Le vicende di queste due ultime settimane con le scissioni, implosioni, ma soprattutto con il caso Cancellieri e quello tristissimo di Vendola, hanno esaurito le mie capacità di indignazione immediata e suscitato invece la voglia di raccontare una storia, di raccogliere quelli che paiono dei pezzi sparsi per dar loro un senso dentro dentro un secolo di vita italiana. Una storia segreta che tuttavia non ha segreti: è lì nascosta dentro l’insieme con i suoi particolari ben conosciuti e tuttavia gestiti in modo che non si raggruppino mai in una forma definita.
Ma tenetevi perché è una storia lunga, nera, per gran parte infame. E forse il miglior punto per penetrare nelle cavità della mela marcia è proprio il caso Cancellieri il ministro che “non ha mentito”, mentendo anche sull’evidenza dei contati telefonici. Il ministro che il vegliardo del Quirinale e Letta vogliono mantenere a tutti i costi sulla poltrona, senza alcuna ragione apparente. Si la Cancellieri è un buon inizio perché parte da lontano ed entra subito in argomento. Come sappiamo il donnone prefettizio ha per così dire origini libiche, appartiene a quel ceto coloniale di avventurieri assai vicini al fascismo e ai potentati economici, il cui potere è continuato per alcuni decenni dopo la perdita ufficiale delle quarte e quinte sponde, svolgendovi un ruolo ambiguo nella guerra per le materie prime ed energetiche. Il nonno della Cancellieri , dopo la guerra del 1911, diviene un ras della nuova colonia e addirittura ”commissario ai beni sequestrati ai berberi”, mentre il padre, sempre in Libia e sotto l’ala protettrice del regime e in particolare di Italo Balbo, si dedica alla costruzione di centrali elettriche. Lei sta a Roma andando in Libia solo per le vacanze, trascorrendo il tempo fra la colonia dei ricchi italiani che sono rimasti anche dopo la guerra e che sotto re Idris fanno il bello e cattivo tempo. Tanto che a 19 anni, appena finite le scuole comincia a lavorare, non in un ufficio, ma nientemeno che alla Presidenza del Consiglio.
Bene ma ai tempi di Mussolini chi era il colono libico più in vista, più ricco e abbondantemente foraggiato dal
Amerigo Dumini
duce sotto ricatto? Nientemeno che Amerigo Dumini, il capo della squadra che assassinò Matteotti. Tra fucilatori di rivoltosi, assassini e commissari ai beni non c’è dubbio che nello scatolone di sabbia si fosse raccolto un consistente cuore di tenebra. Mi sembra di immaginare quelle serate coloniali in cui il fresco si insinua nel soffoco del deserto, le sigarette brillano nel buio e l’aria gradassa si alza come una marea notturna. Parlano e poi schiamazzano mentre Ardito Desio molto lontano dal mare, scava pozzi per l’acqua, scoprendo e mappando il petrolio.
Già il petrolio. Come ormai sappiamo Matteotti fu ucciso perché la sua ferma opposizione al regime non si limitava alla retorica narrante dei deputati socialisti, ma si armava di notizie e si temeva che egli potesse rivelare come il patriottico regime fascista avesse svenduto, in compenso di qualche milione di lire di allora ai gerarchi, tutti i diritti di prospezione petrolifera sia in Italia che nelle sue colonie alla Sinclair Oil, una società facente capo a Rockfeller che già era al centro di uno scandalo per una concessione in Wyoming. Quella che aveva come simbolo il dinosauro e che forse qualche ultra cinquantenne ha avuto modo di vedere nelle insegne dei meccanici. Erano stati i britannici infastiditi dalla concorrenza della Sinclair che avevano fatto pervenire a Matteotti notizie esatte sui corruttori e sui corrotti. Non lo si poteva solo bastonare e purgare, bisognava farlo fuori. E chi meglio di Dumini, nato a Saint Louis, cittadino americano fino all’inizio della grande guerra e forse informatore del consolato Usa di Firenze? Certo, era probabile che anche Dumini dovesse fare la stessa fine, visto che aveva sottratto a Matteotti la borsa con la documentazione sullo scandalo, fogli che finiranno poi nella borsa di Mussolini, scomparsa a Dongo.
Ma Dumini era un assassino, non un fesso. Mandò copia di tutto a uno studio legale del Texas con l’ordine di divulgare il contenuto qualora non fosse giunto il compenso mensile pattuito per la conservazione della documentazione e fece sapere la cosa al triumviro De Bono. Il risultato fu che Mussolini si dovette tenere Dumini, nonostante il carattere violento e i guai che combinava concedendogli vitalizi e sovvenzioni da capogiro. E’ sera in Libia, la sigaretta dell’assassino di Matteotti si accende nei circoli frequentati anche dai Cancellieri e dai Ligresti, mentre si festeggia l’arrivo della prima bottiglia di petrolio inviata da Ardito Desio.
Enrico Mattei
Invece è una piovosa sera padana a Bescapè dove nel ’62 cade l’aereo di Enrico Mattei. Anche qui c’entra il petrolio, non a bottiglie, ma a milioni di barili. Dopo la solita sventagliata di disinformazione sul disgraziato incidente aereo, prende piede l’ipotesi che fossero stati i servizi americani a mettere la bomba sul Morane – Saulnier del capo dell’Eni, soprattutto a causa degli irritanti contratti siglati con l’Urss e quelli imminenti per il gas algerino. Visti i tempi non ci sarebbe nulla di strano, però pian piano comincia a circolare l’ipotesi che non si sia trattato di un’ “operazione bagnata” condotta da fuori, ma che ha come suo referente tutto un’ambiente di poteri ambigui legati in parte alla politica, in parte a centri economici, in parte a interessi personali e pressioni straniere che trovano la loro cruna nell’ago in Eugenio Cefis, prima compagno di Mattei nella formazione della Repubblica dell’Ossola, poi legato ai servizi di informazione americani, proprietario delle raffinerie Sarom concorrenti dell’Eni, create attraverso oscuri legami con la mafia, e considerato il vero fondatore della Loggia P2 sulla scia di notizie uscite fuori dal Sismi. E’ questo che il giornalista De Mauro scopre ed è naturalmente fatto fuori. Ma allora tutto ciò era sotterrato nelle profondità degli arcana imperii, così come anche il fatto che questo nucleo di potere fosse riuscito ad infiltrare nella guardia del corpo di Mattei un affiliato alla gladio laziale che passava poi le informazioni alla alla Cia tramite il colonnello del Sifar Renzo Rocca, reclutatore per i gruppi “Stay Behind” e “coordinatore di finanziamenti industriali americani e italiani per combattere il comunismo”.
Eugenio Cefis
Così Cefis dopo un breve interregno succede a Mattei e con i soldi pubblici dell’ente petrolifero compra la privata Montedison della quale diviene presidente, salvando così Enrico Cuccia, la cui Mediobanca era fortemente esposta nei confronti dell’azienda chimica. Un’operazione molto complessa messa a punto nel garbuglio delle correnti democristiane e dei potenti che si annidavano in via Filodrammatici. “Non si può fare industria senza l’aiuto della politica e un giornale può servire da moneta di scambio” dirà anni dopo Cefis dal suo ritiro svizzero dopo aver accumulato una fortuna di cento miliardi. E nel 1986, Fanfani che al tempo del caso Mattei era al centro delle vicende democristiane, partecipando a un incontro con l’associazione dei partigiani cattolici si lascia scappare: “Chissà, forse l’abbattimento dell’aereo di Mattei è stato il primo gesto terroristico nel nostro Paese, il primo atto della piaga che ci perseguita”. E forse ci si dovrebbe seriamente chiedere se il libro incompiuto di Pasolini, Petrolio, che trasfigura proprio questa vicenda e il coro maligno che si leva dietro di essa, non sia la vera causa della sua morte. Fatto sta che il capitolo sull’Eni è scomparso dopo che dell’Utri (guarda caso) aveva annunciato di averlo ritrovato.
David Mills
Ma a proposito di Enrico Cuccia. Un suo cugino era nello studio Mills e associati, proprio quello dell’avvocato che secondo Berlusconi si sarebbe corrotto da solo. Mentre uno dei soci, tanto per curiosità, è il figlio del giurista Francesco Carnelutti, quello che aveva messo a punto il Codice di procedura civile del 1940. Quante coincidenze sul terreno carsico della nostra storia patria. E che coincidenza con gli ultimi due governi che hanno di nuovo aperto le prospezioni petrolifere come in quel torbido e oscuro 1924, oltre naturalmente alla svendita delle ultime aziende di Stato. Senza dubbio c’è bisogno di persone fidate, c’è un establishment che governa dal sottosuolo, sempre quello di generazione in generazione, che tesse un’oscura tela e che sembra ritornare sempre sui suoi passi come nel luogo di un delitto. Ci possiamo davvero meravigliare che ormai la menzogna più sfacciata diventi verità per miracolo compensativo e che si sfidi anche il più elementare senso di opportunità per difendere personaggi e vicende indifendibili? No è questa la normalità che ci tocca, questa l’intollerabile Italia che dobbiamo tollerare.