Sono le cinque e un quarto del pomeriggio e il treno ancora non arriva. Dagli altoparlanti della stazione di Casa Voyageur si susseguono gli annunci che aggiornano lo stato del ritardo, prima in arabo poi in francese. L’esito sarà di 47 minuti spesi sotto il sole impietoso della calda primavera del Marocco.
Quando finalmente saliamo sul vagone, rimpiangiamo l’agio che avevamo sul binario. Sono cominciate le vacanze scolastiche e i treni da Casablanca a Marrakech straripano di famiglie e giovani viaggiatori in cerca del fascino esotico della capitale turistica del Marocco. Per fortuna i nostri sguardi vitrei muovono a compassione un quartetto di allegre signore asserragliate in una cuccetta che quando vedono partire gli altri passeggeri ci tengono il posto. Dopo quattro ore finalmente arriviamo a destinazione.
Quando ho proposto alla mia amica di trascorrere un fine settimana a Marrakech mi aspettavo una passeggiata tra i monumenti e un pranzo in un ristorante assediato da turisti occidentali. “No, a Marrakech ci si va la sera. È la città della festa.” Così eccoci in azione nella quarta città del Marocco – dopo Casablanca, Fes e Rabat – pronti ad affrontare una lunga notte di musica e danze.
Il primo obiettivo, però, è riempire lo stomaco, perciò prendiamo un taxi e ci facciamo portare a Jemaa el-Fnaa. “As-salaam aleikum, non accende il tassametro?”, chiedo al conducente. Sono già in ansia per essere finito in un polo turistico dove gli occidentali sono considerati alla stregua di polli da spennare. La mia amica invece rimane tranquilla e quando arriviamo gli lascia dieci dirham, circa metà della tariffa solitamente raggiunta con il tassametro, e prima di lasciare il veicolo scambia qualche epiteto poco elegante in dialetto marocchino con il tassista. “Gli ho detto che se non gli andava bene potevamo parlarne con la polizia. Qui ci provano sempre, ma se vengono scoperti a non usare il tassametro prendono una grossa multa e dopo qualche volta perdono la licenza.”
Jeema el-Fnaa è una delle piazze più famose del Marocco. Un ampio spazio vuoto circondato dalle mura della medina e dai caffè coloniali in cui si raccolgono bancarelle di ogni genere alimentare e ristorante a tendoni che servono piatti tradizionali ai clienti che si affollano sulle loro lunghe tavolate, spalla a spalla con altri visitatori, in un clima di solidale affannamento. La sera i fumi delle cucine attraverso cui filtrano i colori caldi dei lampioni riempiono l’atmosfera surreale, mentre tra le bancarelle imperversano incantatori di scimmie e serpenti, acrobati, mistici, cartomanti, dentisti e borseggiatori.
Dopo esserci saziati con carni speziate e dolci di pasta di mandorle, saliamo sulla terrazza di uno dei tanti caffè per godere della vista dall’alto sorseggiando un tè alla menta.
Verso mezzanotte è il momento di cambiare completamente scenario. I ristoranti e le bancarelle della piazza cominciano a chiudere e noi ci trasferiamo verso il Theatro, una delle discoteche più celebrate di Marrakech. Il locale è già pieno, non c’è fila per entrare ma all’ingresso troviamo alcuni ragazzi che discutono con l’irremovibile selezionatore sul perché non possono entrare. A noi basta mostrare il sorriso malizioso della mia amica e il mio passaporto italiano e veniamo catapultati in pista.
Mi rendo subito conto di essere finito fuori dal mio ambiente naturale. Giovani scatenati si agitano al ritmo della più bieca musica commerciale mentre i camerieri portano bottiglie di rum e di champagne ai tavoli, i prezzi sono persino più alti di quelli a cui sono abituato in Europa – per me, cresciuto nei centri sociali di periferia, già ridicolmente esagerati – ma devo ammettere che lo spettacolo è garantito. Intorno alla console del deejay si alternano ballerine, clown, acrobati e la serata si conclude con fuochi pirotecnici e coriandoli a cascata dal soffitto. Di certo non era questo il Marocco che mi aspettavo, ma se ripenso che a Casablanca non posso nemmeno abbracciare la mia amica in pubblico mi diverte vedere tutta questa voglia di trasgressione intorno a me.
Alle cinque veniamo cordialmente invitati ad abbandonare la sala e, evitando qualche adolescente troppo esagitato che cerca lo scontro con altri coetanei, ce ne andiamo con discrezione in cerca di un taxi per tornare a Jeema el-Fnaa. Qui all’alba i primi a tornare in attività sono i venditori di spremute, “le migliori arance al mondo” dice la mia amica.
Il sole si riaffaccia timidamente su Marrakech. Noi passeggiamo seguendo le mura della medina verso la stazione, incontrando corridori della domenica, ragazzi diretti al campo da calcio con il pallone di ordinanza e qualche dromedario pronto a caricare i clienti per i famigerati tour turistici intorno alla città. La città si risveglia, mentre noi avvertiamo il sole spazzare via oltre al buio anche le nostre ultime energie. Il mio appartamento a Casablanca, il divano, la quiete diventano un miraggio irresistibile. Tra noi e la sua realizzazione, altre quattro ore infernali sul treno ricolmi di passeggeri…
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