di Atropa Belladonna
Dal punto di vista dell’analisi macroscopica, stilistica e iconografica, gliene hanno fatte di tutti i colori, manco il materiale si era riusciti a capire: osso, avorio o steatite invetriata? Adesso gliene han fatte di tutti i colori -ed era ora!- dal punto di vista microscopico (1). È come se ad un umano facessero NMR, TAC, PET e analisi del DNA. Nell’introduzione, il sigillo viene definito chiaramente scarabeo e non più scaraboide: del resto i fianchi incisi e la morfologia del dorso lasciavano pochi dubbi sul dovuto upgrade. E finalmente si parla con linguaggio preciso e sintetico: “The chemical analyses of the glaze matrix and of the embedded crystal inclusions, together with the detailed characterisation of the texture of the glaze-body system, confirm the compatibility of the scarab with the glazed-steatite Egyptian production, and specifically with the Egyptian scarabs of the New Kingdom”. La composizione e la manifattura rimandano alla tecnica egizia del Nuovo Regno (1550-1070 a.C. ca.), come del resto l’analisi formale. Come è del resto vero per lo scarabeo dell’obelisco e, sospetto, per quelli dei complessi nuragici di Nurdole eS’ Arcu e is Forros. Sull’altro scarabeo considerato egizio, quello di S. Imbenia, nulla posso dire: ne conosco solo il dorso (Figura). E adesso? certo, lo scarabeo della tomba XXV può essere tranquillamente più vecchio della tomba stessa: nessuno usa scarabei per datare contesti, passano troppo facilmente tra le generazioni. Ma le datazioni all’VIII e al VII secolo sono cascate come paletti muffiti e non sarà più così facile affermare che necropoli e statue non possono essere più vecchie dello scorcio finale del VII secolo, come era stato fatto proprio sulla base di un’affrettata datazione dello scarabeo.
G. Artioli, I. Angelini, F. Nestola, New milarite/osumilite-type phase formed during ancient glazing of an Egyptian scarab, 2012, Applied Physics A, DOI 10.1007/s00339-012-7125-x