Magazine Diario personale

Dall’altra parte della barricata.

Creato il 29 agosto 2014 da Denise D'Angelilli @dueditanelcuore

Ci sono cose di cui è bene parlare, altre che sarebbe meglio tenersi per sé perché “no dai, forse non è il caso”, questa è una di quelle cose che forse-non-è-il-caso eppure eccoci qua. Ieri sera ho dato una possibilità a un film che si intitola “The fault in our stars”, tratto dal libro omonimo che ha venduto un fottio, ma io avevo paura che fosse un film per ragazzini depressi come “The perks of being a wallflower” e poi l’attrice protagonista mi sta proprio sul culo, colpa della serie su mtv piena zeppa di retorica peggio di Settimo Cielo e di quel film con George Clooney che sono andata a vedere al cinema con Helio e ci ho pure pianto sopra perché parlava di morte e in quel periodo io di sentir parlare di morte non ne avevo proprio voglia, ma il film poi mi ha fatto piuttosto schifo e ho incolpato quella tipa. Fatto sta che l’ho guardato, la storia è bellissima, la trasposizione è molto da ragazzini come pensavo, ma è stata una coltellata nello stomaco. Ma non è del film che voglio parlare.

Salve signora mia, lei sta lì con le sue unghie laccate di rosso che mi guarda e mi chiede di cosa stia parlando, e allora io glielo spiego, molto volentieri. Corre l’anno duemilaquattrordici, sappiamo fare un sacco di cose, ne sappiamo dire ancora di più, eppure non siamo ancora pronti ad ammettere che ci sia qualcosa di oscuro, brutto, al momento ancora invincibile che striscia silenzioso e fino a che non ti colpisce non lo vedi, che sceglie le vittime a caso, estrae un fogliettino dalla bolla e si insinua dentro di te, togliendoti le speranze, i sogni, e molte volte la vita. Duemilaquattordici e con i nostri iphone ci possiamo anche quasi teletrasportare da una parte all’altra del mondo, eppure c’è ancora chi quel mostro non lo nomina e se lo fai tu si fa il segno della croce, come se stessi dicendo Voldemort a Hogwarts. Il brutto male, lo chiamano, la terapia quella brutta, dicono. Si chiama tumore, signora mia, e quell’altra cosa brutta si chiama chemioterapia. Sì signora mia, cadono i capelli, si vomita in macchina e sul tappeto persiano di casa, si passa il tempo negli ospedali e si mangia il purè freddo, si leggono i libri scritti da chi ce l’ha fatta sperando che andrà così anche per te, ma poi ti dicono che il pallino nero è diventato un po’ troppo grande e vede? La zona grigio chiaro è quella sana, ma è piccolissima, eh appunto, arrivederci, allora su quei libri ci pisci sopra, maledici quegli stronzi che hanno vinto, e ti siedi sull’orlo del fiume col tuo vestito migliore ad aspettare che arrivi la tua barchetta per andartene via da questo mondo.

No signora mia non ce l’ho avuto io, ma mi creda, colpisce anche le persone molto più giovani di me. Comunque ce l’ho avuto in casa mia davanti agli occhi, quindi non si preoccupi che so bene di cosa sto parlando.

Vede signora mia, quello che lei forse non sa è che le persone malate continuano a vivere a casa con i propri cari, e sono loro a fare i turni per non lasciarlo da solo, a litigare con la asl che ha perso il foglio dell’invalidità e non vede perché una persona con tot metastasi in corpo debba passare davanti a quello che ha sbattuto il mignolino contro lo spigolo della porta, a spiegare al farmacista che no la medicina non è per me ma lui a prenderla non può venirci, a mettere in pausa la propria vita perché quella di qualcun’altro diventa improvvisamente molto più importante, e a sentirsi una merda quando di notte non dormi e speri solo di poter tornare a fare la vita tranquilla che facevi prima il prima possibile. Perché ci pensi, è inevitabile. La casa è sempre un via vai di gente che porta le piante proprio quando a te non va di vedere nemmeno la tua ombra, le persone chiedono a te per non chiedere a lui e diventi il portavoce di una battaglia che porco cane nemmeno ti appartiene, ambasciatore del dolore ma allo stesso tempo del “comunque non sta meglio, ma non sta nemmeno peggio” e un bel sorrisone a trentadue denti.

Signora mia io spero che nessuno le dica mai in faccia di avere un tumore,  perché quando succede senti tutte le ossa che si sbriciolano, una per una. Ti rendi conto di essere dannatamente fortunata a non essere tu quella malata, ma allo stesso tempo è come se fossi malata anche tu. A ogni minimo dolorino cerchi su google, ti informi sul funzionamento dell’eredità della genetica e non sai nemmeno che cosa diavolo stai cercando, leggi tutto, guardi tutto, approfondisci tutto, ma è come se un’arabo parlasse cinese.

Ti incazzi perché si può donare il sangue e il midollo osseo ma non si può donare la salute, posso scegliere io di volerne un po’ meno e di darne buona parte a chi non ne ha più? Non non puoi, ma se potessi ti prenderesti tutto il suo dolore, anche solo per poche ore, per fargli ricordare com’era quando la vita profumava di rose e non di medicine. Dicono che l’aglio sia anti tumorale, compri il succo di aloe vera come se una cazzo di pianta che ha il sapore del cianuro misto all’acido muriatico possa uccidere quello che non uccidono nemmeno le radiazioni, se apri i noccioli della pesca dentro ci trovi una specie di mandorlina che anche quella è amarissima ma dicono che faccia bene. Quando arriva la fine secondo me pensi ma chi cazzo me l’ha fatto fare, a saperlo mangiavo quattro pizze ai quattro formaggi, e chiedi una coca cola. Che vita di merda è una vita dove l’ultima cosa che bevi è una coca cola.

Perché non devi fumare o drogarti e il vino mh sì ok giusto un goccino di rosso che fa sangue ma poco, vai a vivere in aperta campagna perché lo smog ti uccide, fai attività fisica, tieni il cuore allenato, i muscoli sempre tesi. Ma lui non fumava, non si drogava, beveva quel goccino di rosso che fa sangue ma poco, era un maratoneta, un triathleta. Hai un giramento di testa e credi che sia arrivato, se trovi un neo che non avevi inizi a contare i giorni che ti restano da vivere. Dovresti farti i controlli ma il pensiero ti terrorizza, perché forse è meglio non sapere o sapere quando ormai è tardi e non ti fanno cadere i capelli, quando se finisci sulla sedia a rotelle è solo per poco. Ma la gente non lo sa, la gente come lei, signora mia, lo chiama il grande male e pare che sia solo cosa d’altri, non ti fanno passare davanti al supermercato solo perché hai un bastone perché magari sei scivolato sul marciapiede e ti sei storto un piede, ma no signora mia lui ha le ossa mangiate da uno stronzo che ha sempre più fame, non ha più un rene, le ferite restano aperte perché il sangue non si coagula, ma lei non si preoccupi che non le faremo fare tardi per la sua cena a base di quattro salti in padella, lo so che stasera c’è Le tre rose di Eva in tv perché lo guardo anche io, si figuri, lui lo sorreggo io mentre siamo qui in fila, tanto sono abituata.

Me lo dica lei signora mia che cosa si dovrebbe rispondere a una persona che, guardando le persone camminare con le proprie gambe, ti dice che le invidia e ti domanda perché è successo a lui, me lo dica lei signora mia dove si trova la forza per fare sempre finta di niente e buttarla in caciara, per non versare mai una sola cazzo di lacrima davanti a lui e ingoiare tutte le bestemmie, mi dica lei come si fa a spiegare a un medico che sì, dire alle persone che stanno per morire è il suo lavoro, ma forse un po’ più di tatto non sarebbe male. Non lo sa, signora mia? Bene, io lo so, se vuole glielo spiego, mentre lei si asciuga le lacrime e si rende conto che sì, esiste, magari ce l’ha anche il suo vicino di casa ma lei non lo sa.

Poi aspetti, aspetti che finisca e che se lo porti via, perché tanto non è più quello che era. Tu le urla perché non riesce ad alzarsi dal letto non le vuoi sentire più, e il piatto che resta sempre pieno perché non ha fame non lo vuoi più vedere, e le spalle ti fanno male quando si appoggia a te con tutti i suoi novanta chili e vuoi riposarti, aspetti che arrivi e nel frattempo esci, bevi, fumi, ti innamori, mangi, scopi, ridi, gli dai un bacio sulla guancia e gli dici che ci vediamo dopo, ma non lo sai se dopo lo troverai ancora lì. E ti prendi due goccine perché altrimenti il piede fuori casa non ce lo metti, marcisci su quella sedia di fianco a quel letto fino a che la tua carne non puzza di putrido. Ci sarà sempre qualcuno che non capirà. che prenderà in giro il vostro muso lungo, che farà domande inopportune, che penserà che queste cose si vedono solo nei film. La maggior parte delle persone che conosco ha avuto un caso come il mio nella propria famiglia ma no, non è vero, non esiste, ma figuriamoci se capita a me.

Io com’è essere malati non lo so, signora mia, ma so che stare dall’altra parte della barricata fa comunque schifo, sei completamente impotente di fronte a un qualcosa che è troppo troppo troppo grande, troppo spesso lasci che se ne occupi qualcun’altro perché non ne hai la forza, cammini per i corridoi degli ospedali con gli occhi che fissano il pavimento perché signora mia lei mi insegna che se le cose non le vedi allora non esistono, però le persone che piangono le senti lo stesso, l’odore del disinfettante ti arriva comunque alle narici, il reparto si chiama oncologia e non lo puoi cambiare, litighi con gli infermieri perché vuoi restare lì oltre l’orario di visita, spendi venti euro in riviste che tanto non leggerà perché sta pensando ad altro e non leggerai tu perché stai pensando a lui, devi usare il bagno degli ospiti e non quello che usa lui, gli tocchi la cicatrice che è solo un buchino piccolo ma ti chiedi perché sia andata così. Poi finisce tutto così, da un giorno all’altro, ricomincia lo studio, il lavoro, l’amore, le bevute, i concerti, butti in un sacco nero tutte le pillole e le punture che a te, grazie al cielo, non servono, metti in uno scatolone i dopobarba e i boxer, e via.

Sa signora mia, io lo aspetto quello stronzo,  io sto qua, venisse pure a bussare alla mia porta, mi troverà preparata e combattiva, ho il fucile carico pronto a sparargli in faccia in trincea, sono anni che vivo per due, quindi sì uno solo l’avrà pure battuto, ma adesso provi a batterci insieme, lo faccia pure, se ha il coraggio.



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