Ci eravamo lasciati con una domandona in questo post:
E' ancora possibile credere nelle grandi storiedi successo nonostante i tempi bui?Il mio senso cinico mi spingerebbe a rispondere con un NO secco. Ma per una volta provo ad essere qualcun altro, che io alle volte sono troppo negativa e disfattista. Proverò a ragionare in positivo per aiutare me e chi, come me, combatte quotidianamente con le difficoltà del lavoro, prendendo spunto dai consigli che il ragazzo della storia ci ha dato, e che ci tengo a condividere:
- Credi in te stesso. Ok, detto così fa incazzare da morire. Ma andiamo un po' a fondo alla questione: credere in se stessi non è un concetto statico, non vuol dire sedersi ad una sedia, prendersi la testa fra le mani e recitare un mantra sperando che qualcosa cambi solo perchè ce lo siamo ripetuti interiormente un paio di volte. Credere in se stessi vuol dire assumere la consapevolezza di essere in grado di fare le cose, trarne fuori sicurezza, mostrarla sfacciatamente e iniziare a setacciare il terreno a testa alta, preparandosi a ricevere porte in faccia senza perdersi d'animo. Il ragazzo della storia ha detto: “Io sono il primo a credere in me stesso. E sapete perchè? Per quale ragione una persona dovrebbe credere in me se non sono io il primo a credere nelle mie capacità?”. Touchè.
Ripetere a se stessi "Il lavoro arriverà" come se fosse un mantra, ci renderà più vicini al Buddha ma lontani da qualsiasi occupazione.
- Disponibilità a lasciare il proprio nido. Per trovare lavoro all'estero bisogna andare all'estero. Ovvero: non troveremo lavoro a New York stando seduti sul divano di Milano. Sembra strano a dirsi, nonostante internet, ma bisogna metterci la faccia. Forse questo concetto è sconosciuto a quelle aziende italiane che si accontentano di colloqui telefonici o peggio, di infiniti questionari psicologici. All'estero conta molto la persona, più che l'esperienza professionale.
Per trovare lavoro a New York...bisogna andare a New York (...e chiamatelo sacrificio!)
- Essere paraculi in un mondo di serpi. In realtà il lavoro c'è. Si, ok, magari non si inizia subito come stylist ma reggendo gli abiti all' “artista” di turno. Quasi sicuramente i contratti iniziali saranno ridicoli, ma spulciando qualcosa si troverà, e se non sarà il lavoro della vita potrebbe trattarsi di un hub per qualcosa di meglio. Quello che non c'è - e secondo me questa è l'aspetto veramente grave di tutta la questione – è il riconoscimento della dignità del lavoro e delle persone che vi aspirano. Ovvero: non c'è rispetto per il lavoro stesso (tranne, forse, che per il proprio, e se ce l'hai giustamente te lo tieni stretto e ti guardi bene dal dare corda al novellino col cappellino di Kenzo e la felpa di MSGM che arriva pensando di sapere tutto di moda). Come fai ad ottenere la professione dei tuoi sogni in un sistema che svilisce il lavoro dal suo interno? Se colui che dovrebbe formarmi in uno stage di 6 mesi ha l'unico scopo di avere un braccio in più per lavorare meno cosa si ottiene? Nulla. Solo un paragrafo in più sul CV. Non esiste il concetto di ricambio, non esiste l'essere collaborativi, non esistere pensare di poter trarre del buono da tutto, anche dal novellino vestito Kenzo. Non esiste essere mentori di qualcuno, ma solo superiori, più bravi e “sistemati”. Bisogna essere capaci di passare sopra a tutto questo con una grossa, grande, enorme paraculaggine, e ve lo dice una che la faccia di culo non ce l'ha. Il ragazzo della storia l'ha detto chiaramente: la paraculaggine aiuta. La fortuna pure. E la fortuna aiuta i paraculi.
Grace Coddington at work
- Essere lucidi, imparziali e onesti con se stessi. Io ho quasi 29 anni e ho fatto 2 stage, al termine dei quali, vi confesso, ero più confusa di prima. Premessa: l'università inculca nozioni, ma non informa su quali lavori si possono fare dopo. La laurea in comunicazione non ne parliamo: apre (e chiude, al contempo) mille strade. Io ricordo un solo docente, di marketing tra l'altro, che ha speso quasi un'intera lezione a raccontarci cosa potevamo fare da grandi. Questo per dire che quando ho lavorato in e-commerce, non avevo idea di cosa fosse un content specialist. Quando mi sono imbattuta in un corso di SEO e Internet Marketing, nessuno mi aveva raccontato prima delle nuove professioni della comunicazione. Quindi: lo stage, parola che farà inorridire i più, potrebbe essere utile a capire quale strada prendere nella fase di confusione post-laurea, ma non basta: deve servire anche ad altro, e vi garantisco che non serve a niente mettere solo il nome di un famoso brand sul CV. La frase “fa curriculum” non ha più senso. Tornando ai consigli del ragazzo della storia, il succo della questione è essere disposti a subire una gavetta infernale e a non pretendere denaro, a patto che questo non si trasformi in una sorta di sfruttamento sterile. Nessuno ha la pretesa di diventare qualcuno senza aver sgobbato, ma tutti hanno sufficiente stima e rispetto per se stessi da capire quando è il momento di poter dire basta e chiedere un minimo di riconoscimento per i propri sforzi.
Owen Wilson e Vince Vaughn stagisti per Google
- Cultura, cultura, cultura. Non soltanto moda. Questo campo è bellissimo perchè è connesso a una moltitudine di altri ambiti: la moda è arte, cibo, usi e costumi, letteratura, fatti, storia. Ognuno di questi settori può dare spunti interessanti e utili. Vivere immersi nel flusso degli eventi aiuta a conoscere le novità e a sfruttarle per i propri fini. Parlare con la gente per strada può essere l'inizio di una relazione per il futuro. Internet, se usato a dovere, può essere la chiave per aprire le porte. Sfruttate i mezzi che la rete vi offre. Ve lo dice una che non ha aggiornato il blog per mesi e ha pagato cara questa leggerezza. Insomma, come dicevo poco più su, siate connessi...con voi stessi e le vostre capacità, con le persone che vi circondano e vi incuriosiscono, col mondo. Questo è un consiglio che dò in primis a me, e poi a tutti voi.
Un bacioMadame La Gruccia - Disponibilità a lasciare il proprio nido. Per trovare lavoro all'estero bisogna andare all'estero. Ovvero: non troveremo lavoro a New York stando seduti sul divano di Milano. Sembra strano a dirsi, nonostante internet, ma bisogna metterci la faccia. Forse questo concetto è sconosciuto a quelle aziende italiane che si accontentano di colloqui telefonici o peggio, di infiniti questionari psicologici. All'estero conta molto la persona, più che l'esperienza professionale.