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Mai dimenticare l’Imperativo Categorico di Hyman

Creato il 06 maggio 2011 da Stukhtra

Anche quando si parla di fede. Anzi soprattutto

di Marco Cagnotti

Nella Chiesa cattolica c’è questo di bello: ci trovi tutto e il contrario di tutto. C’è il prete anarcoide Andrea Gallo e c’è il vescovo negazionista Richard Williamson. C’è l’astrofisico gesuita George Coyne e c’è il mai abbastanza spernacchiato e sputtanato Roberto de Mattei. C’è (anzi c’era, purtroppo) il poeta David Maria Turoldo e c’è (purtroppo c’è ancora) l’infame Livio Fanzaga. Sono tutti figli di Santa Romana Chiesa, Una, Cattolica e Apostolica. E tutti stanno insieme con le loro idee agli antipodi le une dalle altre, non si sa bene come. Però, quando fai notare a qualche credente l’incoerenza di quest’ammasso confuso di persone, opinioni, tendenze, idee, a seconda della propensione del tuo interlocutore verso una parte oppure verso l’altra ti senti rispondere sempre: “Calma! La vera fede non ha nulla a che vedere con quelli là! Loro sfiorano l’eresia!”. In un’occasione, durante una conferenza, ho perfino sentito con le mie orecchie un autorevole teologo, frate cappuccino, sostenere che, secondo lui, “i miracoli di Gesù descritti nei Vangeli, fatta eccezione per la risurrezione, non corrispondono ad alcun fatto realmente accaduto: è tutto un mito”. Wow! Sbalordito da tanta audacia esegetica, ho riferito quest’affermazione a un sacerdote mio conoscente, pure lui teologo. Il suo commento è stato: “Che cretino!” (riferito al frate cappuccino, non a me). Insomma, è un casino. E gli eretici sono sempre gli altri. In questo casino, le scuole di pensiero sulla razionalità e sull’irrazionalità della fede non fanno eccezione. Così, leggendo l’articolo dal titolo “I miracoli fra scienza e fede”, pubblicato qui su Stukhtra domenica scorsa, scopro che Renato Giovannoli propende per la possibilità di conciliare la razionalità con la fede. Potrei citare autorevoli scuole teologiche diverse dalla sua. Invece preferisco aderire con Renato a quest’approccio razionalista e andare a verificare se funziona.

Miracoli? A che servono?

Anzitutto i miracoli. Renato è molto chiaro: per dirla con Sant’Agostino, essi “non vanno contro la natura, ma solo contro ciò che sappiamo della natura”. I miracoli non sarebbero quindi violazioni divine delle leggi naturali, ma fenomeni naturali che ancora non sappiamo spiegare. Questa me la segno, per ripeterla a quei credenti che ogni tre per due mi citano i miracoli come prova cogente dell’azione divina nel mondo. Dirò loro che me l’ha detta Renato Giovannoli. Però… però, se Agostino e Renato hanno ragione… se i miracoli sono fenomeni naturali… allora che bisogno c’è di ipotizzare l’esistenza di Dio? Tutto si spiega con le leggi della Natura, tutto è Natura, diventiamo tutti serenamente panteisti. Discorso chiuso. O no?

Nello specifico, occupiamoci del miracolo supremo, quello sul quale si fonda tutta la fede cristiana. Il miracolo senza il quale l’intero Cristianesimo sarebbe un mucchio di scemenze: la risurrezione di Gesù. Per puro amore di conversazione, su suggerimento di Renato ammetterò che dietro ci sia un qualche tipo di teletrasporto quantistico naturale di un corpo macroscopico. Incomprensibile per la scienza contemporanea, ma perfettamente spiegabile con le leggi della fisica… anzi, con le leggi che la fisica scoprirà… per esempio nel XXII secolo, diciamo. Perché “ci sono più cose in cielo e in terra… eccetera eccetera”. Chissà… eh?

Ora, se dunque quest’evento, ammesso che si sia verificato, non è un miracolo ma un comune fenomeno naturale, dove sta tutta la sua straordinarietà? Sul piano collettivo si può far prosperare per 2.000 anni una religione… e sul piano individuale si può con profonda convinzione interiore aderire a una fede… fondate su un banale, comune, spiegabile e magari perfino ripetibile fenomeno naturale? A me sembra una religiosità per nulla più sofisticata di quella del primitivo che, terrorizzato dal temporale, s’inventa gli dei del lampo e del tuono. Non c’è nessuna divinità: erano solo fenomeni meteorologici. Non c’è nessun Dio: era solo un teletrasporto quantistico. Son cose che capitano, ogni tanto.

No risurrezione? Ahi ahi ahi ahi…

Il vero nodo centrale della questione, come giustamente rileva Renato Giovannoli, sta però altrove: nella fede. Ossia nella fiducia nel resoconto di un fatto, cioè la risurrezione di Gesù. Senza quel fatto, tutta la fede cristiana è una montagna di fesserie. Non lo dico io, povero, insulso e ignorante ateo, ma san Paolo:

Ora, se si predica che Cristo è risuscitato dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dei morti? Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede. Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato Cristo, mentre non lo ha risuscitato, se è vero che i morti non risorgono. Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; ma se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. E anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini.
(I Cor 15, 12-19).

Il Catechismo della Chiesa cattolica lo conferma:

La risurrezione di Gesù è la verità culminante della nostra fede in Cristo, creduta e vissuta come verità centrale dalla prima comunità cristiana, trasmessa come fondamentale dalla Tradizione, stabilita dai documenti del Nuovo Testamento, predicata come parte essenziale del mistero pasquale insieme con la croce: (…) (638)

L’imperativo Categorico: teniamolo sempre ben presente

Orbene, assodato quanto sia importante la risurrezione nel corpus delle credenze cristiane, prima ancora di accingerci a tentarne una possibile spiegazione scientifica magari usando il teletrasporto quantistico di un corpo macroscopico, ossia un fenomeno ancora da scoprire e da giustificare razionalmente… dobbiamo ricordare l’Imperativo Categorico di Hyman:

Non cercare di spiegare qualcosa finché non sei sicuro che questo qualcosa esista.

Da qui in poi non scordiamocelo, perché è fondamentale.

La risurrezione c’è stata davvero?

Applichiamo l’Imperativo al nostro caso: prima di cercare strani, misteriosi e ancora inspiegabili fenomeni naturali per giustificare razionalmente l’evento della risurrezione, vediamo se codesta risurrezione c’è stata davvero. Ma c’è stata davvero? Parliamone. E facciamolo in modo razionale, perché Renato Giovannoli ci ricorda che la fede è razionale.

Il resoconto dell’evento della risurrezione di Cristo si trova nel Nuovo Testamento: una raccolta di libri antica quasi 2.000 anni, scritta dai seguaci del personaggio descritto e rimaneggiata in molte centinaia di passaggi in questi 20 secoli. Nondimeno i credenti la considerano una veritiera cronaca storica di fatti realmente avvenuti. Prima di occuparcene, facciamo una veloce panoramica sulle fonti non cristiane.

Le fonti non cristiane

Anzitutto c’è Yosef Ben Matityahu, più noto come Flavio Giuseppe. Ecco che cosa scrive questo storico ebreo, cittadino romano, nato nel 37 d.C.:

A quel tempo visse Gesù, un uomo saggio, se pure si può chiamarlo uomo: perché compì opere straordinarie, e insegnò a coloro che amavano la verità. Egli portò a sé molti Ebrei e molti Gentili. E, quando Pilato udì che era accusato dai nostri governanti, lo condannò alla croce. Coloro che lo avevano amato dagli inizi non persero la fede in lui, ed egli apparve loro redivivo il terzo giorno, perché i profeti avevano previsto questa e altre mille meraviglie su di lui. E la tribù dei Cristiani, che prende il nome da lui, non si è estinta fino a oggi.
(Antichità giudaiche, XVIII, III, 3, 63-64).

Di questo brano, scritto nel 93, la versione più antica è quella di Eusebio di Cesarea e risale al 323. In molti manoscritti delle Antichità giudaiche non appare. Non c’è da stupirsi: se Flavio Giuseppe avesse davvero creduto nel messaggio di Gesù e nella sua risurrezione, avrebbe aderito alla nuova fede. Cosa che non fece. Origene dichiara che Flavio Giuseppe “non accettava Gesù come Cristo” e Clemente di Alessandria lamenta che lo storico ebreo non dica “nulla delle cose meravigliose che il Signore aveva fatto”. Ancora nell’891 Fozio I di Costantinopoli, che pure studia Flavio Giuseppe, mostra di non conoscere questo brano. Insomma, come prova storica dell’esistenza di Gesù e della sua risurrezione le Antichità giudaiche sono quanto meno controverse. E sono l’unico riferimento alla risurrezione di fonte non cristiana.

Sulla figura di Cristo invece qualcos’altro c’è. Per esempio una lettera di Publio Lentulo, governatore romano della Giudea prima di Pilato, che con tono entusiastico scrive di Gesù all’imperatore Tiberio, descrivendone addirittura l’aspetto fisico. Beh, questa lettera è senza dubbio un falso. Lentulo si firma “governatore della Giudea”, mentre il titolo esatto era “prefetto”. Inoltre utilizza una datazione che non era in uso prima di Costantino. Da ultimo, nelle cronache romane non c’è traccia di alcun Publio Lentulo fra i prefetti della Giudea. Sicché Lentulo come fonte attendibile non conta un cazzo.
Altra fonte: Tacito. E qui c’è poco da discutere, perché il passo è confermato:

Perciò, per tagliar corto alle pubbliche voci, Nerone inventò i colpevoli e sottopose a raffinatissime pene quelli che il popolo chiamava Cristiani e che erano invisi per le loro nefandezze. Il loro nome veniva da Cristo, che sotto il regno di Tiberio era stato condannato al supplizio per ordine del procuratore Ponzio Pilato.
(Annales, XV, 44).

Che cosa ci dice Tacito? Che sotto il regno di Nerone, ossia fra il 54 e il 68, c’era una setta che si rifaceva a un certo “Cristo”, ammazzato ai tempi di Tiberio. Non ci dice che questo Cristo fosse il Figlio di Dio e (soprattutto) che fosse risorto.

Da ultimo, anche Plinio il Giovane cita genericamente i Cristiani in una lettera a Traiano.

E poi?

Poi basta. Altro non c’è. Tutto qua. Di Gesù Cristo non parlano Filone di Alessandria, Lucio Anneo Seneca, Plinio il Vecchio, Flavio Arriano, Decimo Giunio Giovenale, Marco Valerio Marziale, Apollonio di Tiana, Marco Fabio Quintiliano, Publio Papinio Stazio, Appiano di Alessandria, Fedro, Valerio Massimo, Luciano di Samosata, Pausania, Aulo Gellio, Gaio Valerio Flacco, Pomponio Mela, né tutti gli altri, filosofi, storici, scienziati, retori e scrittori non cristiani dei primi secoli d.C. Le loro opere potrebbero riempire un’intera biblioteca. Ma invano vi cercheremmo qualche parola su un profeta nato, morto e (soprattutto!) risorto in Giudea, sull’eclisse (intorno al plenilunio della Pasqua ebraica?) che oscurò il Sole per tre ore (un’eclisse di tre ore?), sul terremoto che squassò la terra e sulla risurrezione di massa quando egli morì. Niente di niente. Sul Gesù storico, sui suoi miracoli e soprattutto sulla sua risurrezione cala il tonante silenzio degli autori non cristiani.

Le fonti cristiane: come studiarle?

Non rimane dunque che rivolgersi alle fonti cristiane più antiche. Ossia, in sostanza, agli apocrifi e al Nuovo Testamento. E qui subito dobbiamo porci una domanda: in che modo vogliamo studiarli? Se prendiamo i Vangeli per buoni a priori, perché sono “parola di Dio”, qualsiasi discorso razionale perde di significato. Se invece ci chiniamo sulle fonti cristiane con spirito critico e razionale, notiamo per cominciare che sono colme di contraddizioni. Gesù nacque a Betlemme o a Nazareth (di cui peraltro non c’è traccia all’epoca)? E qual è la sua genealogia? Nel Vangelo di Matteo 28 generazioni lo separano da Davide, in quello di Luca 43. Solo per restare ai Vangeli canonici, i grandi eventi della vita di Gesù trovano descrizioni differenti, spesso contraddittorie. Perfino sulle circostanze della risurrezione non c’è accordo. Siccome le vicende non possono che essersi svolte in uno e un solo modo, qualcuno non la racconta giusta. Cominciamo bene…

Nonostante tutto ciò, secondo i credenti questa documentazione dovrebbe essere considerata come una cronaca verosimile dei fatti. Ebbene, per nessun’altra figura storica uno studioso serio e razionale accetterebbe acriticamente una documentazione così tarda, povera, parziale, tendenziosa, incoerente e manipolata, senza prenderla con le pinze. Ma per Gesù ci viene detto di considerare quanto si dice di lui nel Nuovo Testamento così come sta scritto, tale e quale. In particolare l’evento della risurrezione, della cui centralità nella fede cristiana abbiamo detto. Per non impegolarci in un ginepraio di discussioni filologiche ed esegetiche infinite, lasciamo perdere gli apocrifi (che tanto per la Chiesa cattolica contano ben poco e non sono “parola di Dio”) e concentriamoci solo sulla formazione del materiale canonico.

Il materiale canonico: come si è formato?

Un’opinione diffusa e ingenua nel popolo dei fedeli è che il Nuovo Testamento sia apparso nel giro di pochi anni dopo la morte di Gesù. Diffusa, ingenua e sbagliata. Nei primi decenni di espansione del Cristianesimo il Nuovo Testamento semplicemente non esiste. Nelle comunità cristiane circola però molto materiale scritto: lettere, atti e memorie degli apostoli, protovangeli, apocalissi, apologie, martirologi, commenti, detti di Gesù, trattati contro le prime eresie. Manca un canone. Non mancano tuttavia i tentativi di fissarne uno. Fra i più autorevoli, quello di Marcione. Originario di Sinope, in Asia Minore, Marcione giunge a Roma intorno al 140 e, dopo una cospicua donazione alla comunità cristiana locale, si impegna nell’insegnamento della fede. O, almeno, della sua interpretazione della fede. Dualista, precorre e forse influenza quelle che poi saranno le intuizioni del manicheismo. Per lui Dio è duplice: c’è il Dio creatore e vendicativo degli Ebrei e c’è il Dio dell’amore proposto da Gesù. Il canone che egli raccoglie a sostegno delle proprie idee contiene dieci epistole paoline e un solo Vangelo (una versione di quello di Luca). Marcione viene scomunicato e deve abbandonare Roma, tornando in Asia Minore e fondandovi una propria comunità. A quel punto, soprattutto in reazione all’eresia marcionita ma anche per contrastare altri gruppuscoli che si rifacevano a una fonte piuttosto che a un’altra, per la Chiesa primitiva si fa urgente la necessità di definire un canone uguale per tutti i Cristiani. E’ infatti essenziale stabilire quali testi possano essere letti durante i riti e, soprattutto, su quali si possa fare affidamento nella riflessione teologica e morale. Non è un parto facile: le discussioni si trascinano per secoli, con confronti durissimi, scomuniche, anatemi, scissioni. Il risultato finale lo abbiamo sotto gli occhi oggi: il Nuovo Testamento composto da 27 libri.

La prima definizione del canone così come lo conosciamo risale al 367, quando Atanasio di Alessandria scrive una lettera pastorale alle Chiese d’Egitto ed elenca i libri che devono essere considerati Sacra Scrittura. Siamo quindi quasi tre secoli e mezzo dopo la morte del fondatore. Con la Vulgata di Girolamo, che incorpora anche la versione dei Settanta dell’Antico Testamento, all’inizio del V secolo si giunge a una versione definitiva della Bibbia, che fino al Concilio Vaticano II rimane quella ufficiale della Chiesa cattolica. E che contiene i quattro Vangeli canonici, gli Atti degli Apostoli, quattordici lettere di Paolo, sette lettere di Giacomo, Pietro, Giovanni e Giuda e infine l’Apocalisse di Giovanni.

Il materiale canonico: quando fu scritto?

Per valutare l’attendibilità di un documento storico, è essenziale anzitutto determinare il momento in cui fu prodotto e la distanza temporale dai fatti che descrive. L’indagine critica moderna, che prescinde dai dogmi di fede, ha indagato negli ultimi due secoli sul Nuovo Testamento con grande dispiegamento di mezzi paleografici, filologici, esegetici, archeologici. E ha scoperto che anche i documenti più antichi sono assai lontani dagli eventi originari.

I documenti più antichi sono le lettere di Paolo, scritte fra il 55 e il 65. Quindi due decenni dopo la risurrezione, da un autore che non ha mai conosciuto di persona Gesù e che riceve le proprie informazioni di seconda mano. Delle lettere paoline, solo sette sono riconosciute come effettivamente sue, mentre delle altre la paternità è contestata o perfino ufficialmente negata dalla stessa Chiesa cattolica.

Ci sono poi i tre Vangeli sinottici: Marco, Matteo e Luca. Sono chiamati così perché offrono una visione comune della vicenda terrena di Gesù, narrando gli stessi eventi nella stessa successione temporale, spesso usando le stesse parole. Non sono però indipendenti fra loro. L’indagine più recente ha evidenziato come il Vangelo di Marco abbia pesantemente influenzato quelli di Matteo e di Luca. Non solo: all’inizio dell’Ottocento è stata suggerita l’esistenza di una fonte ulteriore, andata perduta e chiamata Q (dal tedesco Quelle, ossia “fonte”), che avrebbe influenzato Matteo e Luca insieme a Marco. La fonte Q, che conteneva i detti di Gesù, dovrebbe essere scomparsa molto presto: già nei primi decenni. Infatti non solo non è stata tramandata, ma neppure viene citata esplicitamente. Tuttavia è stata proposta per spiegare la presenza nei Vangeli di Matteo e di Luca di elementi comuni che però non sono presenti nel Vangelo di Marco. Su questa base, la ricostruzione dei suoi contenuti porta a ritenere che la fonte Q non menzionasse né la nascita, né la scelta dei 12 discepoli, né la crocifissione, né la risurrezione.

I tre sinottici, il Vangelo di Giovanni e gli Atti degli Apostoli costituiscono il nucleo del Nuovo Testamento e narrano la cronaca della vita di Cristo e degli eventi successivi alla sua morte.

  • Il Vangelo di Marco è il più antico: viene scritto fra il 65 e il 70 da un ebreo che non aveva Gesù ma era stato seguace prima di Paolo e poi di Pietro. E’ il più breve dei Vangeli e anche quello che insiste di più sul messianismo di Gesù.
  • Il Vangelo di Matteo viene scritto intorno all’80. Per la Chiesa è opera dell’apostolo, ma la critica moderna lo attribuisce a un anonimo cristiano di Antiochia, che non fu testimone oculare dei fatti narrati. La versione più antica è in greco, non in aramaico. E’ il più allineato con l’ebraismo coevo.
  • Luca è un medico originario di Antiochia e discepolo di Paolo. Scrive il proprio Vangelo fra il 75 e l’80 ed è autore anche degli Atti degli Apostoli. Il Vangelo di Luca è il più lungo e il più attento ai temi sociali, come la condizione delle donne, dei poveri, degli oppressi.
  • Il quarto Vangelo è attribuito a Giovanni, ma l’attribuzione della paternità al discepolo di Gesù è basata solo sulla tradizione. E’ sostanzialmente differente dai tre sinottici nello stile e nei contenuti e si concentra soprattutto sugli aspetti teologici. La sua stesura definitiva risale a non prima del 95. La critica moderna lo considera frutto dell’opera di mani diverse all’interno della comunità di Efeso, che scrissero a partire da una base comune di racconti evangelici narrati per 60 anni.
  • Ci sono poi gli Atti degli Apostoli: pressappoco coevi del Vangelo di Marco, da parecchi studiosi e dalla stessa CEI sono ritenuti opera dello stesso autore del Vangelo di Luca.

Antichi pasticci

C’è un altro aspetto da sottolineare: non c’è un accordo universale su un’unica versione del Nuovo Testamento. Infatti nei primi secoli i manoscritti sono pesantemente modificati dai copisti sia con aggiunte sia con cancellazioni. Alcune non intenzionali, determinate solo da errori di trascrizione. Altre invece volute, perché gli scribi sono immersi in un’epoca di intense dispute teologiche e, pur con tutte le migliori intenzioni, cambiano i testi per rafforzare le proprie posizioni. I critici hanno quindi scovato modifiche effettuate per contrastare le eresie ebionita, docetista, gnostica, ma anche in funzione antiebraica e antipagana. E’ totalmente in errore chiunque prenda in mano il Nuovo Testamento della CEI e pensi di avere una versione unica e definitiva. Quello è l’adattamento e la rielaborazione ufficiale della Chiesa cattolica. Ma in realtà esistono più di 5.700 differenti manoscritti scoperti e catalogati, che spaziano dai frammenti minuscoli alle edizioni più vaste, dall’inizio del II fino al XVI secolo.

Bizzarre caratteristiche

Riassumiamo le caratteristiche dei documenti scritti dai quali dovremmo ricavare informazioni attendibili sulla figura storica di Gesù e soprattutto sulla sua risurrezione, cioè il fenomeno che dovrebbe essere spiegato con il teletrasporto quantistico di un corpo macroscopico (che, lo ricordiamo, è ancora tutto da scoprire). Questi documenti…

  • …sono di parte, scritti solo dai suoi seguaci,
  • …sono molto successivi agli eventi descritti, nel migliore dei casi non meno di 20-25 anni,
  • …sono opere di persone che non furono testimoni diretti e che non conobbero personalmente Gesù,
  • …sono emersi in un contesto culturale nel quale non era rara la propensione a interpretare i fenomeni come se fossero magici o di origine divina, anche a costo di rinunciare a spiegazioni più semplici e conosciute (Guglielmo di Occam sarebbe arrivato 13 secoli dopo),
  • …ci sono giunti in innumerevoli versioni, che sono state rimaneggiate e manipolate per errore o con intenti teologici.

Torniamo ora all’evento fondante del Cristianesimo: la risurrezione di Gesù. Che cosa possiamo dirne?

Andiamo alla fonte primigenia (fin dove si può)

La documentazione più antica su quel preciso evento si trova nel Vangelo di Marco, scritto, come abbiamo visto, almeno 30 anni dopo. Già questo dovrebbe insospettire chiunque s’interroghi con atteggiamento razionale sulla realtà di quel fatto. In tre decenni di tradizione tramandata oralmente o in opere scritte di cui non abbiamo più traccia, all’interno di una società composta in gran parte da gente analfabeta e propensa a vedere dappertutto manifestazioni magiche o divine, non c’è stata alcuna manipolazione, alcun ritocco, alcuna incomprensione?

Vediamo dunque i 12 versetti in cui Marco riferisce l’evento della risurrezione. Dopo la descrizione della fuga delle donne di fronte al sepolcro vuoto, l’evangelista racconta:

Risuscitato al mattino nel primo giorno dopo il sabato, apparve prima a Maria di Magdala, dalla quale aveva cacciato sette demoni. Questa andò ad annunziarlo ai suoi seguaci che erano in lutto e in pianto. Ma essi, udito che era vivo ed era stato visto da lei, non vollero credere. Dopo ciò, apparve a due di loro sotto altro aspetto, mentre erano in cammino verso la campagna. Anch’essi ritornarono ad annunziarlo agli altri; ma neanche a loro vollero credere. Alla fine apparve agli undici, mentre stavano a mensa, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risuscitato. Gesù disse loro: “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno”. Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro e confermava la parola con i prodigi che l’accompagnavano.
(Mc 16, 9-20)

Ebbene, questi 12 versetti, la documentazione più antica sulla risurrezione del Figlio di Dio, la testimonianza centrale del nocciolo del Cristianesimo… sono un’aggiunta successiva! Infatti non sono presenti nelle versioni più antiche del Vangelo e hanno uno stile assai differente rispetto al testo precedente. Praticamente tutti gli studiosi sono concordi nel considerarli non originali. Perfino l’edizione della Bibbia della CEI dichiara:

I vv. 9-20 sono un supplemento aggiunto in seguito per riassumere rapidamente le apparizioni.

Aggiunto in seguito…? Per riassumere…? In sostanza, la testimonianza più antica e più vicina all’evento fondante della fede cristiana… è posticcia? Un’aggiunta posteriore a un documento già tardo di suo? Uh? Eh? Ma siamo matti? Se questo è il fondamento razionale della fede cristiana, io sono basito. E per questa roba dovrei scomodare un ancora sconosciuto teletrasporto quantistico di un corpo macroscopico? Ma forse a sostegno della risurrezione ci sono altre prove. Vediamo un po’…

Per esempio, ne parlano anche gli altri Vangeli. Luca e Matteo, per cominciare. Ma come sappiamo i due sono stati pesantemente influenzati da Marco. E anche Giovanni, che però scrive 70 anni dopo i fatti, quando ormai la leggenda della risurrezione si è ampiamente diffusa. Non solo: le descrizioni degli eventi differiscono parecchio nei diversi Vangeli. Quante donne si recano al sepolcro? Come reagiscono? Quanti angeli compaiono loro? E quante volte appare Gesù dopo la risurrezione? E a chi? Basta leggere con attenzione gli ultimi capitoli di ogni Vangelo per riscontrare differenze inconciliabili. Gli Atti degli Apostoli e la I Lettera ai Corinzi di Paolo aggiungono confusione a confusione, con Gesù che appare addirittura a Paolo medesimo (I Cor 15, 8).

La solita piroetta logica

Di fronte a queste incertezze e contraddizioni, la moderna Chiesa cattolica se la cava con una piroetta logica: la solita. In proposito il Compendio al Catechismo della Chiesa Cattolica è molto esplicito. Da un lato c’è il “segno essenziale della tomba vuota” (127). Questo a prima vista appare un argomento razionale, ma un briciolo di buon senso porta alla stessa conclusione dei contemporanei di Gesù: qualcuno ha trafugato il corpo. Che questa fosse l’opinione dominante al di fuori della cerchia protocristiana lo conferma anche il Vangelo di Matteo (Mt 27, 63-64; Mt 28, 11-15). Mica scemi: Guglielmo di Occam ne sarebbe stato soddisfatto. Ma il Compendio al Catechismo della Chiesa Cattolica prosegue (attenzione, udite udite, qui ci vuole un fragoroso rullo di tamburi per anticipare e sottolineare la stupefacente puttanata che seguirà):

Gli apostoli non hanno potuto inventare la Risurrezione, poiché questa appariva loro impossibile. (127)

Et voilà, siore e siori! Ecco qua di nuovo il caro, vecchio, trito e ritrito discorso che mette a tacere ogni razionalità: se sembra verosimile allora è vero, mentre se sembra una scempiaggine… allora è vero lo stesso, anzi a maggior ragione! Che è precisamente quanto sostengo io: l’argomento non è falsificabile, perciò non è razionale. E discutere con questa gente è proprio come picchiare un cuscino, appunto. C.V.D.

Roba da non prendere sul serio

Facciamo il punto su quanto detto fin qui. Se la fede in un Dio, e in particolare nel Dio dei Cristiani, deve fondarsi sulla risurrezione di Gesù Cristo, ci accorgiamo che l’evento è suffragato da una ben povera documentazione, parziale, tendenziosa, contraddittoria e rimaneggiata. In qualsiasi processo o indagine moderna nulla di tutto ciò verrebbe preso sul serio. Qualunque ricerca storica seria e razionale prenderebbe con le pinze queste fonti. Concluderebbe che Gesù Cristo è una figura al confine fra la storia e il mito, un po’ come il mago Merlino del ciclo arturiano, e che la sua risurrezione è una leggenda. E a nessuno verrebbe in mente di scomodare un teletrasporto quantistico di un corpo macroscopico, cioè un fenomeno mai osservato in alcun’altra occasione e privo di supporto in un quadro teorico coerente.

Eppure si fidano

Nel comune sentire, tuttavia, Gesù viene dato per scontato, ciò che è scritto nel Nuovo Testamento preso per buono alla lettera, il messaggio mai messo in discussione. I sacerdoti invitano i fedeli a “camminare dietro, sulla via tracciata da Gesù”, per “ridire con parole nuove il senso che ha abitato la vita di Gesù, il quale, essendo Dio, si è fatto uomo in una vita come la nostra”. E i fedeli ascoltano e annuiscono. Nella migliore delle ipotesi cercano di adeguarsi, nella peggiore fingono soltanto. Ma tutti, nessuno escluso, pigliano per buono quel Gesù. Perché?

Perché si fidano. E si fidano perché in gran parte non sanno quanto davvero siano inaffidabili le fonti sulle quali si fonda la loro fede. Pensano che le fonti siano i Vangeli, che leggono in qualche edizione ufficiale cattolica o protestante, e magari immaginano che le divergenze siano solo una questione di traduzione. Quando accenni alla confusione, all’incertezza, alla parzialità, alla tendenziosità, ai rimaneggiamenti e alle manipolazioni, alle migliaia di versioni, alla mancanza di prove certe, di solito ti rispondono: “Roba da preti”.

Torniamo all’Imperativo Categorico, che è meglio

Renato Giovannoli però tutto questo lo sa benissimo, perché è un uomo di ampia e profonda cultura (e no, non è una sarcastica presa per il culo: lo conosco e garantisco che è un pozzo di scienza e mi fa nero quando vuole). Nonostante questo, però, Renato scrive che il Vangelo per i credenti “ha l’inconfondibile sapore della verità”. Davvero? Invece per me, guarda un po’, emana l’inconfondibile fetore della panzana. Per dirla in maniera più elegante: del mito costruito sull’incertissima base di un personaggio storico reale le cui vicende sono ormai impossibili da ricostruire con una ragionevole sicurezza. E per questo mito della risurrezione, già di suo poco verosimile e con grande probabilità inventato dai seguaci del fondatore del Cristianesimo, arrampicandosi sui vetri per spiegare come mai il loro beniamino fosse stato ammazzato e Iddio Padre Onnipotente non si fosse degnato di salvarlo dalla croce… per questo mito descritto solo nelle opere dei Cristiani, antiche di due millenni, contraddittorie, incoerenti, modificate e manipolate, giunte in centinaia di versioni differenti… per questo mito, dicevo, io dovrei lambiccarmi il cervello per scomodare il teletrasporto quantistico, che mai in nessun’altra occasione è stato osservato sperimentalmente su un corpo macroscopico e che tuttora manca di un supporto teorico? Ma dai! A costo di sembrare ripetitivo, rammento l’Imperativo Categorico di Hyman:

Non cercare di spiegare qualcosa finché non sei sicuro che questo qualcosa esista.

Compito a casa

Lo so: l’ho fatta lunga. Voglio però lasciare i miei lettori, atei, agnostici o credenti, con un piccolo compito a casa: riflettere profondamente sulle somiglianze fra le dicerie su Gesù Cristo, vecchie di 2.000 anni, e quelle attuali su Sathya Sai Baba, il santone indiano appena defunto che conta centinaia di migliaia di seguaci giuranti e spergiuranti sulla sua natura divina. Anticipo un aiutino: l’opinione di Sam Harris.

E ora una domanda, solo per i lettori credenti: se pigliate per buone le antiche leggende su Gesù, perché non anche quelle su Sai Baba? Sono più recenti e pure meglio documentate, con migliaia di testimoni oculari tuttora viventi. Ci sono perfino i filmati, diamine! Ah, già… è vero che oggi ci sono i filmati, che ai tempi di Gesù non esistevano. Ma nella Palestina precristiana non esistevano neppure gli scettici, i prestigiatori e gli scienziati che hanno ampiamente sputtanato Sai Baba. E il rasoio di Occam era ancora di là da venire. Mentre oggi… beh, oggi a nessuno viene in mente l’ipotesi che Mike Bongiorno sia risorto e asceso al cielo, tanto per fare un esempio. Vorrà dire qualcosa?

La razionalità è un’altra cosa

Va da sé che comunque ciascuno rimane libero di credere in qualsiasi evento descritto in qualunque fonte documentaria di suo gradimento. Basandosi sulla fiducia, per dirla con le parole di Renato Giovannoli, in “coloro che hanno tramandato la notizia di quell’evento”. Va benissimo, figuriamoci. Ma per piacere non chiamiamola “razionalità”. Perché la razionalità non è fiducia. Anzi, è precisamente il contrario: la razionalità è un tentativo ostinato, serrato e spietato di revisione, controllo, verifica, critica e falsificazione (Popper docet). Per la razionalità non esistono proprio i verbi “credere” e “fidarsi”. Esistono invece i verbi “capire” e “controllare” e “tentare di falsificare”. E per la razionalità non esiste alcun principio di autorità. L’unica autorità è l’evidenza delle prove, a loro volta spietatamente messe e rimesse in discussione per arrivare non alla Verità Assoluta, ma a una modesta, limitata, rivedibile e perfettibile verità. Che non sarà una gran cosa, ma è quanto di meglio gli esseri umani, con le proprie forze intellettuali, hanno saputo produrre. Questa razionalità ci ha dato la meccanica quantistica e i vaccini, Internet e la chemioterapia, gli antibiotici e la teoria dell’evoluzione, i satelliti geostazionari e il teorema di Gödel. Magari (hai visto mai?) nel XXII secolo ci darà anche il teletrasporto quantistico dei corpi macroscopici, anche se non c’entra un cazzo con la risurrezione di Gesù Cristo.

Che fastidio mi danno?

E vado a chiudere, ché l’ho fatta lunga. Tuttavia non posso passare sotto silenzio l’ultima obiezione di Renato Giovannoli:

I Cristiani (…) che fastidio ti danno, Marco? In quanto giornalista scientifico hai tutto il diritto di discutere questioni scientifiche. Ma su questioni di fede non sarebbe meglio rispettare la sensibilità di chi crede?

Che fastidio vi do?

Renato, da persona intelligente quale è, non la mette giù dura e non fa l’offeso. Però, con delicatezza, si fa portavoce di un disagio fra i credenti e pone una legittima domanda: “Che fastidio ti danno?”. Nessun fastidio, Renato. Ci mancherebbe. Ma sta’ attento, perché adesso ti ribalto la domanda: “Io non posso forse dire che le credenze dei Cristiani sono minchiate? Che fastidio vi do?”. (Certo, magari è inopportuno dirlo dalle pagine di una rivista cattolica, ma… beh, sai com’è, Renato: io scrivo ovunque mi diano spazio. Perciò semmai prenditela con la redazione di “Cartabianca”, non con me.)

Stracciamento di coglioni

Ebbene, proprio in quella domanda finale sul “fastidio” si nasconde una questione che merita di essere affrontata. Una questione che, quando si parla di religione con un approccio razionale, viene ripetuta ad nauseam e francamente mi ha stracciato i coglioni oltre ogni sopportazione: la sensibilità di chi crede. E questa faccenda qualcuno me la deve spiegare una volta per tutte.

Se dici che il comunismo è una stronzata tremenda, i comunisti ti spernacchiano, si fanno una risata e se ne vanno. Se affermi che l’opera lirica è una cagata incomprensibile, i melomani sghignazzano e ti danno dell’asino. (Sia chiaro che vale anche per me: se sostieni che il mio ateismo è una puttanata inconcepibile, io rido e me ne strafotto.) Se dichiari che Di Pietro parla come un semianalfabeta o che Berlusconi è un vecchio pedofilo inculatore di ragazzine, nessuno ci fa caso.

Ma azzardati solo a insinuare che l’ignoranza scientifica di Joseph Ratzinger è indegna di una capra o che la Chiesa s’è macchiata di schifose connivenze con le peggiori dittature… oppure permettiti di dichiarare (e di dimostrare, soprattutto) che la fede cattolica è una minchiata colossale e non ha alcun fondamento razionale, e anzi con la razionalità fa a pugni e le prende pure…

…ed ecco che subito salterà fuori qualche credente disturbato, offeso, esacerbato dalle tue parole, che urlerà che non si può ferire la sua delicata sensibilità religiosa… e che invocherà il reato di Lesa Maestà nei confronti della figura del Santo Padre, autorevole guida spirituale e morale della Chiesa cattolica. E magari codesto credente offeso pretenderà perfino delle scuse da te, spregevole ateo laicista e anticlericale.

Non è questo il tuo caso, Renato, ma sapessi quanti altri ne ho conosciuti…

Un unicum di intoccabilità

Insomma, si può criticare qualsiasi ideologia politica, qualsiasi scuola filosofica, qualsiasi teoria scientifica… si può sputtanare qualsiasi politico, pensatore, scienziato… ma la religione e i suoi rappresentanti rimangono un unicum di intoccabilità. Se t’azzardi a parlarne male, aspettati un fuoco incrociato bipartisan, da destra e da sinistra.

Allora, cari credenti suscettibili… com’è ’sta storia? C’è qualcosa che vi rode il culo e vi scoccia sentirvela ricordare? Volete per favore parlare dei fatti, delle prove, dei documenti, invece di svicolare sempre e ostinarvi a rompere il cazzo con la “sensibilità religiosa ferita”?


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