Nell'ottava puntata di Si viene e si va, ritorniamo in Europa, nella vicina Spagna. Conoscerete la protagonista tramite il suo pseudonimo, Giulia, in quanto per motivi professionali deve mantenere l'anonimato. Vi garantisco, però, che la storia è tutt'altro che anonima.
Sono Giulia... o forse no...Non mi chiamo Giulia, ma userò questo nome perché è quello che ho scelto per la mia vita online: ho 32 anni e ho vissuto i primi 22 in Sardegna. Sono una delle tante isolane emigrate verso il continente anni fa per seguire i miei studi di Economia a Siena.
Lo status di isolana mi è sempre stato un po' stretto e per quanto amassi la mia isola mi ero convinta che avevo bisogno di vedere di più: iniziai così le mie peregrinazioni verso il nord. Mi fermai a Siena per ottenere la laurea specialistica, scelta fatta basandomi sulle famose classifiche del Sole24Ore. Avevo ancora l'illusione che la scelta dell'Università sarebbe stato un plus per il mio curriculum: dopo svariati anni di esperienza lavorativa, posso affermare che se da una parte è bello credere che l'Università possa veramente avere un peso sul proprio futuro, dall'altra la realtà mostra una sconnessione con il mondo del lavoro, soprattutto se non si ha la possibilità di studiare in una delle famose Università private. Ad ogni modo, la mia è stata una scelta positiva, in quanto l'ambiente senese era più stimolante e internazionale di quello dell'Università di Cagliari e questo per me era importante.
Il film milanese (con una puntata francese)Sebbene abbia sempre ottenuto ottimi risultati nelle materie economiche, la mia vera, grande passione era un'altra: le lingue straniere. Proprio queste mi hanno aperto e facilitato il cammino verso le esperienze internazionali. Già avevo studiato l'inglese da autodidatta, poi durante un soggiorno di sei mesi post-laurea a Strasburgo ho avuto la possibilità di imparare il francese.
Il periodo in Alsazia è stato la mia prima esperienza di vita all'estero, ero affascinata dalla differenza con l'Italia, dal clima e dalla nuova lingua da imparare. Strasburgo è stata anche la città in cui ho fatto i miei primi colloqui di lavoro, anche se poi la prima offerta arrivò dall'Italia: uno stage semestrale in una mega-multinazionale a Milano, dove mi occupavo di trade marketing e... di cioccolatini, uno spasso! Imparai moltissimo dai miei capi e dai colleghi più esperti, che mi formarono letteralmente nell'uso di Excel e dei suoi segreti, cose che per esempio all'Università nessuno ci aveva insegnato con tanta costanza. Questa esperienza di stage è stata molto interessante sia dal punto di vista lavorativo che personale: per la prima volta avevo uno stipendio mio e soprattutto la possibilità di sentirmi indipendente: vivere con 700 € a Milano non era per niente facile, considerando che solo 400 € mi servivano per pagare l'affitto della mia camera. Fortunatamente i pranzi per gli stagisti erano abbondanti e pagati dall'azienda, e questo mi aiutava nell'impresa colossale di mantenermi da sola. I colleghi bonariamente mi prendevano in giro dicendomi che "vivevo d'amore" e forse non avevano tutti i torti, perché ero veramente innamorata della mia tanto agognata vita indipendente.
Era però il 2007 e la grande crisi era alle porte: lo stage purtroppo non sfociò in un contratto di lavoro. Non mi persi d'animo e iniziai a inviare candidature e a cimentarmi in nuovi colloqui. La svolta arrivò nel giro di un mese: intrapresi una carriera di analista di mercato per una multinazionale del settore. Lavoravo in un ambiente internazionale, alle dipendenze di una donna che rispondeva a tutti i cliché della manager milanese iper-esigente, una versione italiana di Miranda Priestly de Il Diavolo veste Prada. Passavo giornate intere in ufficio a stilare report e statistiche per clienti importanti, gli straordinari non pagati erano la regola, tornavo a casa la sera senza energie e lo stress mi divorava: mi sembrava di vivere per lavorare e così l'entusiasmo verso la vita milanese scemò in fretta. Mi era sempre più chiaro che non volevo impostare la mia vita a quel ritmo e, complice anche la mia indole curiosa che mi porta a voler cercare sempre nuove esperienze, dopo due anni abbandonai il settore delle ricerche di mercato (e il contratto a tempo indeterminato) per lanciarmi in un'avventura un po' pazza con una start-up online, un sito web giornalistico per il quale mi occupavo di gestione dei social media e sviluppo commerciale. Fu un anno di transizione che mi insegnó a ripartire dalle basi e a veder crescere una microazienda nel corso del tempo: la faccia negativa della medaglia era l'instabilità economica e così finii per accettare l'offerta di un'azienda francese di bricolage, sempre operante a Milano, con cui lavorai alla costruzione del sito web e alla comunicazione online. Passarono così ulteriori due anni fino a che un terremoto nella mia vita privata non destabilizzò tutto e mi fece capire che era ora di cambiare aria.
L'appartamento spagnoloL'idea di tornare a vivere all'estero aleggiava già da un po', è stato quindi relativamente facile prendere il coraggio a due mani in un momento della mia vita in cui molte altre certezze non esistevano più.
La scelta della Spagna non è stata ponderata: avevo bisogno di cambiare vita, possibilmente paese, e di tornare alle origini vivendo vicino al mare. Così ho prenotato un volo di sola andata per Barcellona e lì mi sono stabilita, iscrivendomi per il primo mese all'università in un corso intensivo di spagnolo (che già avevo comunque studiato a livello base per un esame universitario in Italia). Avevo trovato, tramite AirBnB, una piccola stanza in un appartamento in cui arrivavano in continuazione turisti in vacanza ma anche persone in viaggio da sole che, come me, stavano affrontando un periodo di cambiamento importante nella loro vita. Alcune di quelle conoscenze fanno ancora oggi parte della mia vita barcellonese. Non appena ho avuto la possibilità economica per farlo, ho però scelto di cercare un appartamento tutto per me ed è così che sono approdata in riva al mare, nella mia colorata "scatola di fiammiferi", come mi piace chiamare il mio appartamento di 35 metri quadri.
All'inizio pensavo di dedicarmi semplicemente a un'attività freelance come web editor e ho raggranellato qualche lavoretto grazie a piattaforme online come Elance. Le entrate erano però troppo basse per permettermi di pagare un affitto e così ho iniziato a inviare nuove candidature, questa volta con l'idea molto precisa di iniziare un lavoro che mi avrebbe veramente ispirato e permesso di usare le mie passioni: ho così risposto all'annuncio apparso su Infojobs di una clinica di riproduzione assistita, che cercava persone che parlassero italiano, inglese e francese per il dipartimento di assistenza ai pazienti internazionali. Onestamente non avrei mai pensato di entrare in questo mondo: tuttavia avevo già un'infarinatura sui temi della fecondazione assistita perché mi ero battuta molto ai tempi del referendum italiano del 2004 contro la famigerata legge 40, quella che ha costretto tantissime coppie italiane a scollinare dall'altra parte del Mediterraneo per realizzare il loro sogno di diventare genitori.
In clinica mi occupo di accompagnare le pazienti italiane e francesi durante il loro trattamento: il tutto avviene a distanza, quindi è un rapporto che si sviluppa principalmente per via telefonica e mail, anche se a volte capita di conoscere personalmente le pazienti il giorno in cui vengono in clinica per realizzare il loro transfer (l'intervento con cui il medico inserisce gli embrioni nell'utero della paziente). È un lavoro per il quale seguiamo una formazione continua di circa un anno, per poter entrare in confidenza con la tematica e i diversi trattamenti. Non siamo medici né infermiere, siamo ragazze che parlano le lingue e il nostro ruolo è di intermediazione/traduzione fra la paziente e il medico. Ci sono molte soddisfazioni ma, inutile negarlo, anche molto stress. Non è facile avere trent'anni e lavorare quotidianamente con donne che stanno affrontando il loro percorso verso la maternità: la prima cosa che si impara è che dopo i 35 anni la fertilità della donna si riduce notevolmente, e sono quindi tante le domande di riflesso che ci poniamo sulla nostra personale situazione. Questa totale immersione nel mondo femminile mi ha spinto ad aprire anche il mio blog trentanniequalcosa.com, perché non riuscivo più a contenere tutto nelle conversazioni quotidiane con le colleghe o amiche ma avevo bisogno di più spazio per condividere le miei inquietudini e i dubbi che questo lavoro mi pone davanti.
L'ambiente di lavoro è molto positivo e internazionale, costituito al 90% da donne provenienti dall'Italia, Spagna, Francia, Olanda e Inghilterra. È stato facile ambientarmi in questo nuovo contesto: la varietà di nazionalità e le nostre variegate esperienze di vita rappresentano un solido fondamento per una mentalità molto aperta e poco giudicante, cosa che ho apprezzato subito e notato come differenza rispetto all'Italia. Merito anche di Barcellona, una città cosmopolita e unica, in cui si viene a contatto con modi di vivere molto spesso improntati sui valori della totale libertà di espressione. Le differenze con l'Italia si notano soprattutto a livello di approccio alla vita: le amiche che vengono da altre zone della Spagna mi garantiscono che i catalani non sono famosi per la loro solarità (a differenza - dicono- dei madrileñi), eppure io ho subito avuto l'impressione che la gente sia meno preoccupata; inoltre io mi sono sentita accolta in città in maniera calorosa, anche perché io ero abituata alla severità milanese!
A Barcellona mi sono sentita capace di iniziare una nuova vita come mai avrei pensato, sentendomi libera di essere finalmente me stessa e preoccupandomi molto meno del giudizio altrui. Un esempio è che qui ho conosciuto diverse ragazze italiane che si sono trasferite in Spagna per poter vivere serenamente la loro omosessualità e questo a mio parere la dice lunga su quanta strada ci sia ancora da fare in tema di libertà sessuale e di diritti civili in Italia. Mi accorgo poi di quanto noi italiane siamo molto più propense all'ansia, mentre gli spagnoli hanno un approccio più allegro e una vita sociale molto più aperta: la gente popola quotidianamente i bar del quartiere, le signore anziane fanno colazione al caffè con le amiche prima di andare al mercato, le vie del barrio sono un andirivieni di gente che si saluta per strada. Cose che a Milano e in Sardegna si vedono poco, ma che io apprezzo tantissimo e che mi fanno dimenticare di vivere in una grande città.
Revival italiano?L'Italia non mi manca. Punto. Il mondo in cui viviamo oggi ci permette di vivere all'estero con più tranquillità e meno nostalgia. È più facile viaggiare e comunicare con i propri cari lontani, ormai anche i miei genitori, che hanno sempre sofferto per il mio allontanamento dalla Sardegna, apprezzano tantissimo Skype e il fatto che possiamo chiacchierare come se fossimo sul divano di casa! Certo, percepire l'affetto delle persone a cui si vuole bene da vicino o tramite uno schermo non è la stessa cosa, però per me non è un aspetto invalidante del mio vivere all'estero. Quando si cresce in Sardegna è un dato di fatto che per raggiungere località fuori dall'isola è necessaria almeno un'ora di aereo, inoltre Barcellona è facilmente raggiungibile. E mia madre questo lo ha capito bene, infatti venire a trovarmi dall'altra parte del Mediterraneo è ormai una routine consolidata, così come le sue valigie piene di prelibatezze italiane! (guardate qui se non ci credete!))
Per il momento, dunque, credo che vivere all'estero rimanga nei miei progetti di vita. L'idea di tornare a lavorare in Italia non mi attira, la mia esperienza milanese è stata più che sufficiente e ora mi godo la qualità di vita che Barcellona sa regalare. In un prossimo futuro potrei decidere di varcare nuovi confini, l'idea di vivere in un altro paese straniero mi entusiasma moltissimo ed è un'esperienza che consiglierei a tutti. Perché? Non c'è niente di più emozionante, secondo il mio punto di vista, dell'integrarsi in un nuovo contesto sociale, apprendere gli aspetti di una nuova cultura, poter comunicare in un'altra lingua e farsi degli amici che abbiano un vissuto completamente diverso dal proprio! Normalmente si pensa che emigrare all'estero sia una scelta limitata alla giovane età, magari al decennio dei venti, e molte persone hanno pensato che fossi una scriteriata a lasciare la mia rete di sicurezze italiane per fare questo salto verso l'incognito: io non sono d'accordo, vivere all'estero è una scelta di vita che si può fare in qualsiasi momento, in base al contesto e alle situazioni che ci si trova a vivere. Non credo ci sia IL momento giusto per farlo, ognuno può trovare la spinta a cambiare in momenti diversi della vita, consapevole del fatto che cambiare paese a vent'anni non è lo stesso che farlo a trenta o quaranta. Ma questo vuol dire semplicemente che in base all'età si apprezzeranno aspetti diversi dell'esperienza dell'emigrazione.
Per me affrontare questo passo da sola, a trent'anni, è stato il vero giro di boa della mia vita. Una volta passati lo smarrimento e l'euforia degli inizi (due sentimenti che sanno mischiarsi molto bene nei primi mesi all'estero) mi sono pian piano creata il mio mondo. Scegliere un appartamento che mi piacesse, vedere il mare tutti i giorni quando apro la finestra al mattino, andare a lavorare in bicicletta, avere più tempo libero da passare con i nuovi amici, sono tutti elementi che rendono impagabile la mia scelta di venire a vivere dall'altra parte del Mediterraneo. E facendo questo ho preso poi il coraggio per fare passi più lunghi, come viaggiare da sola, inizialmente dentro i confini europei e poi finalmente varcando l'oceano e atterrando nella tanto sognata America Latina. Sono piccole conquiste che sono venute piano piano, ma che mi hanno fatto sentire orgogliosa e finalmente soddisfatta della mia scelta di vita.