Probabilmente non frega nulla a nessuno e questo post passerà inosservato ai più, che si stanno godendo il riposo dei giusti al mare o in montagna. Ma è notizia di questi giorni (siamo a ridosso della vendemmia) una polemica che via via si sta allargando.
Di cosa sto parlando? Dell’intervento di Carlo Petrini su Repubblica, a cui è seguita una replica su Il Giornale, che ha innescato reazioni a catena di cui potete trovare traccia su questo blog.
In sintesi che è successo? Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, ha detto che la vendemmia quest’anno sarà più abbondante e si è detto dispiaciuto perché con tutta probabilità non farà che aumentare la svendita del vino sfuso di bassa qualità, a discapito di altri produttori. Il Giornale, manco a dirlo, si è scagliato contro di lui in una replica senza esclusione di colpi.
Perché intervengo? Perché, da bravo Gambero Stronzo, le risse un po’ mi sfiziano. Ma anche e soprattutto perché, seppure Petrini non sia in cima alle mie simpatie, devo riconoscere che qualche merito (per lo meno divulgativo) Slow Food ce l’ha, e anche perché la replica un tantino piccata de Il Giornale, mi pare del tutto fuori luogo:
1) è confusa: mette insieme in un unico calderone equo-solidale, doc, dop, docg, vini biologici e chi più ne ha più ne metta, argomenti molto diverse tra loro (e l’autore dell’articolo, tale Luigi Mascheroni, avrebbe almeno potuto documentarsi un po’ prima di buttare così tanta carne al fuoco) che non contribuiscono a chiarire la questione, anzi, confondono ancor più le idee a persone che di vino, enologia e mercato capiscono poco o nulla.
1) è fuori luogo: l’intervento di Petrini mira a mettere in luce come, a fronte di una produzione abbondante si vada a scapito della qualità. Con produttori di vino ci ho lavorato e ci lavoro e per osmosi ho imparato a intendermene, almeno un po’. Ecco: il vino è un prodotto “vivo” e in continua evoluzione, non un manufatto industriale replicabile in una serie di pezzi tutti perfettamente identici. Se c’è maggiore disponibilità anche di vini tendenzialmente considerato “di prestigio”, per di più a prezzi più bassi, non gridiamo evviva alla democrazia del vino a prezzi bassi per tutti. Perché le leggi di mercato sono un po’ differenti. Nel settore vinicolo quantità non va (quasi) mai di pari passo con qualità. Quindi, se state bevendo un vino considerato prestigioso comprato a pochi euro, non significa che il prezzo è basso in ragione della grande disponilbilità ma che c’è una buona probabilità quel vino sia qualitativamente inferiore al suo standard e quindi i produttori abbassino i prezzi per non creare inutili giacenze.
3) punta a fare politica con un pezzo dove la politica non c’entra assolutamente nulla. Ognuno di noi ha il suo credo politico che non necessariamente (e per fortuna) influenza sempre e comunque tutto ciò che quel cervello pensa e produce (altrimenti io parlerei di lavaggio del cervello, signori de Il Giornale): dire che Petrini qui, in un commento tutto sommato pacato sulle previsioni (chissà poi la realtà dei fatti, con queste piogge ferragostane, dove andrà a finire) della produzione vitivinicola di quest’anno, ha voluto difendere ad oltranza e in maniera antidemocratica un gusto snob e radical-chic della sinistra di pochi, negando il buon vino al palato di molti, mi sembra, francamente (e lo dico da par mio), una gran stronzata.
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