di Daniel Angelucci
Il rinnovato interesse per la proliferazione nucleare deriva dalle sfide poste dai programmi nucleari dell’Iran e della Corea del Nord che hanno evidenziato le forti tensioni e le problematiche a cui è sottoposto il regime di non–proliferazione, ed in particolare, la sua chiave di volta, il Trattato di Non Proliferazione (TNP). È facile cadere nella tentazione di considerare che tutti gli Stati firmatari del Trattato si sentano obbligati in perpetuo e che il Trattato stesso benefici di un forte supporto. In verità il consenso espresso dagli Stati incontrerebbe un limite implicito in una clausola non scritta secondo cui le responsabilità pattizie vincolano i sottoscrittori fintanto che persistono le circostanze che hanno giustificato l’originario consenso.
I casi di Teheran e di Pyongyang dimostrano in maniera fin troppo evidente i limiti dei vincoli legali e spostano l’attenzione sulla centralità del potere politico nazionale. Qualunque impegno fatto per rinnegare le armi nucleari può essere sovvertito qualora una Stato ritenga che il possesso di tali armi sia capace di migliorare la propria sicurezza. Si deve altresì tener conto che nessuna nazione può prevedere i cambiamenti a cui andrà incontro il proprio ambiente strategico, per cui le promesse di astensione dalla militarizzazione nucleare registrate nel TNP sono di natura accessoria.
Dato il contesto geopolitico in Asia, che è particolarmente turbolento e connotato da diverse rivalità, da numerose dispute territoriali irrisolte, da transizioni di potere significative a livello locale ed ora più che mai dalla generalizzata ansietà derivante dalla ascesa della Cina, non c’è da sorprendersi che le armi nucleari esprimano un’importanza critica. Le armi nucleari possono infliggere un enorme distruzione in brevi periodi di tempo ed anche in presenza di efficienti difese di frontiera. Per questi motivi le armi nucleari sono degli splendidi strumenti di deterrenza in grado di minare alle fondamenta le gerarchie internazionali consentendo (a costi relativamente bassi) anche agli Stati più deboli di difendersi contro irivali più forti.
Il rinnovato dinamismo economico che si registra in Asia sta di fatto spostando il centro di gravità del sistema globale verso Est, dove si va generalizzando un pericoloso interesse degli Stati verso gli armamenti nucleari. Infatti, molti Paesi della regione iniziano a vedere questi dispositivi come indispensabili per il perdurare della loro sicurezza nazionale. Tale interesse è inoltre acuito dalle incertezze circa l’influenza degli Stati Uniti nella regione e l’affidabilità stessa dell’ombrello di deterrenza nucleare dispiegato dall’alleato occidentale a beneficio di alcuni partner regionali.
Le attività nucleari sviluppate dalla Corea del Nord, in evidente violazione degli obblighi di Pyongyang rispetto all’ordine internazionale, procedono di buon passo e mettono a repentaglio la sicurezza della Corea del Sud e del Giappone. Intimorita dalla superiorità nucleare degli USA, Pechino ha imboccato la strada di un sistematico ammodernamento del proprio arsenale nucleare e tale sviluppo a sua volta ha portato ad una contro-risposta dell’India che, alla fine di questa vera e propria reazione a catena, ha portato al rafforzamento di alcuni componenti del programma nucleare del Pakistan.
Per quanto riguarda la Russia, le sue insaziabili ambizioni da grande potenza hanno accresciuto la dipendenza dalle armi nucleari soprattutto per le sue esigenze di sicurezza nei confronti sia degli StatiUniti che della Cina. Persino Stati che ad oggi non hanno sviluppato un programma nucleare militare non sono immuni dall’effetto domino che si va qui delineando: Giappone, Corea del Sud, Taiwan e Australia vantano delle capacità nucleari latenti che permetterebbero una rapida militarizzazione se si esprimesse in tal senso la loro volontà.
Russia e Cina sono due esempi di potenze nucleari altamente dipendenti dai loro arsenali atomici per proteggere l’integrità territoriale e la sicurezza nazionale. Coerentemente entrambi mantengono arsenali quantitativamente rilevanti e tecnologicamente avanzati.
Allo stesso modo la Corea del Nord ed il Pakistan dipendono profondamente dai loro arsenali nucleari quali garanzie della loro sicurezza e ciò è tanto vero che, secondo alcuni, il senso di minaccia percepita da questi due attori è talmente amplificata che ambedue sono convinti che solo le armi nucleari le separano dal dominio straniero: è pertanto improbabile che, tanto Islamabad quanto Pyongyang, rinuncino ai loro programmi nucleari qualunque cosa succeda intorno a loro. Quello del Pakistan è il caso di un Paese con gravi problemi di sicurezza interna, un’economia fragile e acute divisioni sociali che cerca rifugio nelle armi nucleari come l’ultima garanzia di sopravvivenza nazionale.
Diversamente da quanto si possa immaginare, l’India è una potenza nucleare emergente con una bassa dipendenza dal proprio arsenale nucleare e ciò è dato dal possesso di sufficienti armi convenzionali per fronteggiare ambedue i suoi principali avversari, Cina e Pakistan. Tuttavia, anche l’arsenale indiano è in fase di ammodernamento per restare al passo con i tempi e con gli sviluppi nucleari guidati da Pechino. Ancora, sembrerebbe che le relazioni sino–pakistane siano mirate a limitare la libertà di azione dell’India. La competizione strategica tra India da un lato e Cina–Pakistan dall’altro è destinata a perdurare, tanto che è completamente superfluo, ad oggi, chiedersi se New Delhi intraprenderà a breve iniziative per il controllo degli armamenti.
Passando ora alle nazioni prive di armi nucleari, quali Giappone, Corea del Sud, Taiwan e Australia, queste hanno enormi capacità nucleari a livello latente che permetterebbero una rapida militarizzazione nucleare qualora le leadership politiche raggiungessero un accordo in tal senso. Anche Paesi a cui non si penserebbe mai come interessati al nucleare militare (vedi Arabia Saudita) stanno dimostrando un tale interesse. Complessivamente, le armi nucleari in Asia (che si tratti di armate ben strutturate o di capacità latenti) sono vive ed in piena fioritura.
Gli Stati con capacità nucleari latenti si suddividono in due tipi. Gli Stati che sono altamente dipendenti dalle armi nucleari per la loro sicurezza comprendono Iran, Giappone, Corea del Sud e, a talune condizioni, Taiwan. Strateghi e “policymakers” in tutti questi Paesi percepiscono significative minacce nucleari alla loro sicurezza, tutti hanno la capacità di acquisire armi nucleari se così lo desiderano e, con l’eccezione dell’Iran, tutti si affidano attualmente al sistema di deterrenza estesa degli Stati Uniti, piuttosto che sviluppare in proprio i loro arsenali.
Volgendo lo sguardo altrove, un crescente numero di Stati godono di un potenziale nucleare allo stato embrionale sia perché hanno già acquisito alcuni elementi del ciclo atomico (ricerca e sviluppo o reattori nucleari), oppure perché si sono imbarcati in avanzati programmi di investimento in energia nucleare. Gli Emirati Arabi Uniti, Vietnam, Indonesia e Arabia Saudita sono buoni esempi di nazioni di questa seconda tipologia.
Allo stato attuale, e volendo allargare l’analisi all’emisfero australe, l’unica nazione con capacità nucleari latenti ma con una bassa dipendenza da un potenziale arsenale atomico è l’Australia. Infatti, grazie alla posizione geografica e all’alleanza strategico–nucleare con gli Stati Uniti l’Australia beneficia del meglio dei due mondi: distanza da minacce significative e protezione dall’ombrello di deterrenza della maggiore potenza globale.
Secondo il Presidente Obama, un ordine internazionale basato sulla pace e sulla giustizia radica nel perseguimento della completa eliminazione delle armi nucleari. Bisogna riconoscere che in parte alcuni obiettivi di rilievo a tal fine sono stati raggiunti. Si tenga presente la tendenziale riduzione di armamenti strategici dispiegati e le iniziative per la messa in sicurezza dei materiali nucleari. Ma per quanto riguarda l’Asia?
Davanti al complesso scenario sopra delineato non rimane alcun dubbio che la sfida della comunità internazionale per i prossimi anni non sarà la tanto alta quanto utopica aspettativa di abolire completamente gli arsenali nucleari ma, piuttosto, l’affinamento dei meccanismi diplomatici e il miglioramento degli strumenti di non–proliferazione esistenti allo scopo di preservare la stabilità strategica del continente e del resto del mondo.
* Daniel Angelucci è Dottore in in Scienze Politiche (Università di Teramo)
Photo credit: Reuters/Bobby Yip
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