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Dalla Sicilia al Piemonte

Creato il 20 novembre 2011 da Albix

Dalla Sicilia al Piemonte

Capitolo Nono

Luigia Straneo era la primogenita delle tre figlie che erano nate dal matrimonio di Sebastiano e Margherita Doria.

Forse non era la più bella ma sicuramente era la più intelligente, la più estroversa e la più pudica e osservante delle tre.

Ma non furono certo queste tre doti, che pur acquistarono un peso determinante in un secondo momento, a colpire di primo acchito Gaspare Nicolosi.

Il focoso e passionale siciliano, almeno inizialmente, era rimasto incantato dalla voce della ragazza, che aveva sentito cantare divinamente ad un ricevimento per i neo-promossi ufficiali del Regno, oltre che dalle sue forme rotonde e generose, che gli ricordavano tanto le donne della sua amata isola.

Il resto lo fecero certamente quelle doti e complessivamente la personalità della più matura delle sorelle Stranèo.

L’intelligenza di Luigia la portava ad ascoltare più che a chiacchierare; ed a Gaspare Nicolosi non dispiaceva affatto essere ascoltato, dato che essendo nato in una famiglia assai numerosa, tempo di ascoltarlo in casa sua non ce n’era mai stato abbastanza; la sua estroversione, d’altro canto, compensava il carattere fondamentalmente introverso di Gaspare Nicolosi; e in quanto alla ferrea osservanza cattolica, che per Luigia Stranèo non era un fatto di costume ma di autentica vocazione interiore, per Gaspare Nicolosi costituiva una sorta di recupero di quei valori che la sua prima educazione e soprattutto sua madre, gli avevano inculcato sin da piccolo, ma che lui, abbandonando la famiglia per seguire Garibaldi, aveva voluto deliberatamente e apertamente rinnegare.

Insomma i due giovani erano i classici opposti che però si attraevano a vicenda.

Ma Luigia, in particolare, non avrebbe mai scelto di accettare la corte del valoroso siciliano se le sue doti e le sue caratteristiche personali non le avessero ricordato la personalità di un cugino, con il quale lei era cresciuto e che aveva voluto bene come ad un fratello; il quale cugino, unico dei tre figli di un suo zio paterno, aveva abbandonato carriera e agi borghesi, per seguire proprio Giuseppe Garibaldi sin dalle sue prime avventure libertarie e che Luigia, una volta venutogli a mancare, rivide nella personalità altrettanto avventurosa e leale del suo corteggiatore siciliano.

Anche se in effetti i due garibaldini non si incontrarono mai sui campi di battaglia e si conobbero soltanto in maniera superficiale quando Lionello aveva ormai i giorni contati.

Infatti mentre Gaspare Nicolosi si faceva onore nel modo che abbiamo già narrato, Lionello, nella stessa battaglia di Calatafimi, era stato ferito in modo serio, seppure apparentemente non gravissimo, e quindi insieme ad una trentina di altri feriti aveva preso la via del rientro a casa.

Un solido e fraterno legame univa Luigia a suo cugino Lionello, molto più che ai due suoi fratelli (Bartolo, il più piccolo e Aimone il maggiore).

Lionello, oltre che essere in maniera assoluta il più intelligente e capace dei tre fratelli Stranèo, condivideva con la cugina un estro artistico particolare al punto che, quando Lionello ebbe la geniale idea di abbellire e rivoluzionare l’etichettatura della cospicua produzione vinicola che gli Stranèo ottenevano dalla loro tenute viticole del Monferrato, l’unica a credere veramente in lui e ad affiancarlo nel lavoro artistico e manuale, alla ricerca dei disegni da inserire nelle spente ed anonime etichette, fu proprio Luigia, anche se la madre di Lionello, in cambio del finanziamento che il figlio richiese per mettere in piedi un laboratorio di stampa e grafica (con tanto di operai e addetti per la produzione in proprio delle etichette) pretese ed ottenne che venisse inserito nella direzione della stamperia il figlio minore Bartolo che, in attesa di prestare il servizio militare di leva, frequentava con scarsi risultati e poca convinzione la Facoltà di Scienze Matematiche dell’Università di Pavia dove, se non altro, qualche nozione di disegno doveva pur averla ricevuta.

Sfruttando una legge favorevole del 1855 Lionello era riuscito poi, tra un intervallo e l’altro delle sue campagne a fianco di Garibaldi, a far riconoscere e tutelare a livello legale una tecnica grafica di disegno e riproduzione assai innovativa che si rivelò, contrariamente alle aspettative di tutto il parentado, un notevole successo commerciale, tale da conquistare il mercato, attirando l’interesse degli altri produttori di vino in bottiglia.

Quando anni dopo l’ingegnoso inventore seppe di avere i mesi contati, la sua geniale invenzione, che aveva conquistato tutti i mercati del nuovo Regno d’Italia, al punto che la nuova stamperia di famiglia si era dovuta trasferire in un capace locale del centro ed occupava, tra grafici e operai, una ventina di dipendenti, lo aveva di già reso un uomo ricco e di successo.

Lionello non amava il danaro; Luigia lo sapeva, perché sin da ragazzo aveva mostrato un’attitudine quasi vicina alla prodigalità; e non solo nello spendere danaro a piene mani si era mostrato prodigo, ma anche nello sperperare la sua salute, la sua giovane vita; nel consumarsi nei vizi e per i vizi; con le donne, nell’alcool, nel gioco, nella guerra; Luigia ricordava bene quando da ragazzo sfidava la morte, in ogni occasione, fosse un tuffo nell’acqua di un fiume da un’altezza straordinaria, o il lanciarsi (e a volte nel fare finta di lanciarsi per impaurirla) nel vuoto; o lanciando a folle corsa il calesse di casa sua; forse godeva a sentirla supplicare di stare attento, di non farlo, per carità di Dio e per amor suo, che gli voleva bene come una sorella; ma Lionello ne usciva sempre indenne e più spavaldo che mai; era arrivato a confidarle che tanto lui si sarebbe accontentato di vivere sino a quarant’anni, purché avesse vissuto a modo suo, godendo di ogni piacere, correndo ogni rischio, accettando e lanciando ogni e qualsiasi sfida, a Dio, alla sorte, alla vita.

E anche adesso che era diventato ricco di suo, mostrava ancora totale disinteresse per i soldi; e non li considerava affatto, se non in funzione dei piaceri che egli poteva ottenere spendendoli. In questo lui si sentiva simile al condottiero Giuseppe Garibaldi, che teneva in sommo dispregio il danaro, l’interesse personale ed il profitto; ciò che aveva portato Luigia, insieme alle gesta che il cugino le narrava in tono ammirato ed esaltante, ad apprezzare intimamente quel leggendario Garibaldi che, tuttavia, in casa sua, non godeva di molte simpatie, soprattutto da parte di suo padre.

Ma quel che a Lionello faceva più male, come confidò segretamente a Luigia in quella splendida mattina primaverile, che solo a respirarla faceva amare la vita al più disgraziato degli uomini, quando le aveva chiesto, procurandole una strana inquietudine che solo dopo comprese, di accompagnarlo per una passeggiata in carrozza, non era il pensiero di tutti quei soldi che aveva già fruttato la sua invenzione (e di quelli che prometteva di fruttare ancora di più in futuro ) e di cui lui non avrebbe potuto godere; e neppure il fatto che non avrebbe più indossato quella camicia rossa, lottando a fianco del suo generale, per portare a termine la missione di unificare l’Italia che Garibaldi si era prefisso, strappando Roma ai preti e Venezia agli Austriaci.

Quel che gli aveva quasi sussurrato, mentre Luigia ignara godeva follemente della sua compagnia, lungo i viali con gli alberi già in fiore della sua città, era il pensiero che se ne stava andando, lasciando la cosa più preziosa che la vita gli aveva dato e di cui solo adesso, a un passo dalla morte, capiva l’importanza: una figlia di quattro anni.

Quella notizia, che lei cercò disperatamente di fargli confessare come uno dei suoi soliti scherzi, architettati per farle paura, la sconvolse tanto da farla piangere.

Anche la delusione di essere stata tenuta all’oscuro da quella paternità che lei avrebbe accettato con lo stesso amore sincero che provava per lui, scomparve di fronte alla terribile notizia che suo cugino aveva una malattia incurabile che lo avrebbe presto portato alla morte.

E mentre quelle lacrime amare le rigavano il volto senza più ritegno, lui le chiedeva di interessarsi in prima persona di quella sua creatura che, almeno, perdendo il padre, si ritrovasse a fianco un riferimento affettivo sicuro (dato che la madre, non avrebbe potuto sopperire in tutto e dato che comunque il suo affetto, in aggiunta a quello della madre, non avrebbe di sicuro nuociuto alla sua bimba) e una persona fidata e onesta che amministrasse oculatamente i suoi beni di famiglia e quei profitti tanto copiosi quanto inaspettati, sino alla sua maggiore età.

Quando aveva capito che quella notizia atroce non era una delle sue burle, ancora scossa dal pianto e affranta dal dolore, Lionello, che da par suo riuscì a ribattere a tutte le sue obiezioni, vincendo la sua paura di non essere all’altezza di un simile incarico, le fece promettere che si sarebbe interessata all’educazione e alla crescita della sua bambina, pregandola di mantenere il segreto che nel suo testamento l’avrebbe nominata tutrice e curatrice dei beni che avrebbe lasciato a sua figlia.

Luigia promise, anche se in cuor suo sperava che i medici si fossero sbagliati e che per lui, col tempo, si trovasse qualche nuova cura.

Ma così non fu.

Luigia si ritrovò praticamente sulle spalle il peso dell’educazione di una bambina di quattro anni (che contava di condividere con la madre, ma che invece, forse affetta dallo stesso morbo del cugino, o magari angosciata dalla prematura dipartita di quel suo grande amore, dopo neanche un anno, morì anch’essa) e l’amministrazione di un patrimonio immobiliare, societario e finanziario che diveniva sempre più cospicuo (per la qual cosa, ad ogni buon conto, vista la sua completa inesperienza, come d’altronde aveva previsto suo cugino, poteva contare su suo padre; anche se, come si dirà più avanti, Lionello, nonostante la sua capacità precognitiva nell’escludere i fratelli dalla previsione testamentaria, non riuscì a impedire del tutto che i fratelli superstiti, seppure con le difficoltà e gli ostacoli che quella previdente designazione comportava, mettessero le mani sul patrimonio della infelice minore).

Una domanda angustiava però segretamente Luigia: ma quel giovane siciliano, che tanto si era mostrato interessato a lei, al punto da manifestare l’intenzione di chiedere la sua mano, avrebbe accettato quella situazione?

…continua…


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