Si sono messi a costruire ” T-shelter, strutture che da temporanee sono diventate definitive mentre erano pensate per giusto il tempo di colmare il divario tra teloni di emergenza e costruzioni più permanenti.
Oggi, la maggior parte dei T-rifugi sono diventate strutture scadenti. destinate rapidamente a deteriorarsi, spiega Priscilla Phelps, autrice di Safer Homes, Stronger Communities: A Handbook for Reconstructing After Natural Disasters, scritto per la World Bank poco prima del terremoto ma presto dimenticato. Sono costruite con materiali non riciclabile, non adatto alle condizioni ambientali di Haiti. Sono costose, per soluzioni temporanee (lei stima che il costo sia fra i USD 6.000 \USD 10.000, e non 2.000 o 3.000, come dichiarano le ONG; infine sono state costruite in terreni in cui gli abitanti non possiedono la terra e da cui verranno scacciati. I migliori T-rifugi disponibili sono box di legno con una finestra, poi ci sono quelli di qualità peggiore, di plastica, con i tetti di lamiera, di tela di sacco addirittura.
Secondo un rapporto della Federazione Internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa, la fornitura di queste strutture è stata decisa in base all’offerta di questo prodotto nei paesi donatori e in base all’immediata visibilità dell’intervento per il marketing delle ONG. Sarebbe stato meglio riparare le case danneggiate, trovare soluzioni in affitto, se non fosse stato per la necessità delle ONG di farsi pubblicità. Seduto nel suo ufficio, che potrebbe essere scambiato per un ripostiglio vuoto, Philippe ha detto che il divario tra i donatori e le esigenze dei beneficiari è esasperante e umiliante. “Le nostre priorità non sono le stesse loro. Non abbiamo altra scelta che accettare ciò che ci portano. Ma poi, quando non funziona e non è quello che ci serve, perchè la colpa è dello stato, e non delle ONG. “Alla domanda su cosa le ONG ha lasciato alle spalle, si mise a ridere. ““Visibly,. You are journalists—go look for yourself.”
Per amordiddio, conclude Francesco qualcosa si è fatto con tutti questi soldi, specie nell’immediata emergenza (come spesso accade); qualche ONG ha lavorato con passione ed efficacia anche dopo, ma il complesso dei risultati è, abbastanza desolante. Tolgo la parola a Francesco che non vorrei sottoposto a qualche maledizione e aggiungo, anche se mia nonna butta dalla finestra centomila euro qualcuno, sicuramente , ne beneficerà. Forse, non sarebbe quello a cui più serve, e, sicuramente, con quei soldi si poteva fare di più.
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