Nel corso del tempo il percorso per giungere alla realizzazione dell’oggetto “libro” è fortemente cambiato, giungendo persino in molti casi a snaturarsi. Allontanandosi sempre più dal modello classico, la nascita di un testo ha preso vie sempre diverse. Il nascente fenomeno del self publishing, a prescindere dai giudizi di merito, ha scavalcato ed eliminato tutta la filiera; e la vendita su piattaforme come Amazon ha, come dire, messo in contato diretto produttore e consumatore eliminando al contempo qualunque forma di controllo da parte dei cosiddetti specialisti del settore.
Al contempo si è evoluto un processo che pur sembrando nuovo in realtà vede le radici della mutazione decenni addietro: la nascita del libro “già” popolare. Negli anni ’90 ad esempio si è assistito ad un curioso, e in questo caso si può dire senza tema di smentite assai discutibile, fenomeno: i libri nati da videogiochi. Fenomeno mai arrestatosi, basti citare Splinter cell tra i più famosi e recenti. E che dire di quelli nati da film? È il caso di alcuni testi ispirati a Matrix, a Star Wars o alla saga cinematografica di Spider-man a sua volta nata da un fumetto. Spesse volte, o quasi sempre, si è difronte a semplici operazioni di marketing che, sfruttando il clamore mediatico, seguono un solco già largamente tracciato. La qualità non può che indubbiamente risentirne.
Arroccarsi tuttavia su posizioni statiche mai mettendo in discussione i capisaldi della letteratura e della cultura, senza guardare ai fenomeni nella loro interezza e complessità, limitandosi a definirli bassi o volgari, non rende un buon servigio e fa della cultura in generale qualcosa di morto invece che vitale come dovrebbe essere. E alla luce di questo bisognerebbe guardare ad una nuova tendenza, la nascita di pubblicazioni in seguito alla viralità di contenuti postati nella rete. Alcuni esempi nostrani:
- Nel 2007 nacque un blog, Studio illegale, nel quale, sotto lo pseudonimo di Duchesne, un praticante raccontava con ironia e occhio cinico il mondo degli affari milanese e degli avvocati che lo popolano. In pochissimo tempo il blog, con 1500 contatti al giorno, divenne il luogo d’incontro di tutti quelli che non solo negli studi d’affari, ma nel mondo dei professionisti in genere, incontravano gli stessi “tipi umani”. È Marsilio nel 2009 a rendersi conto delle potenzialità dell’argomento e della penna, nonché di quelle derivanti dalla già ottenuta popolarità, del giovane autore che poi conserva per poco l’anonimato rivelandosi al mondo come Federico Baccomo e firmando quindi un primo libro, Studio illegale (omonimo del blog), ed un secondo dal titolo la Gente che sta bene. N.B.: da ambedue le pubblicazioni sono stati tratti dei film.
- Giornalista non esordiente nel mondo della narrativa, Antonio Menna è un autore napoletano che prima di approdare al grande pubblico si è fatto le ossa. Con già alcuni romanzi all’attivo, articoli di cronaca, collaborazioni varie (che con la penna nemmeno si sopravvive quindi chi più ne ha più ne metta), alla morte di Steve Jobs Antonio si chiede cosa sarebbe accaduto se il succitato fosse nato a Napoli, e ne scrive. Il post ha un immediato successo, 90.000 letture subito, un numero poi raddoppiatosi ancora e ancora nel corso del tempo tanto da fare letteralmente il giro del mondo approdando finanche a Le Monde, solo per fare un nome. Stavolta sono diverse le case editrici che fanno a gara per accaparrarsi la penna del giovane, che pure non è che fosse ferma in precedenza. Il libro nasce alla fine con la Sperling e Kupfer, Menna pubblica anche un secondo e sta terminando di lavorare al suo terzo.
- Nel 2009 la blogger Galatea scrive su ilnuovomondodigalatea.wordpress.com un post dal titolo Il complesso di Didone. Ma perché le donne toste perdono la testa per gli Enea? A gennaio di quest’anno il post comincia a circolare fino ad arrivare ad oggi a circa 10000 condivisioni su fb. Ed ecco che Galatea, al secolo Mariangela Galatea Vaglio, che racconta con un finissimo humour di eroi e miti antichi in chiave moderna è approdata in libreria con la Castelvecchi editore. Per inciso il suo post è da leggere assolutamente, potete trovarlo qui.
L’esperienza di questo genere, tutto sommato piuttosto recente, può essere guardata senza dubbio da due diverse prospettive. Una prima immediatamente intellegibile è quella che vede gli editori attenti ai nuovi mezzi e pronti ad accaparrarsi i cosiddetti influencer, coloro che assicurano all’uscita del libro di colui che è tutto sommato un esordiente un certo numero di lettori.
D’altro canto vi è di certo un dato positivo che non è trascurabile. La famigerata rete, i tanto discussi social, hanno premiato in ognuno dei tre casi di cui sopra l’ironia, l’intelligenza, una buona dose di cinismo e una intuizione originale .I fruitori dei mezzi di massa, tra cui è oramai fuor di dubbio rientrino i sempre bistrattati social, lungi dal seguire il modello che li vuole sempre pecore attente alla inutili futilità hanno preferito la critica sociale e lo humor femminista a sesso, gossip e notiziuole da centesima pagina.
E mentre la rete si interroga su Premio Strega, autoplagi et similia e i “responsabili della cultura” si fermano a difendere posizioni già conquistate (non si sa bene per chi e per cosa) i processi invece continuano a mutare e rinnovarsi senza aspettare necessariamente che i lavoratori del settore siano pronti, sul pezzo come si suol dire. Sarà solo il lavoro a premiare con la permanenza nel mercato editoriale questi nuovi autori. È dai tempi di Gutemberg che si grida alla morte del libro, ma a guardarsi in giro si rintraccia soprattutto un perenne rinnovamento.
Se sia un bene o un male lo scopriremo solo… leggendo.