Carlo Lucarelli, Albergo Italia, Sellerio
Una coppia inedita di investigatori che piú scorretti non si può, un po’ don Chisciotte un po’ Sancho, si affacciano sulla scena. E inseguendo quello che appare un comico pasticcio coloniale arrivano dritti al cuore nero di una Nazione appena nata, ma che somiglia moltissimo alla nostra.
Circola in questo breve, felicissimo romanzo di Carlo Lucarelli una leggerezza rara, una gioia di narrare, una sorta di allegra malizia. Entriamo con una naturalezza che ci sorprende in un mondo sconosciuto eppure subito familiare, la Colonia Eritrea: e impariamo a vedere noi stessi – i t’liàn, gli italiani, i «so tutto io», cullu ba’llè, quelli cui piace «di averle pensate loro, le cose» – con gli occhi di un personaggio che non vorremmo lasciare piú: il carabiniere indigeno Ogbà, unito da un patto piú fraterno che di disciplina con il capitano Colaprico. A ogni colpo di scena, e sono tanti, a ogni parziale verità subito caduta, i due anziché deprimersi trovano nel loro rapporto una ragione per continuare, tra bellissime dame che sembrano assorbire sensualità e sprezzatura dall’aria stessa che respirano, ambigue creature del male, monelle prostitute, geologi che forse non sono geologi, furieri furfanti, camerieri magrissimi, e una vera festa di lingue e dialetti nella cornice dello sfavillante, modernissimo, Albergo Italia. Il piú elegante, e anche l’unico, di Asmara, Eritrea, Italia. Che viene inaugurato, ovvio, con un cadavere di faccendiere neanche tanto impiccato, a guardar bene. Quel tanto che basta per iniziare una storia.