Hanno l’aria decisamente rock, e sono abituati a suonare il blues. Nessuno, vedendoli così, potrebbe immaginare che, mentre queste foto venivano scattate, stavano provando una jam session su un successo di Lorella Cuccarini.
Eppure è la verità: anche i Borderò hanno ceduto al fascino del decennio pop e, armati dei loro strumenti, sono saliti sul palco di “Tutto Matto – C’erano una volta gli Anni ‘80”.
Continuando il nostro viaggio nel tempo, noi infiliamo dunque la cassetta nell’autoradio e cominciamo a battere il tempo seguendo la batteria elettronica e il sintetizzatore che scandiscono le prime battute di “I like Chopin” di Gazebo, pezzo introduttivo della compilation-simbolo di tutta un’era: "Mixage".
Fino a quell’estate del 1983, i dischi-raccolta “Artisti Vari” non avevano funzionato granché.
Poi, d’improvviso, fu il boom.
Quel genio commerciale di Freddy Naggiar, titolare della piccola casa discografica Baby Records, era reduce dal successo del lancio di Pupo e dall’altrettanto strabiliante riesumazione di personaggi ormai in declino quali i Ricchi e Poveri (riesplosi due anni prima con la hit internazionale “Sarà perché ti amo”) e Albano (al quale era stata astutamente affiancata quella gran voce di sua moglie Romina, in una delle più azzeccate operazioni discografiche di sempre).
Annusata l’aria e capito che i bei soldoni si facevano soprattutto con la discomusic, Naggiar si inventò una serie di cantantuccoli finto-stranieri che in realtà venivano da Nova Milanese (come ad esempio Den Harrow), dalla periferia romana (indimenticabile il Ryan Paris di “Dolce Vita”, il quale all'anagrafe si chiamava Fabio Roscioli), o addirittura da Beriut (vedi Paul Mazzolini, il Gazebo che si parcheggiò su tutte le piste da ballo in quel 1983, proprio con quella “I like Chopin” rimasta poi come inno nostalgico di tutta una generazione).
In poche settimane, le classifiche di vendita dei 45 giri si popolarono di nomi inglesi e personaggi costruiti a tavolino; così Naggiar decise di mettere la sua ciliegina sulla torta in vinile buttando sul mercato la prima compilation interamente mixata.
Bastava mettere su il disco per ballare ininterrottamente per almeno venti minuti e, passando dal lato A al lato B, ricominciare a scatenarsi dopo una brevissima pausa.
Qualunque salotto diventava discoteca, con le poche migliaia di lire necessarie all’acquisto del disco, magari con l’aggiunta dell’avvenieristico semaforo a tre luci psichedeliche – immancabile nella vetrina di qualunque elettricista. Anche la più infantile e provinciale festa di compleanno poteva assomigliare vagamente ai dancefloor di "Flashdance”.
I primi tre numeri di “Mixage” (estate 83, inverno 83-84 e estate ’84) ebbero un successo strepitoso, rimanendo in cima alla top ten per mesi. E poco importava se molti dei pezzi inclusi nelle raccolte erano per così dire “taroccati”, e cioè cantati da voci diverse rispetto a quelle che avevano lanciato la hit: allora nessuno sembrava farci caso.
Solo qualche anno dopo – anche sul traino della nascente mania per le griffe d’abbigliamento non falsificate - divenne un dovere delle case discografiche garantire l’inimitabilità delle loro compilation stampando in copertina la dicitura “Canzoni in versione originale”. Freddy Naggiar non poteva permettersi di farlo, ma a quel punto aveva già riempito a dovere il suo conto in banca, si era già comprato qualche castello in Inghilterra (secondo quanto riportato da Pupo), poté accettare di cedere lo scettro di re dell’italodisco, passandolo alle grinfie di Claudio Cecchetto con le sue Tracy Spencer e i suoi Sandy Marton.
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