Ci sono le zone senza criminalità, come ha detto il ministro Severino, e forse arriveranno anche le zone del digiuno forzato. La dieta mediterranea si ridurrà a dieta e basta. Il modello dell’immigrata con figli non cattolici che fa la spesa all’hard-discount è ora un’opportunità medio-borghese. La spending review diventa così una passione popolare. Purtroppo cala la qualità.
Poi c’è, sempre secondo l’Istat in un articolo ripreso dal Fatto e da Web.rifondazione.it, la spesa di classe. Non perché sia fatta con garbo. L’operaio spende quasi mille euro in meno del professionista e dell’imprenditore (da 2.500 a 3.500), ovviamente gli tocca anche il lavoro fisicamente usurante ma la sanità sta diventando un privilegio più che un diritto.
Una famiglia su tre ha dovuto fare sacrifici in cucina nel 2011, diminuendo la spesa per beni alimentari. L’Istat rileva che l’anno scorso rispetto al 2010, il 35,8 per cento dei nuclei famigliari ha diminuito la quantità e/o la qualità dei prodotti alimentari acquistati. In particolare il 65,1 per cento di queste dichiara di aver ridotto solo la quantità, mentre nel 13,3 per cento dei casi diminuisce anche la qualità. Inoltre l’Istituto ha registrato un nuovo trend di consumi che si è diffuso nel sud Italia: sono cresciute di quasi due punti percentuali le famiglie che hanno preferito fare la spesa in un supermercato dove vengono venduti prodotti senza marchio, gli hard-discount. Nel 2010 erano l’11,2 per cento mentre l’anno successivo il 13,1 per cento.
Sempre lo scorso anno, un quinto delle uscite delle famiglie italiane è stato destinato al cibo. Il dato è in lieve crescita rispetto al 2010: si passa dal 19 per cento al 19,2% . Tale aumento si osserva soprattutto nel Mezzogiorno, dove la spesa alimentare arriva a rappresentare il 25,6 per cento della spesa totale (il 25,0% nel 2010). Più di un terzo delle famiglie compra da mangiare nei supermercati (il 67,5%) , che si confermano il luogo di acquisto prevalente, nonostante una lieve flessione. Quasi la metà delle famiglie (il 47,7%) continua ad acquistare il pane al negozio tradizionale, il 9,7 per cento sceglie il mercato per l’acquisto di pesce e il 16,4 per cento per la frutta e la verdura. La spesa media per generi alimentari e bevande – riferisce l’Istat – cresce, in termini nominali, del 2,2 per cento rispetto al 2010, attestandosi a 477 euro mensili. In particolare, aumentano la spesa per carne, quella per latte, formaggi e uova e quella per zucchero, caffè e altro. La quota di spesa per alimentari e bevande rimane costante fra le famiglie del Nord e del Centro (16,6% nel Nord e 18,4% nel Centro).
Nel 2011 le famiglie italiane hanno speso ogni mese una media di 2.488 euro (+1,4% rispetto all’anno precedente, quando era stato rilevato uno stallo dei consumi). L’anno scorso è stata riscontrata una differenza di circa mille e 100 euro fra la spesa media mensile delle famiglie di operai (2mila e 430 euro) e quella delle famiglie di imprenditori e liberi professionisti (3mila e 523 euro). Se il nucleo però ospita un disoccupato, una casalinga o una persona in altra condizione non professionale si passa a un’esborso di mille e 906 euro. Sebbene la spesa media mensile per famiglia sia salita nel 2011 dell’1,4 per cento, risultano in contrazione, oltre alle spese alimentari, quelle destinate all’abbigliamento e alle calzature. Crescono, anche per effetto dell’aumento dei prezzi, le quote di spesa – riferisce ancora l’istituto di statistica – destinate all‘abitazione (dal 28,4% al 28,9%) e ai trasporti (dal 13,8% al 14,2%).
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