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Da Narcyso

da rileggereSegnalo su La poesia e lo Spirito, la sempre ottima ribrica curata da Giorgio Morale. Libri da leggere e da rileggere sulla scuola. La mia proposta qui:

Edmondo De Amicis, Cuore
di Sebastiano Aglieco

Perché rileggere il libro Cuore?
Innanzitutto perché la parola cuore non gode, ai nostri tempi, di grande stima. A scuola meno che altrove. Sarà colpa di impostazioni che col cuore non hanno niente a che fare, il cognitivismo piagettiano, per esempio, che a scuola impazza da anni; sarà che il cuore non è materia di analisi e sfugge a qualsiasi tentativo di astrazione metodologica – eppure, quante volte gli insegnanti sono costretti a imbattersi con questa brutta bestia! Per esempio i primi singulti e innamoramenti dei bambini.

Certo, gli antichi in questo, per ignoranza, erano più saggi di noi. Gli Egiziani, per esempio, buttavano via il cervello della mummia e conservavano il cuore. Il cuore era il luogo, e non il cervello, di una intelligenza mai scissa dal coraggio, dalla saggezza: si trattava di intelligenza emotiva, tanto per fare un aggancio con la modernità, contro tutte le divisioni in categorie che riducono, medicina ed educazione compresi, il corpo del paziente a compartimenti stagni. E non fa questo la scuola quando decide di appigliarsi alla sicurezza delle cosiddette valutazioni oggettive, ai test, alle prove invalsi… vere bestie spocchiose dotate di bisturi che, a differenza degli Egiziani, buttano via il cuore e mantengono il cervello?

Insomma, leggo Cuore innanzitutto per protesta. So benissimo che, quando in alcune situazioni non ce la fai – hai la febbre, sei irritato, i bambini se ne infischiano… – le prediche non servono a niente. Basta uno sguardo, una parola detta a bassa voce, e allora scatta il significato di quella bellissima parola che è concorde: cum cordis – certo, solo quando l’hai messo in movimento, il cuore; insieme a loro, però!

Ragionare, intendersi col cuore, insomma. Provate a leggere Il nostro maestro; quando siete stanchi, provate a leggere Gratitudine:

“Se sapessi quante volte il maestro va a fare lezione malato (…) Amalo perché tuo padre lo ama e lo rispetta; (…) Amalo perché ti apre e ti illumina l’intelligenza e ti educa l’animo. (…) Ama il tuo maestro, perché appartiene a quella grande famiglia di cinquantamila insegnanti elementari, sparsi per tutta l’Italia, i quali sono come i padri intellettuali dei milioni di ragazzi che crescon con te; i lavoratori mal riconosciuti e mal ricompensati, che preparano al nostro paese un popolo migliore del presente“.

Ma pensate veramente che queste cose non avvengano più in una classe? Pensate che, nell’epoca del sapere facile e superficiale, tutto di mente e poco di cuore, queste parole non abbiano più niente da insegnare? Pensate che, oggi come oggi, i cinquantamila, che non so quanti siano diventati, possano prendersi il lusso di sottovalutare il senso del proprio ruolo?

Io che lavoro in una scuola di frontiera – di frontiera per il semplice fatto che a scuola mia l’80 per cento dei genitori degli alunni arrivano dalle frontiere e hanno avuto i loro figli in Italia, eppur stranieri son i loro figli per la Legge italiana, ma che vergogna! – io che lavoro in una scuola dove il colore della pelle più ricorrente è il marroncino, sono diventato cosciente che, se sostituisco il titolo del racconto il ragazzo calabrese con il ragazzo cingalese, la sostanza non cambia:

“entra il Direttore con un nuovo iscritto, un ragazzo di viso molto bruno, coi capelli neri, con gli occhi grandi e neri, con le sopracciglia folte e raggiunte sulla fronte; tutto vestito di scuro, con una cintura di marocchino nero intorno alla vita (…) Vogliategli bene, in maniera che non si accorga di essere lontano dalla città dov’è nato; fategli vedere che un ragazzo italiano, in qualunque scuola italiana metta piede, ci trova dei fratelli. Detto questo s’alzò e segnò sulla carta murale dell’Italia il punto dov’è Reggio di Calabria”.

Ora, noi ci ritroviamo a lavorare a scuola con bambini che, pur essendo nati in Italia, cittadini italiani non sono. Ma ci troviamo però allo stesso punto che, fatta l’Italia bisogna ancora fare gli Italiani: gli italiani che verranno, sia che siano italiani riconosciuti per diritto – italiani di già, ma mica tanto coscienti di esserlo – sia che siano italiani desiderosi di diventarlo, sempre che qualche buon governo lungimirante si deciderà finalmente di considerare con intelligenza lo stato di fatto.

E che leggi a questi futuri italiani? Esiste una letteratura capace di ribaltare le coscienze e di far sentire il calore di Cuore? Esiste una letteratura dell’extravaganza, certo, assai fiorente, ma una letteratura etica è assai latitante.

Leggo Cuore, allora, perché posso parlare ai bambini di amicizia, affetti, responsabilità, generosità, accoglienza, nel modo più semplice che ha il cuore di percepire; perché non ho paura della parola laicità e perché non ho paura della parola spiritualità e perché non ho paura della parola valore. Non ci sono valori da una parte e disvalori dall’altra: le cose sono molto più complicate.

Si dice spesso che il grande rischio e difetto del libro Cuore sia l’insistenza sul ricatto morale e il senso di colpa. Concordo e, certo, quando si legge qualcosa bisogna essere coscienti di quel che si legge e come filtrarlo. Sempre. Ma evitare di leggerlo è come rinunciare al proprio obbligo pedagogico di tramare dei sensi, di farli passare alla modernità con la statura intellettuale ed emotiva che dovrebbe essere dei maestri.

Provate a fare un colloquio con un papà egiziano che viene a scuola a chiedere del rendimento del proprio figlio: proverete la strana sensazione di sentirvi, questa volta sì, un po’ più maestri di quanto non vi facciano sentire i genitori italiani che magari mettono in discussione l’efficacia del tuo operato! E’ la realizzazione di quell’”Amalo perché tuo padre lo ama e lo rispetta“. Ed è anche la non realizzazione di quel “Mio padre vuole che ogni giorno di vacanza io mi faccia venire a casa uno de’ miei compagni, o che vada a trovarlo, per farmi a poco a poco amico di tutti“, e questo è il lavoro più grande che, fuori dai libri, o con i libri, ci tocca fare!

Leggete Cuore come strumento per verificare la storia di questa Italia diventata così poco… italiana nel corso della sua storia. Leggetelo come strumento per fare gli Italiani, oggi che una parte degli italiani ha scelto di sentirsi abitanti della padania! Leggetelo per chiedervi chi sono gli italiani oggi. Chi siamo diventati, dunque. Leggetelo ai bambini nelle sue parti più struggenti, più immediate, laddove possano sentire gli stessi accadimenti del cuore che non cambiano. Leggetelo perché evoca un mondo che abbiamo visto per l’ultima volta nei grandi film del nostro cinema neorealista, pieno di dramma e dolore, certo, ma anche di valori autentici.

E che non è scomparso; è sconosciuto solo agli italiani arricchiti, o agli italiani che sono stati educati nell’illusione di essere diventati benestanti ed esiste, invece, e come se esiste, nelle nicchie culturali tirate su malamente dai nuovi arrivati: nelle loro botteghe, magazzini, nei cantieri col lavoro nero, nelle strade trasformate in altre città, nelle scuole con l’ottanta per cento di bambini non riconosciuti come italiani.

Leggetelo liberamente, soprattutto, con quella libertà che si deve ai pensatori, non ai facchini del governo di turno, agli imbrattatori delle sue pseudo leggi. Leggetelo, fra le altre cose che deciderete di leggere ai bambini, come esempio di scrittura emotiva che, nel bene e nel male, non butta il bambino con tutta l’acqua sporca ma lo aiuta a capire che è venuto da una storia, da una scelta, da una utopia di vita e di speranza.


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