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Dal noto all’ignoto

Da Marcofre

È risaputo, o almeno dovrebbe: dal noto si passa all’ignoto. O al mistero, se vogliamo usare questo termine.

Per questa ragione occorre avere dei sensi allenati alla realtà. Non può bastare essere bravi nella scrittura se anche i sensi non hanno imparato attraverso il tempo, a osservare. A scegliere quello che merita di finire sulla pagina (poco), e quello che invece è destinato al dimenticatoio.

Immagino che la fuga verso l’ignoto sia l’espediente utilizzato da molti per risultare “audaci”. Già, l’audacia.

Ma come spiegare che chi scrive deve essere efficace, e questa efficacia deve svilupparsi nella realtà?

“Però Dostoevskij era audace!”

Vero, perché sapeva essere efficace. Siccome non si ha alcuna dimestichezza con la realtà, si crede di superare l’inghippo scrivendo non di realtà, bensì di aria. È bello, romantico, sognare che sia proprio così.

Non credo che sia soltanto una scarsa dimestichezza con la realtà a spingere tanti a scrivere di aria, e a indurre tanto pubblico a prediligere quest’aria.

La realtà è così prosaica! Mette di cattivo umore. Le persone amano sfuggire alla pesantezza del reale.
Concordo.

Quando però la fuga diventa permanente, allora c’è da preoccuparsi. Perché è un allontanamento, o un esodo, per permettere ad altri di ficcare le mani nella realtà. Di renderla perfetta per i loro scopi, mentre le persone “sognano”.

Uno degli scopi della letteratura dovrebbe essere di svegliare le persone dal sogno. Tranquilli: la maggior parte riprenderà a dormire, come prima.


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