Giusto di Gand, Dante (1473-1475)
E dunque festeggiamo questo nostro poeta, che, sebbene non ci permetta di fissare la sua data di nascita in un punto specifico del calendario, ci ha lasciato personalmente alcuni indizi sul proprio dies natalis. Infatti è Dante stesso a comunicarci, all'interno di quattro terzine del Paradiso, di esser nato sotto il segno dei Gemelli, permettendoci di tracciare un limite attorno alle date del 21 maggio e del 21 giugno; alcuni studiosi circoscrivono il campo fra il 14 maggio e il 13 giugno, altri hanno scelto come data simbolica quella mediana del 1 giugno. Non che importi avere un riferimento concreto e stabile, certo è che quest'anno non possiamo scordare di dedicare al Sommo una menzione particolare, dato che rintoccano i settecentocinquanta anni da quell'imprecisato giorno del finire della primavera nel 1265.Il dato più significativo legato al riferimento alla nascita dell'Alighieri è però nel particolare collegamento che egli ravvisa fra le stelle che lo hanno visto venire al mondo e il suo talento poetico: già i primi commenti alla Commedia, in particolare l'Ottimo commento (anni '30 del Trecento), indicano che i Gemelli, costellazione in cui dimora Mercurio, è patrona della scienza, dell'abilità scrittoria e della conoscenza, in poche parole della virtù d'intelletto.
I versi danteschi che recano traccia del dies natalis dell'autore sono, precisamente, i versi 112-123 del canto XXII del Paradiso. Dante, in compagnia di Beatrice, passa dal Cielo di Saturno (VII), dove ha appena incontrato l'anima di San Benedetto, a quello delle Stelle fisse (VIII); lo fa percorrendo la grande scala d'oro che conduce all'Empirero e lungo il percorso scorge la costellazione dei Gemelli, di cui invoca il sostegno, in modo che il suo animo sia ricolmo di quella virtù che comunemente è ad esse associata.
O gloriose stelle, o lume pregno
di gran virtù, dal quale io riconosco
tutto, qual che si sia, il mio ingegno,
con voi nasceva e s'ascondeva vosco
quelli ch'è padre d'ogne mortal vita,
quand' io senti' di prima l'aere tosco;
e poi, quando mi fu grazia largita
d'entrar ne l'alta rota che vi gira,
la vostra region mi fu sortita.
A voi divotamente ora sospira
l'anima mia, per acquistar virtute
al passo forte che a sé la tira.
Miniatura marciana del XIV secolo
con Dante e Beatrice
A queste stelle Dante riconosce il proprio talento poetico, rivelando di essere nato proprio sotto il loro influsso: il Sole (indicato dalla perifrasi del v. 116 come il padre di ogni vita mortale) era in congiunzione con i Gemelli (nasceva e tramontava con essi, v. 115) il giorno in cui lui venne alla luce il poeta, respirando per la prima volta l'aria toscana.
In altri casi Dante parla dell'influenza della sua stella sul suo cammino letterario e intellettuale: nel canto XV dell'Inferno, per esempio, è Brunetto Latini, il maestro relegato al cerchio dei sodomiti, a invitare Dante a seguire la sua buona stella, ma in questo caso il riferimento astrologico alla protezione degli astri del dies natalis non è altrettanto evidente, anzi, è escluso da Umberto Bosco e Giovanni Reggio, che classificano i vv. 55-57 come un passo metaforico.
Gustave Dorè, La scala d'oro del Paradiso
Ma perché dare tanta importanza a questo passo, se non ci permette di trarre informazioni certe sul dies natalis di Dante? Ebbene, in queste terzine assistiamo ad un intenso momento di riflessione dell'autore su di sé e sul proprio ruolo poetico, oltre che sul destino della razza umana: rivolgendosi alle stelle che lo hanno visto nascere e gli hanno infuso l'ingegno poetico, Dante ora celebra, con gli strumenti da esse ricevuti, il proprio ritorno nel loro abbraccio, sottolineando come la sua stessa nascita sia finalizzata alla lode di Dio e del creato, che vedrà tutto riflesso nella contemplazione finale del «l'amor che move il sole e l'altre stelle».Dante, disceso dalle stelle e disceso da Dio, alle stelle e a Dio ritorna, occupando il luogo che per natura è destinato all'uomo (come ha avuto modo di sottolineare fin dall'inizio dell'ultima cantica). La visione di Dio, il rifugio nell'Empireo è il naturale punto d'arrivo della storia dell'essere umano, sicché l'intero viaggio di Dante verso questa ultima meta non è in realtà che un ritorno ad un luogo da cui i mortali si sono allontanati, ma che è a loro promesso. Non a caso è la parola «stelle» a concludere le tre cantiche: quella parola che sta dentro alla parola «desiderio» (composta dal prefisso privativo de unito a sidus, sideris, «stella»; il risultato indica, dunque, la lontananza dalla propria stella, la tensione a qualcosa di infinito). Il desiderio, la stella di Dante/dell'uomo, quel desiderio che viene colmato in Paradiso XXXIII, 48 è Dio, che tutte le stelle governa, che ha infuso in Dante il talento poetico e che lo richiama a sé con tutto il sublime della sua poesia, per celebrare se stesso e, con sé, tutte le sue creature.
Domanico di Michelino, Dante e i tre regni (1465), Duomo di Firenze
C.M.