di Federica Castellana
Partito dagli Stati Uniti, lo scandalo delle intercettazioni di massa coinvolge adesso anche l’altra sponda dell’Atlantico. Dallo scorso giugno grandi testate internazionali come il Guardian, il Washington Post e il New York Times hanno cominciato a pubblicare le rivelazioni di Edward Snowden, giovane impiegato tecnico presso i servizi segreti statunitensi che ha riferito il contenuto di materiale top secret dell’NSA (National Security Agency) in merito all’abuso delle attività di intelligence e controterrorismo a danno di milioni di cittadini, leader e istituzioni mondiali. La divulgazione di questi leaks ha innescato il cosiddetto “NSAgate” e scatenato le reazioni contrarie della comunità internazionale mentre Snowden, dopo le vicende estive, si trova adesso a Mosca grazie all’asilo temporaneo concessogli dalle autorità russe.
In un momento già difficile per l’amministrazione Obama, sia sulla scena domestica (shutdown) sia su quella estera (crisi siriana), l’NSAgate ha portato ulteriori effetti negativi mettendo Washington in imbarazzo rispetto agli alleati europei, che non hanno esitato a prendere posizioni forti (Berlino, Parigi e Madrid in testa) quasi sfiorando la crisi diplomatica. Alle prime dichiarazioni di indignazione sono seguite infatti le minacce di ripercussioni sui negoziati per il TTIP (il trattato sull’area di libero scambio transatlantica tra USA e UE) e l’invio di delegazioni da Bruxelles per fare chiarezza sull’attività dell’NSA e cercare un punto d’equilibrio tra privacy dei cittadini e sicurezza degli Stati. La più reattiva è stata la Germania di Angela Merkel, che insieme al Brasile di Dilma Rousseff (entrambe tra i grandi spiati dall’intelligence americana) ha già chiesto all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite di adottare una risoluzione a tutela della riservatezza nell’era digitale; ancora, secondo la Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung Berlino e Washington sarebbero vicine a un accordo bilaterale di “non-spionaggio reciproco”, da concludere entro gli inizi del 2014.
Proprio in questi ultimi giorni, inoltre, i contatti tedeschi con lo stesso Snowden si sono fatti più stretti ed espliciti. Il 31 ottobre il deputato dei Verdi Hans-Christian Ströbele si è recato a Mosca per incontrare personalmente Snowden, che ha dichiarato la propria disponibilità a collaborare con le indagini tedesche e condannato la campagna persecutoria portata avanti dagli Stati Uniti nei suoi confronti, esprimendo comunque soddisfazione per il sostegno e i riscontri positivi alle sue azioni, spinte da “dovere morale”. Lo Spiegel del 3 novembre ha poi pubblicato un “Manifesto per la verità”, scritto sempre da Snowden, e lanciato un appello per la concessione dell’asilo politico in Germania; hanno firmato 50 personalità del mondo politico, culturale ed economico tedesco compreso l’ex segretario della CDU Heiner Geissler, secondo cui “Snowden ha reso un grande servizio all’Occidente. Ora tocca a noi aiutarlo”.
L’ultimo scoop del Guardian – A cambiare le carte in tavola e gettare benzina sul fuoco ci ha pensato però il Guardian. Nell’edizione del 1 novembre il quotidiano britannico ha rivelato l’esistenza, anche in Europa, di un vasto sistema di intercettazione di massa delle comunicazioni: la fonte è ancora una volta Snowden, che ha fornito documenti riservati della GCHQ (Government Communications Headquarter), l’equivalente in Gran Bretagna della NSA. Secondo questi ultimi leaks, dal 2008 i servizi di intelligence di Germania, Francia, Spagna e Svezia avrebbero sviluppato una complessa rete di sorveglianza sul traffico telefonico e internet del Vecchio Continente, in stretta partnership proprio con la GCHQ che prestava consulenza per aggirare le restrizioni normative nazionali in materia.
In sostanza la rete consisteva in un accordo di cooperazione tecnica e di monitoraggio effettuato sia con intercettazioni dirette dei cavi in fibra ottica sia per mezzo di rapporti con le compagnie di telecomunicazione. In particolare, il Guardian cita una sorta di “pagella” redatta dai funzionari della GCHQ, con valutazioni su ciascuna delle agenzie partner e sul rendimento delle attrezzature fornite. Viene espressa, per esempio, ammirazione per le capacità tecniche e le enormi potenzialità del BND (Bundesnachrichtendienst) tedesco. In Francia l’attività della DGSE (Direction Générale de la Sécurité Extérieure), competente e motivata, guadagna pieni voti anche grazie ai suoi rapporti con una non specificata compagnia telefonica. Del CNI (Centro Nacional de Inteligencia) spagnolo sono apprezzati i risultati sorprendenti e le opportunità offerte, anche qui, dai legami con una compagnia telefonica inglese. Grande soddisfazione, inoltre, da parte degli 007 britannici per il ruolo giocato nell’adozione da parte della Svezia di leggi più tolleranti in tema di intelligence e per l’estensione dei contatti ai colleghi olandesi.
E l’Italia? A detta del rapporto citato dal Guardian, la risposta dei nostri servizi di intelligence alle proposte di collaborazione della GCHQ è sempre rimasta tiepida a causa degli ostacoli legali, maggiori in un sistema più garantista, e delle frizioni interne tra due organismi, l’AISE (Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna) e l’AISI (Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna), istituiti da poco e dunque in fase di aggiustamento (con la riforma del 2007 hanno infatti sostituito la ripartizione SISMI/SISDE).
L’impatto delle ultime rivelazioni di Snowden non è da sottovalutare. Trasformando l’NSAgate, strettamente americano, in un più ampio Datagate a livello europeo, esse confermano anzitutto il ruolo chiave della Gran Bretagna, che da storico ponte tra Stati Uniti ed Europa diventa ora un vero e proprio “hub dell’intelligence” nordatlantica, grazie al suo contesto normativo permissivo, alla partnership privilegiata con l’NSA e alla posizione strategica di porta d’accesso per i cavi che attraversano l’Oceano Atlantico. Mettono invece in grave difficoltà gli altri Paesi europei, che da strenui difensori e paladini della privacy si ritrovano imputati come parte attiva e integrante dello scandalo. Nel frattempo, il capo dell’NSA Keith Alexander continua a sostenere l’esistenza di scambi consensuali di informazioni tra le due sponde atlantiche e il direttore generale dell’intelligence statunitense James Clapper, intervenendo al Congresso, ha definito “in parte ipocrite” le reazioni indignate provenienti dall’Europa.
Al di là della vicenda personale di Snowden, sul quale pende la richiesta di estradizione per spionaggio negli Stati Uniti, l’affare NSAgate/Datagate ha svelato sicuramente complesse pratiche di sorveglianza sulle comunicazioni (peraltro nemmeno così impensabili). Soprattutto, però, ha attirato l’attenzione sulle tante sfaccettature dell’era cyber-digitale, fatta di grandi potenzialità ma anche di minacce, in cui emergono nuovi soggetti internazionali di rilievo (movimenti e organizzazioni informali nonché le multinazionali dei settori hi-tech e delle telecomunicazioni) e in cui il confine tra spioni, spie e spiati si fa sempre più labile.
* Federica Castellana è Dottoressa in Scienze Politiche, Relazioni Internazionali e Studi Europei (Università di Bari)
Per approfondire l’impatto degli sviluppi informatici sulle relazioni internazionali, si rimanda a: “Minacce informatiche: fine delle relazioni diplomatiche o nuovo inizio?“
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