Consideriamo un passaggio del III canto (Inf. 14-21). Dante, insieme con Virgilio, si accinge ad internarsi nell’inferno, quando legge la terribile epigrafe sulla porta dell’Ade. Il pellegrino chiede alla sua guida di illustrargli il significato dell’iscrizione. Il maestro risponde:
"Qui si convien lasciare ogne sospetto;
ogne viltà convien che qui sia morta.
Noi siam venuti al loco ov'i' t'ho detto
che tu vedrai le genti dolorose
c'hanno perduto il ben de l'intelletto".
Quindi...
"E poi che la sua mano a la mia puose
con lieto volto, ond'io mi confortai,
mi mise dentro a le segrete cose".
Sotto il profilo esoterico, è palese che l’Inferno è il mondo dei profani, il Purgatorio evoca i gradi dell’affiliazione, il Paradiso adombra la dimensione degli iniziati. Questo è il disegno simbolico, al cui interno, però, molti particolari sono sfocati.
Per quale ragione il vate di Andes, dopo aver spiegato al viandante il senso dell’epigrafe, decide di rivelargli ulteriori “segrete cose”? In che cosa consistono codeste “segrete cose” che gli esegeti di solito interpretano con “soggetti ignoti ai vivi”?
Forse l’autore latino intende chiarire al suo discepolo che il luogo della perdizione non è interminabile, ma uno stato dell’anima che, nell’infinita misericordia divina, è destinato ad essere un giorno trasceso, come nell’escatologia di Origene?
E’ arduo rispondere. Dante era “cristiano” (anche se le accezioni dell’aggettivo “cristiano” sono molteplici e talora difformi): purtuttavia la sua Weltanschauung accoglie concezioni ai margini dell’”ortodossia”, talvolta persino catare. Ad esempio, nel canto in oggetto, il cenno alle schiere degli angeli non ribelli a Dio, ma che neppure seguirono Lucifero, trova riscontro solo nella teologia albigese.
Per un motivo o per un altro, sia il concetto di una gehenna senza termine sia quello di un inferno che un giorno lontanissimo finirà, ripugnano alla coscienza umana.
Dante, grazie alla profonda saggezza di Virgilio, riuscì a trovare la quadratura del cerchio?
Post scriptum
Il saggio di Adriana Mazzarella, “Alla ricerca di Beatrice, Il viaggio di Dante e l’uomo moderno” offre del capolavoro dantesco un’esegesi simbolico-iniziatica alla luce (a volte offuscata) della psicologia junghiana.
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